venerdì 10 aprile 2009

Speciale Parlamento europeo - PARTE III

Il sistema elettorale dell’ Unione europea: il problema dell’ uniformità e l’ adozione del sistema proporzionale.

Nell’ ambito di una procedura elettorale uniforme si devono senz’altro ricomprendere: il sistema elettorale, le norme sull’ elettorato attivo e passivo, le condizioni di ineleggibilità e di incompatibilità, la data delle elezioni, l’assegnazione dei seggi vacanti, le disposizioni relative alla campagna elettorale, la verifica dei poteri. Ai fini del presente lavoro verrà analizzato, a grandi linee, solo il sistema elettorale, con l’esclusivo riferimento al problema dell’ uniformità della procedura, nonostante il metodo dell’attuazione “a tappe”, e alla scelta, ad esclusione del caso inglese, del sistema proporzionale.
In riferimento alla prima questione, la ricerca di un quid di uniformità dovrebbe escludere, ovviamente, che il Parlamento europeo possa essere formato secondo le “procedure elettorali fissate da ogni Stato membro”. Tuttavia, uniforme non significa identico, anche se non si può escludere a priori che il grado di uniformità raggiungibile possa produrre effetti di sostanziale identità [1]. Le opinioni su questo punto non sono univoche e c’è chi sostiene che una procedura elettorale uniforme non possa, in alcun caso, apparire differenziata, mostrando delle falle nei punti di scelta fondamentali che vanno ad incidere sulla composizione dell’Assemblea [2]. In ogni caso, non si potrà mai parlare di uniformità in presenza di convenzioni che non abbiano unanime consenso sul tipo di sistema elettorale.
È il caso di sottolineare, però, che, al fine di non appesantire troppo il progetto, si è assunto il metodo di attuazione per tappe: una procedura elettorale, com’è ovvio, è costituita da un numero troppo elevato di elementi per i quali si potrebbe progettare un’armonizzazione [3]. Che la realtà comunitaria globalmente considerata costituisca un processo in corso di attuazione è un dato non contestabile: essa è stata concepita dai membri fondatori come un ente ad attuazione progressiva, precisamente come organismo comune di carattere specificatamente economico, che, partendo dalla base dell’unione doganale, fosse in grado di realizzare successivamente una effettiva e più stretta unione tra i popoli europei, assicurandone il progresso non soltanto economico, ma anche sociale e politico. È altrettanto indubbio, però, che una procedura elettorale debba essere il più possibile uniforme, al fine di preservare la rappresentatività del Parlamento dai calcoli politici all’ interno di esso. Al di là dei successivi interventi la situazione è rimasta invariata nella sostanza: il sistema elettorale è regolato da norme dell’ Unione, che contengono i principi validi per tutti, e da norme statali, che contengono disposizioni con validità territoriale limitata a ciascuno Stato. Tra gli scopi che la procedura uniforme si proponeva di realizzare vi erano la necessità di assicurare la rappresentanza delle principali forze politiche e di conferire un peso sensibilmente uguale ai voti, permettendo, al contempo, di considerare le particolarità nazionali [4].
In ottemperanza a tali principi si è escluso ogni approdo di tipo maggioritario, cosicché, constatata anche l’impraticabilità dell’ adozione di sistemi elettorali misti, assieme all’inammissibilità della contemporanea presenza, nei diversi Stati, di procedure maggioritarie e di procedure proporzionali, si è optato per il sistema proporzionale. In realtà, le considerazioni solitamente addotte a favore del sistema maggioritario, sintetizzabili in una più diretta responsabilità degli eletti nei confronti degli elettori [5] e nella maggiore facilità di formazione delle maggioranze di governo, data la particolare natura del Parlamento europeo, non sono ad esso estensibili. Tali vantaggi sono, infatti, reali negli ordinamenti in cui il potere esecutivo è diretta emanazione dei parlamenti, ma sono irrilevanti nell’ambito del sistema comunitario, ove il Parlamento europeo riveste soltanto un ruolo di legittimazione, di rappresentanza, di controllo e di sintesi politica delle istanze statali. Nell’ ambito del sistema politico dell’Unione non esiste un governo che sia responsabile di fronte al Parlamento e che debba quindi essere sostenuto da consistenti e valide maggioranze.
Va, quindi, scartata, almeno nel breve periodo, l’obiezione che viene solitamente mossa contro la proporzionalità, che sarebbe causa di frammentazione delle forze politiche e di debolezza degli esecutivi, almeno fino a che non vengano assegnati al Parlamento europeo i poteri necessari a configurarlo quale principale organo decisionale dell’ Unione. Tali motivazioni inducono certamente a riflettere sul fatto che qualsiasi legge elettorale dovrebbe essere stabilita in funzione dell’ obbiettivo prefisso, non esistendo una verità a priori, ma solo leggi elettorali che devono essere adattate in funzione del risultato da raggiungere. Non dovrebbe, quindi, esserci contraddizione nel fatto che in uno Stato esista un tipo di legge elettorale per il Parlamento nazionale e una legge diversa per l’elezione europea. Tanto più che in uno Stato si tratta di esprimere una maggioranza governativa, di far sì che il governo rappresentante tale maggioranza possa governare, mentre nell’ ambito del Parlamento europeo si tratta, più semplicemente, di raggruppare le varie correnti dell’ opinione pubblica presenti nell’ Unione. La scelta del sistema proporzionale, fondato su circoscrizioni plurinominali, assegna un ruolo preponderante, attivo e di collegamento ai partiti politici, agevolando, per tal via, l’instaurazione di legami extrastatuali tra le correnti politiche omogenee presenti in Europa. Anche per questi motivi appare fondata l’opinione dello Zagrebelsky, secondo cui le leggi elettorali hanno la capacità di condizionare la stessa configurazione istituzionale e la sostanza politica dei Parlamenti [6].
In conclusione, la riduzione della differenziazione e l’aumento dell’uniformità sono certamente il risultato di un processo negoziale, ancora in corso, tipicamente comunitario, a cui contribuiscono diversi soggetti istituzionali e politici, statali e comunitari. L’uniformità del sistema elettorale, insomma, non può essere immaginata che come un’armonizzazione degli elementi essenziali del sistema, raggiunta per tappe e lasciando ai singoli Stati la facoltà di adeguarsi per fasi successive al modello comune che viene, di volta in volta, indicato dal Parlamento dell’Unione. Il problema dell’uniformità non è, quindi, così drammatico ed è necessario ricordare che ogni Stato ha le sue tradizioni e le sue particolarità in campo elettorale.
Per quanto riguarda la scelta del sistema proporzionale, invece, non c’è dubbio che esso, in mancanza di un rapporto di responsabilità tra il Consiglio e un Parlamento fornito dei necessari poteri decisionali, sia l’unico sistema elettorale praticabile. In questo modo, privilegiando il profilo della rappresentatività, si permette, perlomeno, l’entrata di più soggetti nell’arena politica con il preciso intento di coinvolgere tutti gli strati dell’elettorato e creare, così, una comune coscienza politica. Solo a seguito di un ruolo centrale del Parlamento europeo, con poteri di indirizzo sul Consiglio e di iniziativa, unitamente alla nascita di un ordinamento strutturato e coeso, capace di sviluppare forme forti di identificazione collettiva, avrà senso l’adozione di un sistema maggioritario che privilegi il profilo della governabilità.

NOTE:
[1] Nell’ opuscolo Verso l’elezione diretta dell’ Assemblea parlamentare europea, ottobre 1980, edito dal PE si sostiene, appunto, che uniformità non è sinonimo di identità e che per procedura uniforme debba intendersi una legge elettorale che sia fondamentalmente la stessa in tutti gli Stati membri.
[2] Di questo avviso era anche l’on. D’Angelosante, nel parere redatto a nome della commissione giuridica (P.E. , Doc. 1-988/81/B-C, p.31), per cui “…deve affermarsi il principio essenziale secondo il quale non sono più ammissibili norme elettorali le quali, mentre favoriscono interessi di questo o di quello Stato, o addirittura di questo o di quel partito nazionale, danneggiano e indeboliscono il Parlamento, in quanto artificiosamente ne modificano la rappresentatività”.
[3] Su questo punto si era ancora espresso l’on. D’Angelosante (P.E. , Doc. supra cit. , p.40) secondo il quale “…l’opinione che alla procedura elettorale uniforme si possa dare attuazione per tappe va considerata errata, in quanto priva di base giuridica, ed anzi, contraddetta dalla normativa che regola la materia”.
[4] Nell’ambito dei “criteri” di scelta del sistema elettorale il relatore on. Seitlinger, della commissione politica, sosteneva che “il sistema elettorale deve avvicinarsi il più possibile ai modelli collaudati e familiari ai cittadini dei diversi Stati e non trascurare i valori essenziali della vita politica degli Stati membri”, in P.E., Doc. 1-988/81/B-C, p.4, lett b.
[5] L’on. Lomas, deputato laburista britannico, nel motivare il suo voto contrario alla proposta della commissione politica, ribadiva che “nel nostro paese preferiamo decisamente il sistema uninominale[…] in esso la responsabilità è diretta[…] noi rispondiamo ai nostri elettori, siamo sul posto quando vengono a dirci: vogliamo questo o non vogliamo quello[…] noi siamo responsabili”, in Discussioni del P.E., Seduta del 10 marzo 1982, allegato alla GuCe, p.103.
[6] Zagrebelsky – I meccanismi elettorali per l’elezione del Parlamento europeo e le loro implicazioni politiche, in Parlamento europeo – Forze politiche.

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