venerdì 2 gennaio 2009

Dialogo o intransigenza? That is the question...


Il 20 gennaio Obama si insedierà quale leader di una nazione in difficoltà, che rimane però la massima potenza in un mondo in grande cambiamento. Subito avrà di fronte una serie di probemi, tra i quali il dossier Iran è uno dei più delicati: la questione del nucleare, l'influenza di Teheran in Iraq e Afghanistan, il petrolio e soprattutto il gas iraniano. La rinnovata escalation in Palestina e le ormai vicine elezioni presidenziali della Repubblica islamica influenzeranno gli eventi e, vista la presunta propensione di Obama al dialogo con gli Ayatollah, non è escluso un compromesso tra i due paesi. In caso contrario però si rischia un confronto militare cercato o accidentale nello Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia strategico per le forniture di greggio a Giappone, Europa e Stati Uniti.
Resta un'incognita il futuro politico dell'Iran, che nel 2009 vedrà i cittadini iraniani chiamati a esprimersi per le elezioni presidenziali. Se fino ad ora erano diversi gli indicatori che mettevano in cattiva luce l'attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad - le cui riforme promesse si sono tutt'altro che avverate, con la crescita dell'inflazione e l'aumento della disoccupazione - gli ultimi sviluppi sulla scena palestinese potrebbero in realtà rafforzare l'ala radicale della Repubblica islamica. L'offensiva lanciata dallo Stato ebraico sulla Striscia di Gaza, infatti, mette in luce proprio Ahmadinejad, che ha fatto della retorica contro Israele il suo punto di forza, invocandone la distruzione e negando l'Olocausto. Atteggiamenti, questi, che hanno però portato l'Iran all'isolamento sulla scena internazionale. L'inflazione, comunque, resta un problema in Iran, avendo raggiunto nel 2008 il livello del 30 per cento. Anche tra i conservatori, che un tempo sostenevano l'attuale presidente, non sono quindi mancate critiche contro Ahmadinejad. Ed e' proprio questo atteggiamento critico che ha portato alla nascita di una nuova ala "neo-conservatrice" che ha conquistato le elezioni parlamentari e dato nuovo potere ad Ali Larijani, che fino al 2007 era il principale negoziatore per la questione del nucleare sulla scena internazionale. Una carica abbandonata proprio per le divergenze con Ahmadinejad.
Sul piano nucleare, poi, l'Iran ha nuovamente respinto le richieste internazionali di sospendere il suo controverso programma di arricchimento dell'uranio sostenendone la natura pacifica contro tutte le accuse. Il risultato e' stata un'ulteriore risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e nuove sanzioni economiche contro la Repubblica islamica. Nemmeno l'offerta di incentivi occidentali presentata personalmente a Teheran a luglio dal capo della politica estera dell'Unione europea, Javier Solana, ha fatto cambiare idea al governo islamico. Nessun incentivo, ha detto chiaramente Ahmadinejad, potrà portare l'Iran a sospendere il suo programma nucleare. Intanto i test missilistici portati avanti dalla Repubblica Islamica, compreso il lancio di razzi per la ricerca dei satelliti, provocano sconcerto nella comunità occidentale. Il timore principale e' che tali missili vengano lanciati contro il nemico numero uno, ovvero Israele.
"La partita del nucleare iraniano resta infatti impregiudicata. Sarà al cuore del primo briefing strategico del nuovo presidente. Se il braccio di ferro col regime dei pasdaran non si concluderà con un compromesso, rischierà di sfociare forse per accidente in un confronto militare dagli esiti imprevedibili, salvo il più che certo blocco dello Stretto di Hormuz, collo di bottiglia strategico per le forniture di greggio a Giappone, Europa e Stati Uniti. La sfida con l’Iran è il centro di gravità della «guerra al terrorismo». In un modo o nell’altro, Obama si propone di concluderla. Salvando la faccia, possibilmente qualcosa di più. Servirebbe davvero un colpo di bacchetta magica per inventare un finale dignitoso alle avventure afghana e irachena. In ogni caso la sua sola bacchetta non basterà. Ci vorrà un magico concerto, con la partecipazione di tutti gli attori regionali e delle maggiori potenze. A partire da Cina e Russia. Non è uno scenario impensabile." ("Grazia sotto pressione" - editoriale di Limes 6/08, Progetto Obama)

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