domenica 14 gennaio 2007

Deliri appena sveglio

Domenica mattina...beh mattina non tanto, visto che sono le 13. Mia madre mi viene a svegliare ed io a stento, dopo le "fatiche" del sabato sera, riesco ad aprire gli occhi. "Sono le 13 è quasi pronto...mangi?". Le sue parole vengono coperte da quelle dei titoli del tg5. Berlusconi critica la sinistra (facile saprebbe criticarla chiunque!) per la sua politica estera affermando che la coalizione attualmente al governo "strizza l'occhio ad Hizbullah e va contro gli Stati Uniti ed Israele, ultimo avamposto della democrazia in medioriente".
Salto fuori dal letto e comincio ad inveire. Di tutte le stupidaggini che ho sentito dire a Berlusconi negli, ormai, ultimi tredici anni, questa è di gran lunga la peggiore. Come si fa a dire che Israele è un paese democratico? Ma, poi, come fa lui a criticare o solo a parlare di politica estera?
Nei cinque anni in cui è stato al governo, la sua è passata alla storia come la condotta in politica estera peggiore degli ultimi sessanta anni, ossia da quando l'Italia è una repubblica. Da un giorno all'altro il signor "mi consenta" ha stravolto quella che era la linea storica della politica estera italiana, sempre preoccupata di colmare quel vuoto esistente tra l'alleanza atlantica e l'enorme influenza di cui il nostro paese godeva nel bacino del Mediterraneo.
Per dirla con le parole di Harold Nicolson [1] (che Berlusconi sicuramente ignora) "lo scopo della politica estera italiana è sempre stato quello dell'acquisizione sul terreno diplomatico di un'importanza maggiore di quella che possa esserle assicurata dalla sua potenza reale. Essa è pertanto l'antitesi del sistema tedesco (o statunitense, aggiungerei), perché invece di basare la diplomazia sulla potenza, basa la potenza sulla diplomazia". Insomma, non certo una macht-politik [2], quanto piuttosto una real-politik. Concetti che sicuramente Berlusconi non ha mai avuto il piacere di comprendere, visto che con lui al governo abbiamo abbandonato la diplomazia e ci siamo appiattiti sulla politica di potenza a stelle e strisce.
Cercherò di spiegarmi meglio. Dopo la seconda guerra mondiale, la politica estera italiana si è dovuta basare su un'inestricabile dicotomia: siamo costretti ad assecondare i nostri alleati atlantici (cosa che ci conviene pure) ma, al contempo, abbiamo bisogno - per diversi motivi, in primis la necessità dell'approviggionamento energetico - di mantenere il nostro status di paese faro nel cosiddetto mare nostrum (un potenziale bacino, contando i soli stati rivieraschi, di 400 milioni di individui).
Purtroppo per noi, le due cose non coincidono, neanche convergono, anzi, sono proprio agli antipodi. Per sessant'anni, abbiamo dovuto fare di necessità virtu e ci siamo riusciti anche bene - nonostante abbiamo dovuto sopportare la presenza di basi e armi atomiche, aspettare più di 10 anni per l'estradizione della Baraldini, subire 20 vittime innocenti sul Cermis, per l'idiozia di 2 piloti che giocavano a fare i top gun, e, come se non bastasse, l'omicidio impunito di Calipari (la lista è assolutamente esemplificativa e potrei continuare fino allo sfinimento).
Come si permette, quindi, costui a parlare di politica estera? Parlasse di economia che almeno a fare i soldi, o meglio a rubarli, è sicuramente un esperto. Costui che si reca a Camp David e con un inglese talmente stentato, da risultare quasi incomprensibile, riesce a dire che "Considero la bandiera degli Stati Uniti non solo la bandiera di un paese, ma un messaggio universale di libertà e democrazia", ricevendo perfino i complimenti - del tutto gratuiti, e probabilmente anche perculativi - del suo dirimpettaio, l'inquilino della Casa Bianca ("his english is very good!").
La politica estera italiana deve, finalmente, tornare ad imboccare il binario della diplomazia e del dialogo, della condanna ad azioni ignobili e immorali, quali la pena di morte, e alla strenua opposizione ad atteggiamenti unilaterali come la guerra preventiva e di aggressione. Il nostro esercito non ha niente a che vedere con i "rambo" americani, tutto muscoli, poco cervello e cuore assente. Al contrario, siamo dotati di professionisti che possiedono una grande umanità e sono in grado di rapportarsi nella giusta maniera a contesti culturali molto diversi dal nostro. Sono uomini che non torturano altri uomini e non pisciano sul Corano dei detenuti di Guantanamo e Abu-Ghraib. Sono persone civili che danno lustro ad una nazione civile. E con i due anni a venire, nei quali siederemo al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, sia pur da membri non permanenti, avremo l'occasione di rafforzare quel ruolo che a lungo ci è appartenuto. Con buona pace di Berlusconi.
Spenderò, infine, solo poche parole - tanto merita - per la questione della "democrazia" israeliana. Che possiederà sicuramente istituti democratici e libere elezioni, ma è avvezza, al contempo, ad un comportamento che potrebbe contendere la poco felice fama di criminali ai gerarchi nazisti.In conlusione, allora, una foto scattata a Cana (villaggio già simbolo nel '96 del martirio libanese) per rendere l'idea della magnificenza della "democrazia" israeliana, che ha avuto occasione di ricordarci quest'estate quanto sia alto il suo senso della vita umana.
Note
[1] H.Nicolson, Storia della diplomazia, Il Mulino, 1967.
[2] Per la politica di potenza vedere R.Aron, Macht, Power, Potenza: prosa democratica o poesia demoniaca?, Il Mulino,1992 e H.J.Morgenthau, Politica tra le nazioni. La lotta per il potere e la pace, Il Mulino, 1997.

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