domenica 28 giugno 2009

Quale democrazia?

In Italia non è in discussione il fatto che si viva in un sistema democratico. Ciò può, in linea di massima, essere anche vero, ma quello di cui poco si discute è: di che qualità è la democrazia italiana? Al di là degli istituti di facciata, qual'è il reale grado di integrazione del cittadino nel sistema democratico e, in concreto, quali misure mette in atto lo Stato per accrescere questo processo fondamentale? Tali domande, per nostra fortuna, qualcuno se le pone...

La dittatura è una forma autoritaria di governo in cui il potere è accentrato in un solo organo, se non addirittura nelle mani del solo dittatore, non limitato da leggi, costituzioni, o altri fattori politici e sociali interni allo stato. Analizziamo per benino la situazione italiana: a prima cosa che, di solito, mi dicono i berlusconiani, quando parlo di dittatura è « ma che sei scemo? Qui puoi dire quello che pensi liberamente, non come in Iran che ti ammazzano o ti arrestano ».

Manifestare liberamente - Non è cosi infatti, qui tu puoi dire quello che vuoi ai tuoi amici, ai tuoi parenti e su internet, ma se t'azzardi a contestare in pubblico un politico vieni subito identificato e portato in caserma [
video], se invece ti organizzi con qualcuno per una libera e pacifica manifestazione ecco che la polizia inizia ad usare il manganello [video]. Non hai nemmeno la possibilità di andare a manifestare in una piazza pubblica, perché questo diritto lo hanno solo quelli che « vogliono applaudire Berlusconi » [video], e nemmeno di fare delle domande [video]. Prego che non accada, ma temo che non siamo molto lontani dal pericolo "che ci scappi il morto".
Violenza e manganello producono solo altra violenza in maniera esponenziale. La storia insegna. Possiamo già dire che si tratta di dittatura? Non ancora, solo questo non basta. Ma sicuramente la libertà di manifestare è un elemeno fondamentale di ogni democrazia, che evidentemente in Italia non esiste.

Mantenere il potere in maniera illegittima - Continuiamo l'analisi. Una dittatura inizia sempre con un voto democratico: è stato così per il fascismo, è stato cosi per la più recente dittatura iraniana ed è stato così in Italia, nel lontano 1994; quando Berlusconi e la sua truppa sono saliti al potere. In Iran il governo ha utilizzato poi, le forze armate per mantenere il potere, in Italia, invece, è stato sufficente modificare la legge elettorale. In un colpo solo è scomparsa l'opposizione (la sinistra, i verdi e i radicali sono praticamente scomparsi dal panorama politico) ed è stato possibile far sedere in parlamento personaggi che nessuno di noi ha mai votato e che nessuno di noi avrebbe mai votato se non ci fosse l'attuale legge voluta...indovinate da chi?
Ma perché sono stati scelti? E da chi?. Anche questa è facile e non ve la dico. Chi avrebbe avuto altresì il coraggio di votare Dell'Utri (condannato a 9 anni per mafia), la Carfagna (ex subrette, esperienza politica 0), la Brambilla (vedi Carfagna), Cuffaro, Ghedini(« avvocarlamentare ») ecc...? Quindi possiamo affermare che quello attuale è un governo che non rappresenta e non ha mai rappresentato il popolo italiano, né di destra né di sinistra.
Non solo, infatti ci sarebbe anche da dire come questo governo nel momento in cui deve varare una nuova legge vergogna - vedi lodo alfano o ddl sicurezza - (che, com'è già successo, potrebbe suscitare perplessità all'interno della maggioranza stessa), ricorra sempre al voto di fiducia. Non è normale che un governo dopo un anno di mandato abbia già utilizzato per ben
21 volte il voto di fiducia. Se il voto sulla legge sicurezza e sul Lodo Alfano fosse stato anonimo (come accade per le votazioni ordinarie, diverse dalla "fiducia") state certi che né l'una né l'altro sarebbero passati. Non vi basta per sentirvi sotto un regime? Ok continuiamo.

Repressione - Un regime che si rispetti deve avere i suoi morti innocenti no? In Iran è cosi, a Cuba anche ecc...E in Italia? In Italia non è più cosi, non ci sono più morti ammazzati, ma ne abbiamo avuti migliaia e migliaia e non è un segreto. Tutti sanno che questa attuale classe politica è nata dalle stragi degli anni '90, tutti sanno che questo governo è nato grazie a accordi occulti con la criminalità organizzata. E tutti sanno quanti morti ci sono stati negli anni '90 in Italia. Ben 656 solamente in Sicilia dal 1983 alle stragi degli anni '90, non vi bastano questi morti? Oppure non li consideriamo tali perché non esiste il video su you tube?

Controllo della magistratura - Ma perché uccidere? Che senso ha? Si rischia una rivolta dell'opinione pubblica se vengono uccisi degli eroi come Falcone e Borsellino. Ecco allora le uccisioni « senza tritolo » (come le chiama Salvatore Borsellino), le uccisioni senza uccidere, gli omicidi come quelli di De Magistris, di Clementina Forleo, di Gioacchino Genchi, di Apicella, di tutta la procura di Salerno, di Luttazzi, di Biagi, di Montanelli e chi più ne ha più ne metta...Quando qualcuno indaga sui poteri forti, il procedimento che adottano è sempre lo stesso, danneggiano la sua immagine e trovano una scusa per toglierli l'indagine se si tratta di un magistrato, o per licenziarlo, se si tratta di un giornalista, più veloce, più indolore e soprattutto molto più discreto.
Se proprio la situazione è critica ecco l'avvocato di Berlusconi (nonchè parlamentare) Ghedini sempre pronto a sfornare una nuova legge ad personam che depenalizza il reato o rende immune il padrone, magari, come detto prima, ricorrendo al voto di fiducia.

Controllo dell'informazione - Tutto quello che abbiamo detto chiaramente non potrebbe avvenire mai in nessun Paese al mondo e tantomeno in Italia se non si controllasse la quasi totalità dell'informazione. In effetti il controllo dell'informazione è il punto cardine di ogni dittatura, così come d'altronde è scritto nel « Piano di rinascita democratica » di Licio Gelli (padre fondatore della P2, di cui Berlusconi faceva parte). Vediamo i dati: in Italia siamo 60.000.000 di abitanti, il 100% ha la possibilità di guardare la televisione in cui ci 7 canali su 7 sono di proprietà del governo, questo mi sembra innegabile. Mediaset è del premier, la Rai governativa ( le nomine le hanno addirittura fatta a casa di Berlusconi) e La7 è palesemente di parte, non potrebbe essere altrimenti visto che è controllata da Telecom Italia.
Da ciò deriva quindi che il 100% degli italiani possono vedere l'informazione del governo e tutto quello che ci propinano. Non voglio entrare nel dettaglio perché è chiaro a tutti che le informazioni sono spesso distorte o addirittura potremmo definirla disinformazione bella e buona. Le uniche voci fuori dal coro sono, o meglio erano, "Annozero" (ripreso a seguito di una senteza della magistratura) e "Report" (cancellato in questi giorni).
Qualcuno dirà che l'informazione la puoi trovare anche su internet ed è vero. Ma se consideriamo che un accesso a internet lo ha solo il 45,7% degli italiani ci rendiamo conto di come oggi questa informazione sia accessibile solo a meno della metà della popolazione. Ma Internet fa ugualmente paura ed è per questo che nel nuovo disegno di legge si cerca di imbavagliarla. Questa nota per esempio non la leggerete mai in un giornale e non la potreste mai e poi mai sentire al telegiornale o in televisione.

Lotta all'opposizione - Nelle dittature che si rispettano le opposizioni sono sterminate a fucilate o messe in galera. Per qualche misterioso motivo in Italia, sfiorando il grottesco, l'opposizione si è autoeliminata. Non parla, non protesta, non si sente volare una mosca dal lato del PD. Il buon Antonio fa quello che può, ma sicuramente non è abbastanza visto che viene lasciato completamente solo. Complicità? Stupidità? Non so, ma è un altro dato di fatto che in Italia non esista una vera solida opposizione.Ricapitoliamo, in Italia non è possibile manifestare liberamente se lo fai ti picchiano, ti arrestano o ti censurano, in Italia non è possibile e non è stato possibile eleggere democraticamente i parlamentari, in Italia l'informazione è sotto controllo di una ed una sola persona, in Italia non esiste l'opposizione, in Italia la magistratura è imbavagliata dall'avvocato Ghedini e dalle leggi ad personam. E' lecito domandarsi seriamente se in Italia siamo o no sotto dittatura? A voi l'ardua sentenza.

mercoledì 24 giugno 2009

Un'analisi/ testimonianza da Teheran: il colpo di stato della coppia Ahmadinejad-Khamenei

Jafar Naderi, LIMESONLINE

L'ultimo atto della guerra tra le due anime del clero al potere. La campagna elettorale e la svolta dei confronti televisi. La partecipazione al voto. Il ruolo del figlio della guida spirituale. Rafsanjani vuole sostituire Khamenei con una guida collegiale e molti ayatollah lo sostengono. Una possibile soluzione.


“La colpa dello Shah era che dichiarava: Vale solo ciò che dico io e non quello che vuole il popolo. Oggi chiunque si comportasse così, compirebbe un’azione destabilizzante e deprecabile.” (Da un discorso della Guida Suprema Khomeini a Qom nel lontano 21 marzo del 1979)

In questi giorni, qui a Teheran i mezzi di comunicazione sono più che mai scarsi. La tv di stato è al servizio di pochi ed è controllata direttamente dalla guida suprema, l’ayatollah Khamenei. I pochi quotidiani sono sotto il controllo della censura del Ministero delle Informazioni, vale a dire la polizia politica. mentre i giornali indipendenti sono stati chiusi per ordine di giudici compiacenti. A parte qualche tv satellitare, anche quella disturbata (sempre da parte del Ministero) per impedire una ricezione accettabile, per avere informazioni su quello che accade qui e nel mondo l’unico mezzo di comunicazione rimane Internet, più che mai rallentata e con quasi tutti i siti politici oscurati. Le pagine della rete si sfogliano faticosamente solo grazie a programmi che aiutano ad aggirare i filtri realizzati dal Ministero. Riusciamo ad avere notizie anche con i cellulari (quando funzionano) e possiamo avere un’idea di ciò che sta succedendo in questo paese.
Chi, in questi giorni avesse passeggiato per le strade di Teheran avrebbe visto che la folla inferocita, insieme ai cassonetti, a qualche autobus e qualche motocicletta dei poliziotti dei corpi speciali, bruciava anche le foto di Ahmadinejad e della guida suprema con quel suo sorriso gentile e quell’espressione da buon padre di famiglia. La scena rievocava gli avvenimenti di trent’anni fa, quando il regnante di turno era lo Scià.
Oggi, per il mondo intero, gli occhi increduli di una giovane sul punto di morire, simboleggiano un punto di svolta dell’immagine della Repubblica Islamica. Si chiamava Neda Agha Soltan, aveva ventisette anni e studiava filosofia. Era tra i manifestanti scesi in piazza per reclamare il diritto di conoscere quale fine avesse fatto il proprio voto. È stata colpita al cuore da un proiettile sparato da un basiji. Questi occhi simboleggiano l’ultimo capitolo di una lotta tra due anime che si sono affrontate fin dalla nascita della Repubblica Islamica e non si sono mai risparmiate colpi bassi. Le elezioni presidenziali del 12 giugno 2009 sono state il punto di svolta di questa lunga storia.
Con il discorso di Khamenei, alla preghiera di venerdi, è stata messa la parola fine a una convivenza apparentemente pacifica tra le due anime del clero. La storia della lotta tra le due anime, suddivise in varie fazioni, nasceva ai tempi di Khomeini, fondatore e padre spirituale della Repubblica Islamica. I protagonisti attuali di questa vicenda, tranne Ahmadinejad, che, all’epoca, era ventenne, sono quasi tutti i pochi fondatori della Repubblica rimasti.
Queste elezioni sono state molto particolari. La campagna elettorale è iniziata qualche mese fa con toni molto tiepidi e gente molto svogliata. Si poteva solo prevedere un astensionismo da record. La notizia della candidatura dell’ex-presidente Khatami, nello schieramento progressista ha dato però nuova linfa e vitalità alla campagna elettorale. Le cose si sono messe in movimento. Gli altri candidati erano Akbar Aa’lami, ex-parlamentare riformista, Mehdi Karrubi, ex-presidente del Majlis (il parlamento), Mohsen Rezai ex-comandante dei pasdaran e membro del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione e lo stesso presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad.
Quando Khatami ha iniziato la sua campagna elettorale, la risposta della popolazione delusa da Ahmadinejad, è stata straordinaria. Ma Khatami, minacciato da coloro che si sentivano in pericolo, con l’arrivo del candidato Mussavi, ex-primo ministro durante la guerra contro l’Iraq, ha deciso di ritirarsi e appoggiare quest’ultimo. I sostenitori di Khatami sono rimasti delusi, ma, con il tempo, è stato chiaro che la strategia dei riformisti era quella giusta.
Era chiaro ed evidente che Ahmadinejad non sarebbe riuscito a contrastare l’offensiva dei riformatori, che, contro i conservatori, oltre a Mussavi, avevano schierato anche Karrubi, che insieme ai voti delle minoranze etniche, essendo un clericale, poteva raccogliere anche quelli di una parte del clero. Il terzo candidato, Aa’lami, più estremista, avrebbe potuto prendere voti dai dissidenti e nella regione dell’Azerbaijan, in quanto azero ed ex-rappresentante di Tabriz in parlamento. Come era prevedibile, Aa’lami non è riuscito però a passare il setaccio rigido delle selezioni governative sui candidati e, per i riformisti, sono rimasti in campo solo Mussavi e Karrubi. Nello schieramento opposto, per affrontare il pericolo di crollo e per raccogliere i voti del malcontento dell’area dei conservatori, è sceso in campo in campo Rezaei, molto critico delle posizioni di Ahmadinejad, particolarmente sul piano economico.
I canditati che si opponevano al presidente uscente, nonostante non avessero accesso ai mezzi di comunicazione e si trovassero senza l’appoggio dei giornali, hanno iniziato, dunque, alla luce dei risultati deludenti del precedente governo, un lavoro capillare di propaganda grazie a Internet e hanno trovato terreno fertile per raccogliere il consenso popolare. Le due più importanti strutture militari, l’esercito dei pasdaran e i basiji, nonostante la legge vieti loro di interferire nella politica, si sono schierate apertamente con il presidente uscente. I generali dei pasdaran hanno rilasciato molte dichiarazioni che accusavano i riformatori di essere al servizio dell’imperialismo, del sionismo e di voler organizzare una sorta di rivoluzione di velluto. Hanno dichiarato inoltre che per difendere i valori della Rivoluzione non avrebbero esitato a usare la forza. La Guida – molto attenta a non schierarsi apertamente con il suo candidato prediletto – invitava tutti a essere moderati nei toni per non dare una mano ai nemici dell’islam, che non aspettavano altro per mettere sotto accusa le conquiste della Repubblica Islamica.
Per dare una parvenza di democrazia sono stati organizzati anche sei confronti televisivi tra i candidati. Durante questi confronti televisivi le cose hanno preso una nuova piega. La tattica di Ahmadinejad era la stessa che lo aveva portato al potere nelle precedenti elezioni: fare la vittima, attaccare tutti con il suo linguaggio populista, sostenere che i suoi avversari erano al servizio del diabolico e corrotto Rafsanjani, arricchitosi alle spalle dei diseredati.
Un attacco così evidente e violento alla terza carica istituzionale dello Stato era una cosa senza precedenti. Era chiaro che non avrebbe osato usare questo linguaggio contro uno dei pilastri della Repubblica Islamica senza il placet della Guida. Ovviamente, Rafsanjani ha protestato, ha chiesto di poter replicare alle accuse in tv, ma è stato inutile. Per tutta la campagna, Ahmadinejad ha continuato a usare questa tattica, mentre i suoi avversari lo accusavano di aver distrutto l’economia, portato il paese con il suo linguaggio rude e populista all’isolamento internazionale e rovinato l’immagine della nazione e della Repubblica Islamica. E’ stato anche accusato di malversazione e di allegra gestione dei fondi governativi provenienti dalla vendita del petrolio, per un ammanco di un miliardo di dollari, accertato dalla Corte dei Conti. A causa di una cattiva gestione ha sperperato decine di miliardi di dollari, i proventi del petrolio, riuscendo ad aumentare la povertà, la disoccupazione e l’inflazione in un periodo in cui il prezzo del petrolio era salito a 150 dollari al barile. E’ stato premiato con tempi supplementari di apparizione e di propaganda dalla tv di Stato, senza che i suoi avversari godessero della stessa opportunità.
Questo atteggiamento si è rivelato controproducente e i suoi avversari politici ne hanno beneficiato. Molti che avevano dichiarato di non voler andare a votare, di fronte alla prospettiva di una sua rielezione, hanno deciso di turarsi il naso e hanno scelto il male minore. Così il 12 di giugno c’è stata una partecipazione senza precedenti che ha superato anche lo storico risultato delle presidenziali in cui fu eletto Khatami. Il giorno delle elezioni la partecipazione è stata straordinaria. Per raggiungere l’urna erano necessarie mediamente tre ore. Ma tutti lo hanno fatto volentieri. Nel pomeriggio alcuni seggi hanno iniziato a chiudere le porte, con la motivazione che le schede elettorali erano esaurite. In alcuni seggi la gente ha rotto le porte per entrare. Sono quindi iniziate a circolare voci su brogli elettorali.

I primi risultati parziali del conteggio non quadravano e, il mattino dopo, quando sono stati dichiarati i risultati ufficiali, si è compreso che era in atto un vero colpo di mano. I brogli erano troppo grossolani. In centinaia di seggi avevano votato fino al 140% degli aventi diritto. Karrubi aveva ottenuto meno voti del numero dei militanti del suo partito. Un numero risibile con l’intento solo di umiliarlo. Nel frattempo, prima che si rendessero pubblici i risultati definitivi, il responsabile dell’ufficio informatico delle elaborazioni dei dati del Ministero dell’Interno, mandava i risultati al candidato Mussavi. I risultati erano diversi. Risultava che Mussavi aveva superato i 19 milioni di voti e il funzionario consigliava al presidente neo-eletto di preparare i festeggiamenti e il discorso alla nazione. Ma come sappiamo, le cose sono andate diversamente. Qualche giorno dopo, quello stesso funzionario, Mohammad Asghari, moriva in un incidente stradale.
Mussavi ha dichiarato subito di essere lui il presidente eletto: ma l’annuncio contrario della guida suprema, l’ayatollah Khamenei, ancor prima che l’organo preposto, il Consiglio dei Guardiani, ratificasse la regolarità delle elezioni, ha gelato tutti. Questo fu il momento della vera e profonda spaccatura delle anime della Repubblica Islamica. Khamenei aveva scelto di percorrere una strada senza ritorno. E aveva le sue ragioni. Innanzitutto voleva sbarazzarsi della vecchia guardia, di quelli che non gli davano molto credito. In primis il suo vecchio e fidato amico Rafsanjani, colui che aveva caldeggiato la sua candidatura nel 1988 e si era adoperato per innalzarlo al ruolo che tuttora ricopre.
Dopo la morte di Khomeini, il triangolo formato da Khamenei, Rafsanjani e il figlio maggiore di Khomeini, Ahmad, era riuscito in questo intento. I patti non furono rispettati da Khamenei. Ahamad Khomeini moriva in circostanze poco chiare, quasi subito, e la presenza di Rafsanjani restava una spina nel fianco. Inoltre gli altri grandi ayatollah non lo hanno mai accettato. Khamenei non era un ayatollah e per occupare questo ruolo era stata promulgata una legge ad personam che cambiava la Costituzione. Khamenei, che ha vissuto per anni nell’ombra di Khomeini, è malato e vecchio e vorrebbe vedere sul suo trono Mojtaba, suo figlio maggiore ed eminenza grigia della corte. Quest’ultimo sta ultimando i suoi studi di teologia con l’ayatollah Mojtahedi, con lezioni a domicilio. Mojtaba ha raggiunto il grado di mojtahed (giureconsulto) Tra qualche anno potrebbe essere nominato ayatollah e diventare il successore del padre.
Ahmadinejad è l’alleato giusto: per tutti gli anni della sua presidenza ha dimostrato una cieca obbedienza. Insieme ai pasdaran, che in questi anni hanno visto accrescere il loro potere economico e politico, formano un triangolo perfetto. Sono indispensabili l’uno all’altro. Sono consapevoli che la sconfitta di uno significherebbe la sconfitta di tutti. I pasdaran in questi anni hanno fatto passi da giganti. Nel governo di Ahmadinejad hanno avuto un ruolo chiave. Quasi il 30% dei posti di comando è nelle loro mani. Hanno ottenuto gli appalti più grossi, senza concorrenti e con gare a trattative dirette. Hanno rinforzato il loro indiscusso ruolo primario nel traffico di contrabbando delle merci e il loro fatturato in questo settore supera i 12 miliardi di dollari. Hanno il controllo di tutte le industrie militari ad alta tecnologia e dei contratti per costruire gasdotti, piattaforme petrolifere, grandi dighe, autostrade e ferrovie. Senza avere concorrenti. Con questo sistema gestiscono una holding che manipola interessi per decine di miliardi di dollari e senza l’appoggio di un eventuale governo poco compiacente, avrebbero molto da perdere.
La situazione internazionale richiede un atteggiamento fermo. Vogliono essere loro a gestire le trattative con gli Stati Uniti. Sono consapevoli dell’importanza del ruolo geopolitico dell’Iran e con gli Stati Uniti in difficoltà hanno deciso che è il momento di trattare con Washington e ottenere in cambio garanzie per mantenersi al potere.
Sabato mattina, la gente si è resa conto che era in atto un colpo di Stato. Il servizio di trasmissione degli sms era fuori uso da qualche giorno. Alle 17.00 le forze anti-sommossa si sono schierate nelle strade e alle 19.000 sono state messo fuori uso le comunicazioni con i telefonini. Le operazioni sono state dirette da Mojtaba, figlio maggiore di Khamenei, in stretti rapporti di affari con i pasdaran. Domenica alla manifestazione di protesta hanno partecipato tre milioni di persone. La polizia è intervenuta e molte persone sono rimaste ferite. Lunedì la polizia ha avuto l’ordine di sparare. Il resto è cronaca. Gli arresti dei capi carismatici dell’opposizione sono iniziati sabato sera, poi è stata la volta dei quadri intermedi e di tutti coloro che avevano un ruolo organizzativo. Il movimento è stato decapitato ma ha continuato ad operare. Le manifestazioni di protesta, anche senza capi, si sono succedute. Il colore verde, che è il colore dei sostenitori di Mussavi, è diventato il colore di tutta l’opposizione. Sono stati arrestati a centinaia tra manifestanti, sindacalisti e studenti. Khamenei ha deciso di scendere in campo direttamente. Per la preghiera del venerdì ha scoccato la sua ultima freccia contro i vecchi alleati, che, durante la cerimonia, hanno schierato in prima fila il peso della loro assenza. Ha dichiarato che Ahmadinejad era il suo prescelto e ha invitato tutti a comportarsi saggiamente e ad accettare il dato di fatto. Ha tolto ogni dubbio circa le sue intenzioni.
La cosa non è piaciuta a nessuno. Rafsanjani ha scritto una lettera a Khamenei e si è attivato per portare avanti con Khatami il suo vecchio progetto: sostituire la guida con un comitato di reggenza. E’ andato a Qom e ha contattato i grandi dignitari e i grandi ayatollah. Sembra che sia riuscito ad avere il consenso di almeno cinquanta personaggi importanti. Intanto, l’ayatollah Montazeri, critico da sempre nei riguardi di Khamenei, da questi estromesso e segregato agli arresti domiciliari, ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Rafsanjani, nelle sua lettera, ha scritto che sono stati messi in discussione i principi fondamentali della Repubblica ed è la fine per tutti, innanzitutto per Khamenei, che, in qualsiasi caso, è perdente. Se annulla le elezioni perderebbe la faccia, ma se continua a sostenere Ahmadinejad si mette contro milioni di iraniani che reclamano il loro voto. Khamenei sembra deciso a portare avanti la sua linea fino in fondo. Non pare che abbia altra scelta. Ha tentato di fermare Rafsanjani, perfino arrestando nel corso di una manifestazione la figlia, il nipote e altri due parenti, con l’accusa di fomentare la gente alla rivolta, ma ha dovuto rilasciarli due giorni dopo.
Intanto i rapporti diplomatici con la Gran Bretagna, accusata di fomentare i disordini, sono precipitati. Il presidente Obama dichiara, molto cautamente di essere umanamente dalla parte dei contestatori. Dopo che il Consiglio dei Guardiani ha dichiarato che c’è stato un errore di conteggio di solo 3 milioni di voti, certamente non sufficiente per annullare le elezioni, Khamenei ha concesso altri cinque giorni di tempo per approfondire le ragioni dei non eletti, forse per prendere tempo, forse per una sorta di arretramento dalle precedenti posizioni. Rezai, in un comunicato, ha dichiarato la sua fedeltà alla Guida Suprema e, nell’interesse della nazione e dell’islam in un momento cosi critico. ha ritrattato le sue rimostranze e rinunciato a contendere. Ma si prospetta un’altra soluzione: un presidente convinto o costretto a dare le dimissioni per il bene della patria, per amore verso la guida spirituale e per salvare l’islam.
Oggi, ci troviamo di fronte a un movimento trasversale di milioni di individui, tanto anomalo quanto straordinario. Un movimento senza capi carismatici e senza una precisa e definita connotazione ideologica. Per la prima volta nella storia iraniana dell’ultimo secolo assistiamo a un movimento non diretto da capi religiosi ma che ha, al suo interno, molti religiosi. Giungono notizie che alcuni generali dei pasdaran siano stati arrestati per essersi rifiutati di prendere parte alla repressione. Forse, dopo tanti tentativi, è la volta buona per gli iraniani per sperimentare la vera democrazia? I giochi sono ancora aperti.

lunedì 22 giugno 2009

Elezioni iraniane: lo scontro Khamenei-Mousavi

Amir Madani - scrittore iraniano, LIMESONLINE

La battaglia è appena iniziata. Le divergenze a Tehran (la capitale) e Qom (il principale centro religioso). I poteri della guida suprema. L'importanza delle due personalità e del loro luogo d'origine nello scontro in atto in questi giorni.


Il ragionamento dell’ayatollah Khamenei è molto chiaro: Rafsanjani e Nategh ed altri moderati pragmatici e figure veterane dell’islamismo governativo, “sono miei amici” , ma “le posizioni di Ahmadinejad sono più vicine alle mie”. Queste le parole dell’ayatollah Khamenei: “I quattro candidati alle presidenziali appartengono al quadro dello stato islamico, …ma il risultato del voto va rispettato e le manifestazioni di protesta devono finire”. L’ayatollah Khamenei per la prima volta ha lasciato la veste formale di arbitro super partes, e si è espresso come un giocatore quale è sempre stato, sostenendo in modo chiaro e senza indulgi Ahmadinejad.
L’ayatollah, sostenuto dall’ala tradizionalista del clero e dai pasdaran (l’esercito politico di cui, secondo alcune voci a Tehran, alcuni comandanti sostenitori di Mousavi sarebbero stati rimossi proprio ieri , Ali Fazli sarebbe uno dei nomi) è sceso in campo soprattutto per ragioni interne e sollecitato dal figlio “Mojtaba” (che secondo le voci sostenuto da altri tre fratelli aspira alla successione) per garantire la continuità del regime e tracciare le linee di successione. Una linea politica basata sulla concentrazione e l’esercizio di un potere sempre più ampio che, trovandosi di fronte al grande movimento degli iraniani per i diritti e la legalità, incontra sempre maggiore difficoltà. Khamenei, nel suo discorso alla preghiera del venerdì, non ha mostrato il ramoscello d’ulivo, ha chiesto la resa incondizionata di Mousavi senza nominarlo.
Mousavi, dopo il discorso di Khamenei, ha chiesto nuovamente l’annullamento del voto, dicendosi , “pronto al martirio”. Con la battaglia aperta, la domanda in testa a Mousavi, dopo il discorso di Khamenei, dovrebbe essere questa: sarebbe possibile una riforma in senso democratico all’interno delle strutture dello stato islamico? Mousavi è convinto di sì, e dice di voler allontanare la menzogna e i pericoli che lo minacciano .
Le parole dell’ayatollah Khamenei intendono tracciare la via da seguire. Il peso delle sue parole è dovuto al suo ruolo e quell’insieme di poteri che possiede ed esercita: Khamenei, il leader (rahbar) supremo, secondo le prerogative costituzionali nomina i propri rappresentanti religiosi in tutte le città (ed altri paesi), i capi delle forze armate, del potere giudiziario, della radiotelevisione di stato e i membri del “ Consiglio dei guardiani”, quell’organismo che decide preventivamente sull’approvazione o confutazione di tutte le candidature ai vari livelli e ha la facoltà di abrogare le leggi del parlamento, se non le ritiene in conformità con la propria lettura della legge sacra.
Il Leader ( Vali Faghih , cioè il giureconsulto unico, vicario) ha voce in tutti gli aspetti della vita politica: è autorità somma nella politica estera, nella difesa, nella cultura, dove, de facto, i suoi consiglieri hanno un maggior peso rispetto ai ministri del governo. Per esempio, il suo consigliere per l’estero Velayati è considerato più autorevole rispetto al ministro degli esteri Mottaki. E il suo consigliere per la difesa generale Safavi è potente almeno quanto generale Najjar, il ministro della difesa.
Tutto ciò rende Khamenei il vero baricentro del potere che, controllando tutte le risorse e introiti vari, esercita a livello nazionale e regionale (attraverso collegamenti e nomine di stampo confessionale) un grande potere. Un’autorità che, a parere dei seguaci dell’ayatollah, è esercitata secondo la prerogativa della “giustizia” ed all’insegna della stabilità e della sfida lanciata alle potenze straniere. Mentre secondo varie fasce della società civile, del mondo del lavoro e della cultura, dei giovani, delle donne e delle minoranze, l’ayatollah Khamenei esercita un potere decisionista nell’interesse della propria parte politica e di una base elettorale considerata minoritaria ma caratterizzata da forti convinzioni ideologiche.
Il sermone dell’ayatollah di venerdì, che in modo deciso indica la necessità dell’accettazione del risultato del voto (“manipolato” secondo i riformisti) e la rinuncia alle manifestazioni di protesta, dimostra la ferrea volontà di esercitare questo potere, il cui nocciolo è centrato sull’alleanza organica tra l’ala tradizional-letteralista del clero (gli ayatollah Mesbah Yazdi, Kani, Yazdi, Khaz’ali, Ahad Khatami…), i nuclei dell’esercito politico (pasdaran) e l’alta borghesia del bazar.
Questo potere del leader supremo finora si era imposto basandosi sull’esclusione degli avversari sul piano interno, sfruttando annosi problemi come quello del dramma palestinese e le contraddizioni geopolitiche e i colossali errori dell’amministrazione Bush, sul piano esterno. In realtà, secondo alcuni osservatori (Newsweek in più riprese), l’ayatollah tutto sommato ha esercitato questo enorme potere all’insegna della stabilità e del pragmatismo, nel quadro della Repubblica Islamica di tendenza conservatrice .
Quel che preoccupa maggiormente tutti è quel che potrebbe succedere dopo di lui con i più intransigenti tradizionalisti come gli ayatollah Mesbah Yazdi e Mohammad Yazdi, che dichiaratamente dicono di voler sostituire la “ Repubblica Islamica” con “un Governo Islamico”. Secondo Mesbah e la sua corrente, de facto le elezioni sono una cerimonia per avallare la reale investitura di un leader prescelto dall’onnipotente e trovato e indicato dagli ayatollah tradizional-letteralisti. Secondo questa corrente il potere ha una origine celeste che il voto del popolo deve solo confermare e cominciare ad obbedire ad esso.
Comunque vadano le cose, come ha detto Fareed Zakaria alla CNN, questa idea dell’origine celeste del potere, a causa delle recenti manifestazioni e dell’accettazione da parte di Khamenei e del Consiglio dei Guardiani di fare un riconteggio seppur parziale dei voti , è vacillata. Si dissociano da questa linea letteralista semidominante gli esponenti moderati e centristi del clero sciita (gli ayatollah Javadi Amoli, Amini, Ostadi, Safi Golpayegani …), che si distanziano dalla figura dell’ayatollah unico come leader supremo e reclamano il potere per l’insieme degli ayatollah più autorevoli (per un collegio di ayatollah, marjaiyat).
Questa ala del clero, è vicina a Rafsanjani. Si distinguono alcuni ayatollah illuminati, fautori dell’interpretazione dei testi religiosi (Ijtehad), a partire dal Corano, secondo il tempo e il luogo (Sanei, Montazeri, Taheri Esfahani Ardebili Mousavi Bojnurdi, Mousavi Tabrizi, ,..). Questi ayatollah si sono schierati con i riformisti e con le anime della società civile che è guidata da Mousavi e sostenuta da Khatami e Karrubi. Mousavi, nonostante l’indicazione di Khamenei, ha fatto capire che intende resistere. La sera di venerdì, come altre sere, dopo il discorso dell’ayatollah Khamenei , i cittadini di Tehran e di altre città sono saliti lo stesso sui tetti per gridare: la grandiosità di Dio (“ Allah o Akbar”) , e “ Morte alla Dittatura” (marg bar diktatori) ed esprimere il proprio sostegno a Mousavi. Il giorno dopo, nelle imponenti manifestazioni di protesta, secondo testimonianze dei media di tutto il mondo, ci sono stati scontri durissimi.
A parte i forti disaccordi attuali di natura politica tra l’istanza finale del potere (l’ayatollah Khamenei) e il leader del movimento riformista (Mousavi), ci sono stati contrasti anche precedentemente. Nel passato, quando sotto la leadership dell’ayatollah Khomeini, il fondatore della Repubblica Islamica, l’uno presidente della repubblica (Khamenei) e l’altro primo ministro (Mousavi) avevano avuto forti dissidi riguardo l’amministrazione dello stato. Un dissenso forte dovuto anche alla formazione diversa: Mousavi è un islamista proveniente dagli ambienti universitari e soprattutto marito di una stimata intellettuale islamista (Zahra Rahnevard), mentre Khamenei proviene dai seminari tradizionalisti di Mashhad.
Tra i due c’è però anche una somiglianza base: Khamenei dell’etnia azero-turca è nato in una famiglia originaria di Khameneh in Azarbayejan ed è conosciuto come un personaggio caratterizzato da certezze politiche e ideologiche. Anche Mousavi, il leader riformista, è nato nella cittadina di Khameneh e ha un passato poco incline al compromesso, a differenza dell’etnicamente persiano Khatami che, come la maggior parte dei persiani, per ragioni storiche, tendono alla mediazione piuttosto che allo scontro. Mousavi non ha ceduto in passato ed anche oggi (nei suoi ultimissimi comunicati n-5 e 6) fa intendere che andrà avanti sulla via del ripristino della legalità insieme al movimento. Mousavi, già prima delle elezioni, aveva detto al Times di Londra: “anche l’ayatollah Khamenei, vedendo la forza della piazza, cederà …”. Sapeva già come sarebbero andati a finire gli eventi? Si era preparato? Hosseiniyan, un deputato proveniente dagli ambienti di sicurezza, ha detto: “in considerazione di quell’affermazione al Times, Mousavi aveva già programmato tutto”.. Quella di Hosseiniyan è la posizione dell’ala antiriformista più oltranzista dei sostenitori di Ahmadinejad che ha portato all’arresto di un gran numero di esponenti del riformismo più avanzato ma anche di riformisti moderati . Tutto fa pensare che la battaglia è appena iniziata.

giovedì 4 giugno 2009