domenica 22 febbraio 2009

L'abbandono di un popolo

Il 14 gennaio scorso, dopo la strage di oltre mille palestinesi rinchiusi in un'esigua striscia di terra e bombardati a tappeto da terra, dal mare e dal cielo da uno dei più potenti eserciti del mondo; dopo il bombardamento di una scuola palestinese adibita a rifugio delle Nazioni unite [«Beh, c'è stata qualche irregolarità» ha ammesso Avi Pazner, portavoce del governo israeliano - France Inter, 8 gennaio 2009]; dopo l'inascoltata risoluzione dell'Onu, con la quale l'unica istituzione che rappresenta realmente la tanto citata «comunità internazionale» chiedeva invano la cessazione delle operazioni militari a Gaza; dopo tutto questo - il 14 gennaio, per l'appunto - l'Unione europea ha mostrato con quanta determinazione sapeva reagire a un tale scatenamento di violenza e di arroganza. Ha deciso... di introdurre una battuta d'arresto nel suo processo di avvicinamento a Israele! Anche se, per attenuare l'impatto di quello che avrebbe potuto apparire come un borbottio di riprovazione nei confronti di Tel Aviv, ha tenuto a precisare che si trattava di una misura «tecnica» e non «politica». E che la decisione era stata presa «da entrambe le parti».
Israele ha carta bianca. Già in precedenza il suo esercito aveva distrutto la maggior parte delle infrastrutture palestinesi finanziate dall'Unione. La quale ultima praticamente non ha reagito, o quasi. Neppure l'ombra di un'azione giuridica, di una richiesta di riparazione [Pierre Avril, «L'Europe paie, Israël détruit », Le Figaro, Parigi, 16 gennaio 2009]. Dopo di che Israele impone il blocco a una popolazione povera, sprovvista d'acqua, di cibo, di medicinali. E ancora non si muove foglia - se non per le sempiterne rimostranze con cui si mettono i protagonisti spalla contro spalla, col pretesto che non sempre la violenza del più forte porta alla sottomissione del più debole. Perché mai Israele avrebbe dovuto paventare la fine della sua impunità?
Peraltro, già vent'anni fa lo stato ebraico aveva preso le sue precauzioni incoraggiando, contro l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), il rafforzamento di un avversario ideale: Hamas, un'organizzazione medievale nei suoi programmi, di efficacia militare incerta, per nulla interessata a «comunicare» con l'opinione pubblica occidentale. Per chi desidera poter bombardare e colonizzare senza ostacoli, quale miglior pretesto dell'assenza di un «partner per la pace»? Anche negli Stati Uniti, nulla ormai si contrappone ai disegni del governo di Tel Aviv. Il 9 gennaio, una risoluzione della Camera dei Rappresentanti riconosce a Israele «il diritto di difendersi contro gli attacchi provenienti da Gaza». Qualche ora prima il Senato aveva «riaffermato il deciso appoggio degli Stati uniti a Israele nella sua battaglia contro Hamas». È senz'altro per una preoccupazione di «equilibrio» che nella prima risoluzione - adottata con trecentonovanta voti contro cinque - si presentano nel contempo «le condoglianze alle vittime palestinesi innocenti e alle loro famiglie». Quanto alla seconda risoluzione, è stata approvata all'unanimità. Dunque, anche il fronte dell'esecutivo americano regge bene. Alcune ore dopo l'annuncio del cessate il fuoco unilaterale, Ehud Olmert ha peraltro telefonato al presidente degli Stati uniti per ringraziarlo del suo sostegno. Che si manifesta tra l'altro attraverso aiuti finanziari, non rimborsabili, dell'ordine di tre miliardi di dollari l'anno.
Da tempo più nessuno, neppure un presidente di nome Barack Obama, ha mai pensato di rimetterli in discussione. Il progetto dei grandi partiti israeliani, coperto da appoggi di questa portata, appare chiaro: distruggere la prospettiva di un vero stato palestinese, la cui creazione rappresenta un obiettivo internazionalmente riconosciuto. La Cisgiordania, sfregiata da muri e sbarramenti e infarcita di colonie, sopravviverebbe come un conglomerato di bantustan grazie alle trasfusioni dell'Unione europea. E Gaza potrebbe essere bombardata a piacimento dal suo vicino, ogni qualvolta quest'ultimo decida di reagire - in maniera sproporzionata - ad attentati o lanci di razzi. In fondo è quasi un miracolo che i palestinesi, dopo 61 anni di sconfitte, umiliazioni, esili, violazioni di accordi firmati, colonizzazioni, guerre fratricide, abbandonati alla loro sorte dai governi del mondo intero che autorizzano ogni violazione del diritto internazionale e degli stessi diritti umanitari, siano tuttora determinati a tradurre un giorno la loro identità nazionale in una realtà concreta.
Se ci riusciranno, non lo dovranno né agli europei, né agli americani, né alla maggior parte dei governi arabi. Nei confronti di Gaza tutti, ancora una volta, si sono comportati da complici dell'interminabile spoliazione di un popolo.

SERGE HALIMI - Le monde diplomatique, febbraio 2009

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