venerdì 5 settembre 2008

Un paese sottomesso

L'estate è stata segnata dal disinteresse per la politica. I partiti italiani soffocano la partecipazione. E senza il contributo dei cittadini la democrazia è in crisi, scrive Udo Gümpel [*].

Le chiacchiere sotto l'ombrellone, davanti allo stesso mare e sulla stessa spiaggia, rivelano molte cose sullo stato d'animo di un paese. Sulla spiaggia tutti sono rilassati, i poveri come i ricchi, tutti si mettono pazienti in fila per la doccia. Ecco finalmente un paese pacifico. Mai, negli ultimi vent'anni, avevo sentito parlare così poco di politica sotto l'ombrellone come quest'estate. Nelle conversazioni nessuno fa più cenno ai classici temi del tormentone estivo: gli immigranti clandestini, i nomadi, la crisi. Niente più discussioni. La politica? Lasciamola al governo. Si direbbe che sia questo il nuovo motto del paese. Un'Italia ubbidiente, docile, disciplinata. Come un cane ben addestrato, ha scritto Nadia Urbinati il 20 agosto sulla Repubblica. Non ha tutti i torti: il paese sembra pronto a sottomettersi al padrone, a riconoscere che il dissenso è un crimine sociale, a permettere che le regole del gioco democratico esalino l'ultimo respiro. Cane e padrone camminano su un sentiero che va in direzione opposta rispetto alle altre democrazie, dove si lascia più spazio al dissenso, prima di tutto verso un legittimo governo democratico. La massa dei cittadini di questo paese ha rinunciato spontaneamente ai propri diritti e le minoranze si trovano così esposte a un rischio reale.
Tutto questo è dovuto a una strisciante perdita di fiducia, cominciata anni fa, nella partecipazione democratica e nella libera capacità di contribuire a plasmare la società. Ed è un fenomeno nato all'interno dei partiti. La frequenza delle consultazioni elettorali negli ultimi anni in Italia potrebbe sembrare, in apparenza, un indizio di democrazia. Ma la realtà è diversa. Le elezioni non sono altro che un auditel politico, perché i candidati sono sempre espressione dei clientelismi dei direttivi. A definire il programma sono in pochissimi: per questo chi si sente spettatore preferisce cambiare canale e, quando arriva il momento di infilare la scheda nell'urna, magari ci scrive sopra "Viva Antonio La Trippa!". Il fatto che Silvio Berlusconi nutra una sincera avversione per la democrazia di base non deve stupire. Che poi ci siano ancora dirigenti di An che insistono perché il congresso, in vista della fusione con Forza Italia, venga organizzato con rappresentanti democraticamente eletti, è degno di rispetto. Invece, che il principale partito d'opposizione si basi su regole di democrazia interna che in qualsiasi altro paese lo avrebbero esposto a severe critiche è un problema di cui né i sostenitori del Pd né i cittadini sembrano afferrare l'importanza. Perché con la democrazia succede proprio questo: quando se ne va, all'inizio è difficile accorgersene, come insegna la storia del Novecento.
A questo punto chiedo scusa ai miei lettori italiani, ma devo spiegare cosa sono i congressi elettorali in Germania. Sono quei meeting di partito in cui, nel corso di votazioni a scrutinio segreto, vengono scelti i singoli candidati delle liste elettorali dei partiti (di tutti i partiti). Se mai un partito tedesco trasgredisse questa regola elementare non convocando regolarmente i congressi o consentendo la nomina di centinaia di funzionari per acclamazione, presumibilmente verrebbe sciolto con l'accusa di aver commesso una grave violazione della democrazia interna. Ah, ancora una cosa: anche i bilanci dei partiti devono essere sottoposti a verifica, e quindi essere veri bilanci. Ma tutto ciò interessa ancora all'Italia che sonnecchia sotto l'ombrellone? Ci tiene davvero a essere consultata? Dopo un'estate come questa, comincio seriamente a dubitarne.

* Udo Gümpel è il corrispondente delle reti televisive tedesche N-tv, Wdr e Rbb. Vive a Roma dal 1984. L'articolo è tratto da Internazionale - Primo piano.