domenica 25 gennaio 2009

Pac, una dieta per obesi: quando le istituzioni europee fanno orecchie da mercante

I ventisette paesi membri dell'Unione europea hanno adottato il 20 novembre 2008 la «valutazione sullo stato di salute» della politica agricola comune (Pac). L'accordo, concepito per «modernizzare» la Pac in prospettiva di una nuova riforma nel 2013, in realtà prosegue il suo smantellamento. Rispondendo alle esigenze dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), trascura le questioni dell'occupazione, della sicurezza alimentare e della protezione dell'ambiente, sia nel Nord che nel Sud.

Con quasi cinquecento milioni di consumatori potenziali, l'Unione europea rappresenta il primo mercato agricolo e alimentare solvibile del pianeta. È la prima regione importatrice ed esportatrice di prodotti agricoli (al pari degli Stati uniti) (1). Perciò, nell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) non si possono prendere decisioni senza l'approvazione dell'Unione, attore principale della deregolamentazione degli scambi mondiali. È quanto evidenziano le decisioni del consiglio dei ministri dell'agricoltura in occasione della «valutazione dello stato di salute» (v. il glossario a pagina 5) della politica agricola comune (Pac), preludio ad una profonda riforma prevista per il 2013 (2).
La Pac è stata a lungo l'unica politica comune decisa a Bruxelles e finanziata collettivamente dal bilancio dell'Unione, con un peso determinante (attualmente pari al 45%) nelle spese comuni. Ciò spiega anche perché essa sia stata considerata a lungo un pilastro della costruzione europea, prima che i liberisti la ritenessero uno spreco di bilancio e un ostacolo alla competitività economica. Istituita alla conferenza di Stresa (Italia) nel 1958, la Pac aveva l'esplicito scopo di garantire la sicurezza alimentare della Comunità economica europea (Cee). Occorreva fissare i prezzi agricoli ad un livello sufficiente da incoraggiare gli agricoltori a produrre a prezzi accessibili ai consumatori. Questo sostegno ai prezzi si fondava su un sistema di acquisti pubblici a tariffa minima garantita e sulla costituzione di stock regolatori. La scelta significava l'esplicito riconoscimento che il riferimento al valore sul mercato mondiale non fosse sufficiente ad orientare la produzione in funzione dei bisogni da soddisfare e che l'instabilità dei mercati agricoli giustificasse l'intervento regolatore dei poteri pubblici (3).
Sono state così instaurate, prodotto per prodotto, organizzazioni comuni di mercato (Ocm) che mirassero a garantire la preferenza comunitaria. Si trattava di assegnare la priorità alla produzione interna, grazie ad un sistema di diritti doganali prelevati sulle importazioni. Questi ultimi venivano adeguati continuamente secondo il livello dei prezzi mondiali, all'epoca strutturalmente inferiori ai prezzi europei. Esistevano comunque già delle falle in questo sistema, per esempio l'ingresso senza dazi delle colture oleoproteaginose (colza, soja, girasole, utilizzati essenzialmente per gli animali) - un'eccezione concessa nel quadro dell'Accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio (Gatt) sin dagli anni '60. In pochi anni, la Pac rivelò la sua efficacia. Grazie alla sicurezza dei prezzi, gli investimenti si svilupparono massicciamente e i rendimenti e la produttività del lavoro crebbero fortemente, permettendo di produrre di più con meno manodopera. I lavoratori in esubero riempirono dunque le fila dell'industria. Ma negli anni '70 il dispositivo si inceppa. L'autosufficienza è superata nelle principali produzioni che beneficiano degli Ocm, come i cereali e il latte. Le eccedenze si accumulano e devono essere smaltite sul mercato mondiale per mezzo di costose sovvenzioni all'esportazione (4).
Allo stesso tempo, l'esodo agricolo prosegue a ritmo sostenuto, mentre diminuisce l'occupazione industriale. Infine, l'intensificazione e la specializzazione dei sistemi di produzione si accompagna ad una crescente pressione sull'ambiente. La crisi si inasprisce negli anni '80, in seguito ad una contrazione della domanda internazionale e allo sviluppo della produzione dei paesi emergenti. I prezzi mondiali crollano, e le spese comunitarie di sovvenzione alle esportazioni esplodono. Il Regno unito, che ha raggiunto la Cee nel 1973, ha buon gioco nel denunciare gli eccessi della Pac: il primo ministro Margaret Thatcher raccoglie sempre più alleati all'interno e all'esterno della Comunità nella richiesta di una riforma profonda in occasione del negoziato commerciale che si apre con il Gatt, alla fine del 1986, a Punta del Este. È l'ora della deregolamentazione, per restaurare un libero mercato che dovrebbe favorire tutti: i consumatori e i contribuenti dei paesi sviluppati vedranno scendere i prezzi alimentari e le tasse; per quanto riguarda i paesi poveri del Sud, potranno arricchirsi esportando i prodotti per i quali dispongono di vantaggi comparativi, salvo poi importare le derrate alimentari di base che i paesi sviluppati propongono di fornire loro a basso costo.
A partire dal 1992 si avvia un processo ininterrotto di decostruzione degli Ocm. Solo il latte, sottoposto sin dal 1984 ad un regime specifico di quote, viene risparmiato fino al 2003. Le quote latte, strumenti di controllo dei volumi di produzione, permetteranno in effetti di ridurre in modo notevole le spese di sostegno e di garantire prezzi remunerativi alla produzione (5). Per le altre produzioni, le riforme successive del 1992, 1999 e 2003 puntano a riavvicinare i prezzi interni ai prezzi mondiali e a rendere la Pac conforme al Wto. I dazi doganali variabili lasciano il posto a prelevamenti fissi, che vengono progressivamente ridotti nel quadro di apertura degli scambi. In compenso, gli agricoltori ricevono aiuti diretti per ogni ettaro coltivato. Dopo il disaccoppiamento del 2003, non sono più obbligati a produrre per percepire i sussidi. Ma gli aiuti rimangono legati agli ettari coltivati, per cui si prosegue come in passato a sovvenzionare con fondi pubblici la sostituzione del lavoro con il capitale e la corsa all'espansione delle coltivazioni a scapito dell'occupazione.
È uno dei paradossi del neo-liberismo: si continua a versare aiuti diretti all'agricoltura. Al di là dell'incoerenza del discorso ideologico, si può tuttavia dare una spiegazione a queste evoluzioni. Il sostegno dei prezzi e la protezione del mercato europeo corrispondono all'obiettivo finale di consolidare la competitività dell'agricoltura, dell'agroalimentare e della distribuzione basata sullo sviluppo di un mercato interno che si allargava con inclusione di nuovi paesi membri. Ma quando le grandi società di trasformazione e distribuzione hanno rafforzato a sufficienza la loro competitività sul mercato europeo, rivolgono le loro attività verso l'esterno dell'Unione. A partire dagli anni '90 la diminuzione dei prezzi agricoli e l'accesso a produzioni importate a costo minore hanno aiutato la loro competitività internazionale.
La logica conseguenza di tale processo è la delocalizzazione delle attività di trasformazione nei luoghi di origine dei prodotti, cioè fuori dall'Unione. Lo dimostra l'esempio della società Doux, che ha trasferito una parte del suo approvvigionamento di polli e delle attività di macellazione in Brasile (6). I produttori agricoli europei che hanno scommesso sull'internazionalizzazione scoprono dunque di essere diventati inutili. Questa politica provoca danni sociali e ambientali rilevanti, mentre la liberalizzazione degli scambi si accompagna ad un'aumentata instabilità dei prezzi mondiali, con fluttuazioni sproporzionate rispetto ai costi di produzione. Quando i prezzi sono ai minimi, le colture agricole più produttive dei paesi ricchi non possono sopravvivere senza abbondanti aiuti diretti: all'inizio degli anni 2000 essi rappresentano oltre il 50% del reddito agricolo medio europeo (7).
Al contrario, dato che i sussidi sono attualmente svincolati dai prezzi e dal tipo di produzione, essi rappresentano una rendita ingiustificata versata ad alcune categorie di produttori quando i prezzi si infiammano. In tal modo, i coltivatori di cereali europei continuano a percepire massicce sovvenzioni nonostante il prezzo dei cereali e i loro profitti siano raddoppiati nel corso del 2007 e nel primo semestre del 2008 (8). E poiché tali aiuti rimangono legati alla superficie, senza alcun tetto sull'estensione o sull'occupazione, la concentrazione delle coltivazioni prosegue inesorabile. In alcuni nuovi paesi membri, come la Polonia e la Romania, essi minacciano un settore che dà lavoro ad oltre un terzo della popolazione attiva e indeboliscono particolarmente la piccola agricoltura familiare di sussistenza che funge da ammortizzatore sociale contro la crisi occupazionale.
Il bilancio ambientale della Pac non è migliore. Per fare bella figura, la Commissione Europea ha arricchito tutte le sue riforme di una vernice ecologista come l'ecocondizionalità e lo sviluppo rurale assurto, dal 1999, a «secondo pilastro della Pac». Questo rivestimento non riesce tuttavia a nascondere la tendenza fondamentale alla liberalizzazione dei mercati agricoli, con i suoi corollari, la selezione e la specializzazione delle colture più competitive. Tale evoluzione va a discapito dei sistemi più autonomi e più parsimoniosi (soprattutto le colture per il pascolo), generatori di effetti positivi per il paesaggio, la biodiversità, la qualità dell'acqua e dei suoli (9). Essa si accompagna ad una concentrazione delle produzioni nelle regioni più competitive e ad una desertificazione di quelle più sfavorite. Per quanto riguarda la gestione del territorio, si tratta di un vero trasferimento di produzioni. Le conseguenze per i paesi poveri sono altrettanto preoccupanti.
Le pratiche di dumping dei paesi ricchi sono state normalizzate nel quadro del Wto: la diminuzione dei prezzi è stata compensata da aiuti diretti massicci, come le sovvenzioni svincolate della Pac, considerate non distorsive dei mercati da parte del Wto. Insieme allo smantellamento delle protezioni doganali (l'unica politica di protezione accessibile per i paesi poveri), il dumping conduce ad una distruzione inesorabile delle capacità di approvvigionamento dei paesi più poveri e ad un aumento sensibile della dipendenza alimentare. Infine, lo smantellamento dei meccanismi di sostegno ai prezzi e di stoccaggio dei prodotti nella maggior parte dei Paesi impedisce ogni reazione possibile in caso di tensioni sui mercati. Così, le scorte di cereali sono diminuite regolarmente dal 1995, fino a raggiungere il livello minimo degli ultimi 25 anni nel 2008.
La crisi alimentare mondiale non deve dunque sorprendere. Gli squilibri strutturali si rivelano sempre a partire da eventi congiunturali: il brusco aumento dei prezzi alimentari nel 2007 e nel primo semestre del 2008 ha aggravato una situazione endemica (925 milioni di persone malnutrite, di cui 75 milioni in più solo nel 2007, secondo l'Organizzazione delle Nazioni unite per l'alimentazione e l'agricoltura [Fao]). L'aumento deriva da disuguaglianze mondiali provocate da una serie di scelte economiche. Tuttavia, l'Unione europea le ha sostenute in seno al Fondo monetario internazionale (Fmi), alla Banca mondiale, nei negoziati bilaterali con i paesi del Sud e nei negoziati multilaterali. Per accelerare il raggiungimento di un compromesso al Wto, essa ha riformato in anticipo la sua Pac nel 2003. Non si tratta certo di rivalutare la politica agricola «storica», di cui abbiamo ricordato i danni sociali ed ambientali. Ma ciò non può portare, al contrario, a giustificare lo smantellamento di ogni meccanismo di regolazione dei mercati. Senza dubbio, la maggior parte dei prezzi agricoli sono in forte diminuzione da qualche mese. Ma questa evoluzione dei prezzi indica soprattutto un'instabilità cronica dei mercati, a cui le istituzioni comunitarie e internazionali propongono di lasciare libero sfogo. Tutto procede come se la recente inversione di marcia dei prezzi avesse cancellato la crisi acuta e le «sommosse della fame» della primavera 2008 in decine di paesi del Sud (10). Dopo aver spiegato nell'aprile del 2008 che questa dura prova si sarebbe rivelata salutare a lungo termine, il direttore generale del Wto Pascal Lamy pose le sue condizioni: «Se vogliamo che sia così, occorre che il commercio funzioni» anche se «a breve termine, non ci sono buone notizie per molti paesi in via di sviluppo (11)!».
Occorre parafrasare John Maynard Keynes? Saranno tutti morti prima che la medicina di Pascal Lamy dia i suoi frutti. Ma ciò non mette affatto in imbarazzo il direttore generale del Wto, che insiste a voler concludere il ciclo di negoziati di Doha (12) e a chiedere una liberalizzazione senza precedenti degli scambi agricoli. Dopo un tentativo in luglio, in cui l'India ha rifiutato le condizioni dell'accordo per tutelare i suoi agricoltori, Lamy ha tentato inutilmente di rilanciare i negoziati ministeriali a metà dicembre. Con il sostegno di Catherine Ashton, che è appena succeduta a Peter Mandelson alla carica di commissario europeo per il commercio, sperava nell'approvazione forzata di un accordo al Wto, possibilmente prima della fine della presidenza di George W. Bush. Dal canto loro, le istituzioni comunitarie ignorano i molti allarmi lanciati dal mondo associativo, dai ricercatori e da un crescente numero di politici e addetti ai lavori. Come se nulla fosse, esse continuano lo smantellamento degli strumenti di regolazione dei mercati agricoli. Poco importa che il mito liberista stia crollando, e che i poteri pubblici stiano intervenendo massicciamente per salvare i mercati finanziari. Poco importa che gli Stati uniti abbiano abbandonato il disaccoppiamento dei finanziamenti dalla produzione nel 2002 in favore di «aiuti agricoli anti-ciclici», modulati in funzione della situazione dei mercati (13). A Bruxelles, il dogma della deregolamentazione e del laissez-faire è ancora valido. Nulla, infatti, nelle decisioni adottate il 21 novembre 2008 in occasione della «valutazione dello stato di salute» della Pac lascia intendere una qualsiasi correzione della politica in atto dal 1992: sempre meno regolazione pubblica (soppressione graduale delle quote latte, riduzione del sostegno ai prezzi), sempre meno vincoli ai sussidi (nonostante gli sprechi e delle clamorose iniquità rilevate), sempre meno solidarietà tra gli stati e le regioni, con un rafforzamento del cofinanziamento da parte delle comunità nazionali e territoriali, che non è nient'altro che una ri-nazionalizzazione delle politiche agricole (14).
Mentre accelera lo «smantellamento del territorio» in nome della competitività, ci si propone, in nome dello sviluppo rurale, di correggerne marginalmente i danni più evidenti. Malgrado le dichiarazioni di principio sulle nuove domande sociali, non si può non constatare che l'obiettivo essenziale della Commissione europea rimane la prosecuzione, in forma rinnovata, della ristrutturazione «produttivista» dell'agricoltura. Tuttavia, l'Unione europea potrebbe svolgere un ruolo determinante per reindirizzare i negoziati in corso e promuovere un nuovo ordine alimentare mondiale. Le soluzioni esistono. Esse si basano sul principio della sovranità alimentare, che implica una regolazione concertata degli scambi internazionali sotto l'autorità delle Nazioni unite. In questo nuovo quadro, la stabilizzazione dei prezzi mondiali e la garanzia di prezzi interni stabili che riflettano i reali costi di produzione dovrebbero corrispondere, in cambio, ad un rafforzamento delle condizioni sociali ed ambientali della produzione, un controllo dei volumi ed una redistribuzione degli aiuti tra agricoltori. La solidarietà con i paesi poveri richiede anche l'abbandono degli accordi di libero scambio a vantaggio di accordi preferenziali più rigidi, l'aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo agricolo e l'abbandono della produzione di bio-carburanti che contrasti con la produzione alimentare.
Infine, la crisi alimentare non può essere risolta a danno degli imperativi ecologici, poiché gli squilibri climatici e l'esaurimento dei suoli rappresentano altrettanti fattori aggravanti. Il rapporto della Valutazione internazionale delle scienze e delle tecnologie agricole al servizio dello sviluppo (Eistad) mette per esempio l'accento sullo sviluppo dell'agro-ecologia - che intende associare agricoltura e protezione dell'ambiente in un processo qualitativo e non quantitativo - filiere corte tra produttori e consumatori, e sulla valorizzazione delle conoscenze contadine e locali (15).

FONTE: di Jean-Christophe Kroll e Aurélie Trouvé, docenti ricercatori in economia agricola e alimentare all'Etablissement national d'enseignement supérieur agronomique di Digione (Enesad) - articolo in Le Monde diplomatique, gennaio 2009

NOTE:
(1) Cfr. il «Manuale di statistica» della Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), Ginevra, 2008. Il primato dell'Unione europea è inteso in termine di valore e per l'insieme dei prodotti agroalimentari, salvo i prodotti forestali e della pesca.
(2) L'ultima riforma della Pac, introdotta nel 2003 per il periodo 2005-2013, comportava una «clausola di rendez-vous» nel 2008 al fine di procedere ad una valutazione a metà percorso e ad eventuali correzioni. Tale clausola è stata denominata «Valutazione dello stato di salute» della Pac.
(3) Cfr. l'analisi di Jean Marc Boussard, «Faut-il encore des politiques agricoles?», Déméter 2001. Economie et stratégies agricoles, Armand Colin, Parigi, 2000, pp. 139-204.
(4) Tali aiuti, denominati anche restituzioni, vengono versati agli esportatori per rimborsare lo scarto tra un prezzo minimo garantito ai produttori europei e un prezzo di mercato, molto più basso all'epoca.
(5) Tali spese rappresentano il 40% del bilancio agricolo della Cee all'inizio degli anni '80 e il 6% nell'Unione europea nel 2005, secondo la Commissione europea. Nel 1990, esse rappresentavano oltre il 65% delle spese europee.
(6) Leggere Tristan Coloma «Il colosso multinazionale che tratta tutti i polli del mondo», Le Monde diplomatique/il manifesto, luglio 2008
(7) Bollettino statistico dell'Istituto nazionale di statistica e degli studi economici, Parigi, 7 luglio 2008.
(8) Statistiche agricole annuali, ministero dell'agricoltura e della pesca, Parigi 2008.
(9) Cfr. Commissione europea, «Environmental integration and the Cap», Bruxelles, 2002
(10) Leggere Anne-Cécile Robert, «Sono rari gli agricoltori che coltivano il grano», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 2008
(11) Intervista con l'Agenzia di stampa africana, 20 aprile 2008.
(12) Questo ciclo di negoziati al Wto, che segue quello dell'Uruguay del 2001, è tuttora in corso nonostante fosse previsto che esso si concludesse entro il 1° gennaio 2005.
(13) Nel 2008, una larga maggioranza del Congresso americano ha votato una riforma della politica agricola che rafforzasse gli strumenti di regolazione dei mercati e dei redditi.
(14) Commissione europea 20 novembre 2008
(15) Questo studio, realizzato su scala internazionale, è stato pubblicato il 15 aprile 2008: www.agassessment.org (Traduzione di A. D'A.)

lunedì 12 gennaio 2009

mercoledì 7 gennaio 2009

Women and children first

Fuoco sulle scuole dell'Unrwa (Onu), a Jabaliya e Rafah. Uccise almeno 42 persone, per lo più donne e bambini convinti di aver trovato un rifugio sicuro. Israele: sapravano da là. L'Onu: nessuno era armato. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza bloccata dal veto Usa prolunga l'impunità israeliana. Ma i 'terroristi' restano sempre loro: civili, in maggioranza donne e bambini. Essi rappresentano il futuro della Palestina e in tempi di bomba demografica, c'è da giurarlo, restano e resteranno un obiettivo del governo di Tel Aviv.

venerdì 2 gennaio 2009

Dialogo o intransigenza? That is the question...


Il 20 gennaio Obama si insedierà quale leader di una nazione in difficoltà, che rimane però la massima potenza in un mondo in grande cambiamento. Subito avrà di fronte una serie di probemi, tra i quali il dossier Iran è uno dei più delicati: la questione del nucleare, l'influenza di Teheran in Iraq e Afghanistan, il petrolio e soprattutto il gas iraniano. La rinnovata escalation in Palestina e le ormai vicine elezioni presidenziali della Repubblica islamica influenzeranno gli eventi e, vista la presunta propensione di Obama al dialogo con gli Ayatollah, non è escluso un compromesso tra i due paesi. In caso contrario però si rischia un confronto militare cercato o accidentale nello Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia strategico per le forniture di greggio a Giappone, Europa e Stati Uniti.
Resta un'incognita il futuro politico dell'Iran, che nel 2009 vedrà i cittadini iraniani chiamati a esprimersi per le elezioni presidenziali. Se fino ad ora erano diversi gli indicatori che mettevano in cattiva luce l'attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad - le cui riforme promesse si sono tutt'altro che avverate, con la crescita dell'inflazione e l'aumento della disoccupazione - gli ultimi sviluppi sulla scena palestinese potrebbero in realtà rafforzare l'ala radicale della Repubblica islamica. L'offensiva lanciata dallo Stato ebraico sulla Striscia di Gaza, infatti, mette in luce proprio Ahmadinejad, che ha fatto della retorica contro Israele il suo punto di forza, invocandone la distruzione e negando l'Olocausto. Atteggiamenti, questi, che hanno però portato l'Iran all'isolamento sulla scena internazionale. L'inflazione, comunque, resta un problema in Iran, avendo raggiunto nel 2008 il livello del 30 per cento. Anche tra i conservatori, che un tempo sostenevano l'attuale presidente, non sono quindi mancate critiche contro Ahmadinejad. Ed e' proprio questo atteggiamento critico che ha portato alla nascita di una nuova ala "neo-conservatrice" che ha conquistato le elezioni parlamentari e dato nuovo potere ad Ali Larijani, che fino al 2007 era il principale negoziatore per la questione del nucleare sulla scena internazionale. Una carica abbandonata proprio per le divergenze con Ahmadinejad.
Sul piano nucleare, poi, l'Iran ha nuovamente respinto le richieste internazionali di sospendere il suo controverso programma di arricchimento dell'uranio sostenendone la natura pacifica contro tutte le accuse. Il risultato e' stata un'ulteriore risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e nuove sanzioni economiche contro la Repubblica islamica. Nemmeno l'offerta di incentivi occidentali presentata personalmente a Teheran a luglio dal capo della politica estera dell'Unione europea, Javier Solana, ha fatto cambiare idea al governo islamico. Nessun incentivo, ha detto chiaramente Ahmadinejad, potrà portare l'Iran a sospendere il suo programma nucleare. Intanto i test missilistici portati avanti dalla Repubblica Islamica, compreso il lancio di razzi per la ricerca dei satelliti, provocano sconcerto nella comunità occidentale. Il timore principale e' che tali missili vengano lanciati contro il nemico numero uno, ovvero Israele.
"La partita del nucleare iraniano resta infatti impregiudicata. Sarà al cuore del primo briefing strategico del nuovo presidente. Se il braccio di ferro col regime dei pasdaran non si concluderà con un compromesso, rischierà di sfociare forse per accidente in un confronto militare dagli esiti imprevedibili, salvo il più che certo blocco dello Stretto di Hormuz, collo di bottiglia strategico per le forniture di greggio a Giappone, Europa e Stati Uniti. La sfida con l’Iran è il centro di gravità della «guerra al terrorismo». In un modo o nell’altro, Obama si propone di concluderla. Salvando la faccia, possibilmente qualcosa di più. Servirebbe davvero un colpo di bacchetta magica per inventare un finale dignitoso alle avventure afghana e irachena. In ogni caso la sua sola bacchetta non basterà. Ci vorrà un magico concerto, con la partecipazione di tutti gli attori regionali e delle maggiori potenze. A partire da Cina e Russia. Non è uno scenario impensabile." ("Grazia sotto pressione" - editoriale di Limes 6/08, Progetto Obama)

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