domenica 26 ottobre 2008

Accordo storico in Bolivia

Nel pieno di una crisi che rischia di far precipitare il paese andino al collasso, il presidente Evo Morales ha raggiunto un compromesso con l'opposizione per approvare la nuova carta costituzionale. [Internazionale, 22 ottobre 2008]

L'intesa tra il partito di Morales Movimiento al socialismo (Mas) e i partiti di opposizione, è arrivata dopo 12 giorni di negoziati, anche grazie alle dimostrazioni dei sostenitori del governo, che negli ultimi giorni sono scesi in piazza per chiedere l'approvazione della 'carta magna' boliviana. "Secondo il patto stipulato", spiega il quotidiano El Diario, "Evo Morales si è impegnato a rinunciare fin da ora a candidarsi per le elezioni del 2014, e l'opposizione, in cambio, ha dato il suo appoggio al congresso per approvare il referendum costituzionale, che si terra il prossimo 25 gennaio [...] La soluzione trovata soddisfa sia i sostenitori di Morales, che spingono per avere la nuova costituzione al più presto, che i membri dell'opposizione, secondo cui il vero obiettivo di Morales era ottenere la presidenza perpetua attraverso la 'carta magna'". Il quotidiano La Razòn commenta con entusiasmo quello che definisce un "negoziato storico". "L'accordo raggiunto nel congresso nazionale conferma prima di tutto che il dialogo, inteso come risorsa privilegiata di uno stato democratico, funziona anche in Bolivia. In secondo luogo, sancisce l'inizio di una fase di riconciliazione, che durerà sicuramente fino al dicembre del 2009, quando i cittadini boliviani dovranno eleggere il futuro presidente". Sulla stessa linea si muove Los Tiempos secondo cui "Non ci sono dubbi sul fatto che la Bolivia sta vivendo un momento storico [...] I maggiori partiti del paese hanno dimostrato finalmente di voler mettere il bene dei cittadini al di sopra di tutto, aprendo la strada alla riconciliazione nazionale. Il cammino è stato duro, pieno di scontri, ma alla fine si può dire che ne è valsa la pena". Coclude La Razòn: "Il 20 ottobre verrà ricordato come il giorno in cui una marea umana ha invaso le strade della capitale La Paz per reclamare il diritto ad avere una nuova costituzione. Speriamo che sia ricordata anche come la giornata in cui ebbe inizio la pacificazione del paese".

APPROFONDIMENTI:

martedì 21 ottobre 2008

Change, we need




* vignetta di Marco Viviani

domenica 12 ottobre 2008

E il Congresso disse "NO"

Il Congresso degli Stati Uniti ha bocciato il piano proposto dall'amministrazione Bush per far fronte alla crisi finanziaria ed evitare il crollo dell'intero sistema economico. Intanto, dalla Russia alla Cina, dalla Germania al Brasile, il mondo è in ansia. I quotidiani statunitensi commentano e cercano di capire quali saranno gli sviluppi futuri.

Molto duro il New York Times: "Negli ultimi otto anni, i parlamentari repubblicani hanno approvato qualsiasi proposta di legge presentata dalla Casa Bianca, dall'aumento delle tasse alla tortura. Adesso, invece, con le sorti del paese in bilico, bocciano l'unico accordo possibile per risollevare il sistema finanziario. La speranza è che l'ulteriore degenerazione della situazione nelle prossime ore li spinga a cambiare idea". Il Washington Post non crede che la crisi sia limitata al settore finanziario: "Tutte le grandi crisi economiche nel corso della storia dell'uomo hanno sempre portato conseguenze politiche devastanti. Basti pensare a come la Grande Depressione abbia contribuito, negli anni trenta del secolo scorso, a favorire l'ascesa del nazismo. La spiegazione è semplice: in fasi come questa si aprono spiragli preoccupanti per leadership e regimi autoritari. C'è da augurarsi che le autorità del mondo occidentale abbiano imparato la lezione". "Nessuno è esente da colpe per quanto è successo", scrive il Los Angeles Times, che continua: "Sono sicuramente colpevoli i 133 congressisti repubblicani che si sono scostati dalla linea del loro partito, ma lo sono altrettanto i 95 democratici che hanno votato contro il piano di Henry Poulson e Ben Bernanke. In totale 228 parlamentari che, per ragioni egoistiche, hanno tagliato le gambe all'unico provvedimento in grado di risollevare le sorti dell'economia". Conclude il Christian Science Monitor: "La verità, dolorosa ma indiscutibile, è che la recessione potrebbe essere la vera medicina, molto più efficace rispetto a qualsiasi piano di salvataggio. L'approvazione del piano Poulson non farebbe che peggiorare la situazione. La soluzione sta nel pianificare una strategia nel lungo periodo basata sulla trasparenza e sulla rivalutazione della classe lavoratrice".
"La decisione di bocciare il piano proposto dal ministro del tesoro Henry Paulson è molto pericolosa", scrive il South China Morning Post, secondo cui "in un momento come questo le strategie politiche vanno messe da parte. La preoccupazione dei partner economici internazionali degli Usa è sicuramente giustificata. Se il piano dovesse saltare definitivamente le loro economie subirebbero effetti devastanti, come ha dichiarato anche un esponente del governo giapponese. Speriamo, dunque, che gli Stati Uniti facciano la cosa giusta". Secondo il tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung "la crisi è ormai arrivata anche in Europa. A prescindere da cosa succederà a Wall Street, gli stati, gli istituti e le banche del vecchio continente si stanno impegnando per difendersi dalla crisi finanziaria. Nessuno si fida più di nessuno. In primo luogo le banche, che non sono più disposte ad affidare il proprio denaro ad altri istituti. La domanda, quindi, sorge spontanea: come possiamo aspettarci che i cittadini continuino a confidare in questo sistema? L'unica conclusione possibile è che abbiamo davanti un periodo di grave recessione". Timori condivisi anche dal quotidiano brasiliano Folha De São Paulo: "I brasiliani hanno ottimi motivi per preoccuparsi. La borsa di São Paulo è crollata nel giro di pochi giorni e le parole del presidente Lula, che qualche giorno fa ha ammesso che 'la situazione è difficile', non trasmettono certo tranquillità ai cittadini. La sensazione è che siamo entrati nell'anticamera della crisi economica e che a farne le spese, una volta di più, saranno soprattutto i milioni di brasiliani che già vivono in condizioni di povertà". "Il piano Paulson è l'unico mezzo di cui dispongono gli Stati Uniti per risollevarsi, quindi è molto probabile che alla fine venga approvato", scrive il russo Kommersant, che continua: "Il problema è cosa succederà dopo: la crisi ha dimostrato che il sistema economico è corrotto. Prima o poi anche i cittadini ne subiranno le conseguenze". Conclude il francese Le Monde: "L'Europa sta dimostrando tutta la sua fragilità. Se si verificasse da noi una crisi della portata di quella statunitense, la Banca centrale europea non riuscirebbe ad approvare un piano di salvataggio, visto che gli stati hanno interessi molto diversi tra loro".

Fonti: Internazionale, 30 settembre 2008 - Internazionale, 2 ottobre 2008.