mercoledì 7 marzo 2007

Occasioni sprecate

Il secondo anniversario dell'uccisione di Calipari (4 marzo 2005) offre l'occasione per alcune riflessioni. Le già tese relazioni con Washington - specchio di una situazione che va avanti da un po' - hanno ricevuto benzina sul fuoco dalla presa di posizione della procura di Roma (8 febbraio) in merito alla vicenda. Per il dipartimento di difesa americano il caso è "chiuso". Per il gup Sante Spinaci, invece, il caso è quantomai aperto: non si limita al rinvio a giudizio e all'indicazione della data di apertura della discussione in Corte d'Assise (17 aprile), ma scrive alcune pagine che smontano la versione Usa e gettano pesanti dubbi sul comportamento dei "nostri alleati".
I toni sono forti: "La condotta di Lozano appare sorretta da dolo diretto, finalizzata a raggiungere l'obiettivo di bloccare l'autovettura anche mediante il ferimento e la morte dei suoi occupanti. Eventi questi certamente previsti e alternativamente voluti [...] l'insussistenza dell'esimente dall'adempimento di un dovere derivante da un ordine" sarebbe provata dalla "macroscopica violazione delle basilari regole d'ingaggio". Pesante anche il commento sui tentativi Usa di ostacolare l'inchiesta italiana, dal momento che "non è stato conservato lo stato dei luoghi, sono stati rimossi i veicoli e distrutti i diari dei servizi di quella sera".Dopo non aver voluto in alcun modo partecipare al processo penale, si tratta di vedere se "i nostri alleati" vorranno almeno accettare quello civile. Processo che quindi si farà, ma solo in contumacia - gli americani non accettano di estradare. Ad ogni modo un segnale di forte dissenso.
Nel giro di pochi mesi concediamo il raddoppio di una base sul nostro territorio, ingoiamo un'interferenza diplomatica quantomeno indebita e arrogante, confermiamo il nostro impegno a favore di una guerra preventiva da loro scatenata e cosa riceviamo? Ma più che altro cosa abbiamo chiesto ai "nostri alleati"? Semplicemente la possibilità di poter processare - perché noi li processiamo, non li impicchiamo - il presunto colpevole, per provare, appunto, se lo è. La vicenda si colloca nell'ambito del problema del mancato riconoscimento reciproco della giurisdizione, nonostante diversi trattati - anche bilaterali - di cooperazione giudiziaria e l'elemento importante è rappresentato dall'aver fatto emergere la sussistenza di un delitto politico: oltre alla morte di un uomo è stato colpito un interesse "supremo" dello Stato.
Da Washington risponderanno sicuramente "picche" e terranno lo stesso comportamento se dovessimo eventualmente richiedere la rogatoria per gli agenti Cia responsabili del rapimento di Abu Omar.
Già...Abu Omar! Proprio in questi giorni la vicenda è tornata alla ribalta, come sempre poco pubblicizzata - perché l'opinione pubblica italiana non deve sapere. Da Washington, per bocca di John Bellinger, consulente legale del segretario di stato Condi Rice, esprimono a chiare lettere il categorico rifiuto ad ogni richiesta di estradizione degli 007 americani, mentre la Farnesina ha scaricato la patata bollente al ministero di Grazia e Giustizia. E così, messo alle strette, il ministro Mastella ha annunciato che, dopo il silenzio in cui si era trincerato per mesi, è pronto ad intervenire in Commissione Giustizia di Palazzo Madama. Ancora una decina di giorni, dunque, e sapremo la decisione sulla richiesta di estradizione presentata dell'autorità giudiziaria milanese.
Ma esiste anche un'altra possibilità: l'intervento della Corte Costituzionale, l'unica in grado di togliere il governo dall'imbarazzo nel gestire la vicenda. Nelle scorse settimane, infatti, l'esecutivo ha presentato un ricorso alla Corte, ipotizzando la presunta violazione del segreto di stato da parte dei magistrati (i pm Spataro e Pomarici) titolari dell'inchiesta sul sequestro dell'ex imam di Milano. Se il ricorso dovesse essere accolto, non solo la questione dell'estradizione riceverebbe un colpo mortale, ma anche il processo che partirà l'8 giugno prossimo - e che vede tra gli imputati l'ex direttore del Sismi, Niccolò Pollari - potrebbe fermarsi. Ciò, nonostante Human Rights Watch abbia denunciato la sparizione di 38 prigionieri e l'Europarlamento abbia approvato (14 febbraio) il rapporto sulle extraordinary rendition e le attività illegali della Cia in Europa.
Silenzio colpevole degli stati europei a parte, quello che preoccupa di più è la chiave di lettura che gli americani danno all'intera vicenda, non solo assolutoria ma anche rivendicativa. Come dire: questo è il modo con cui si combatte il terrorismo. Superando il diritto internazionale, creando un doppio binario per gli imputati di terrorismo, svuotando le procedure giudiziarie, azzerando le garanzie processuali, pretendendo su questo di avere piena copertura dai governi alleati. Non andare contro a questo sistema è un delitto. E queste sono tutte occasioni sprecate.

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