martedì 2 ottobre 2007

Birmania, la scoperta dell'acqua calda

Nell'ultima settimana la cosiddetta "comunità internazionale" si è improvvisamente accorta che qua e là per il mondo esistono dittature che opprimono il popolo dello Stato sotto il loro controllo. Hanno, insomma, scoperto l'acqua calda.

UN PO' DI STORIA - Indipendente dalla Gran Bretagna dal 1948, la Birmania è stata governata per oltre un quarto di secolo (1962-1988) dalla dittatura militare di stampo socialista del generale Ne Win. La "Via Birmana al Socialismo" di Ne Win passa attraverso l'accentramento del potere in un partito unico, la nazionalizzazione delle imprese e la soppressione della stampa indipendente. Il Paese sprofonda in una drammatica crisi economica e sociale e iniziano le rivolte delle guerriglie indipendentiste ai confini orientali.
Nel 1988 scoppiano le prime proteste popolari delle opposizioni e delle minoranze vittime della politica razzista del regime (dominato dalla popolazione maggioritaria birmana). La nuova giunta militare al potere, Consiglio per il Ripristino della Legge e dell'Ordine dello Stato (Slorc), reagisce uccidendo e arrestando migliaia di persone e ricorrendo sistematicamente alla tortura. Aung San Suu Kyi, leader del principale partito d'opposizione, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) - e premio Nobel per la Pace nel 1991 - viene messa agli arresti domiciliari (vi resterà fino al 1995). Nell'89 i generali cambiano il nome della Birmania in Myanmar e della sua capitale Rangoon in Yangon. In seguito a una crescente pressione internazionale, i militari al potere consentono libere elezioni multipartitiche nel 1990. L'opposizione del Ndl ottiene una vittoria schiacciante, ma la giunta decide di annullare il voto e riprendere il potere.
Lo Slorc, capeggiato dal generale Saw Maung, impone la legge marziale, incarcera tutti gli oppositori politici e intensifica la persecuzione delle popolazioni karen e shan. Per combattere i loro movimenti indipendentisti che contendono a Yangon il controllo del Triangolo d'oro (le regioni di frontiera con Thailandia, Laos e Cina ricche di piantagioni d'oppio e crocevia del narcotraffico internazionale) la giunta scatena un vero e proprio genocidio, con massacri di civili e deportazioni di massa. Gli eserciti di Myanmar e Thailandia si scontrano sulle frontiere: Yangon accusa Bangkok di appoggiare le milizie secessioniste, e Bangkok rimprovera a Yangon di essere direttamente responsabile del massiccio traffico di droga verso il proprio territorio.
Nel 1997 la rinnovata pressione della comunità internazionale costringe la giunta militare ad alcune concessioni. Ma i cambiamenti promossi dal generale Than Shwe, succeduto nel '92 a Saw Maung, sono solo di facciata. Il Myanmar esce in parte dal suo isolamento internazionale entrando nell'Asean (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) e lo Slorc si rinomina Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (Spdc). L'obiettivo è quello di ottenere la fine delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti con le accuse al governo birmano di violazione dei diritti umani (molto interessante è una scheda di Amnesty international). La giunta continua di fatto a impedire l'attività politica dell'opposizione e San Suu Kyi, liberata nel '95, torna agli arresti domiciliari nel 2000.
All'inizio del nuovo millennio Myanmar sfiora la guerra con Thailandia e Bangladesh e perde il sostegno incondizionato della Cina. Bangkok e Pechino non vedono più di buon occhio le attività del Triangolo d'oro controllato da potenti signori della guerra e della droga e in cui si incrociano gli interessi dei governi e delle milizie di confine. La diplomazia prova a risolvere le controversie con una serie di visite illustri: a Yangon arrivano il primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra e il presidente cinese Jiang Zemin. Nel 2002 Myanmar ufficializza i rapporti con la Russia avviando un progetto comune di ricerca nucleare.
Nel giugno 2002 Suu Kyi, appena liberata, compie il suo primo viaggio in provincia. Ma dopo aver tentato invano d'instaurare un dialogo tra Nld e giunta, nel maggio 2003 viene nuovamente arrestata. Nel 2003 il presidente degli Stati Uniti George Bush rinnova le sanzioni economiche, i rapporti con la Thailandia restano tesi e l'Unione Europea non include il Myanmar tra i paesi a emergenza umanitaria.

GLI ULTIMI SVILUPPI - La cronaca di questi giorni è sotto gli occhi di tutti e, anche per questo motivo non è mia intenzione stare qui a ripercorrerla. Del resto ci sono siti come peacereporter che offrono informazioni in materia molto più dettagliate di quelle che posso fornire io.
Quello che, invece, mi interessa è cercare di convincere chi legge di queste cose che la giunta militare non ha certo fatto tutto da sola. Non dovrebbe, infatti, essere un mistero che la Birmania dopo la sua indipendenza si ritrova stretta in una morsa tra due giganti regionali come India e Cina. Se la protesta dell'88 soffocata in un immenso lago di sangue non fece e non ha fatto più notizia è perché ha fatto comodo così. Cina e India hanno, infatti, potuto fare il loro comodo acquistando oro, rubini, zaffiri, petrolio, sfruttando le immense foreste di tek (o teak) e circa 60 tipi di raccolti tra cui riso, grano e the: il Myanmar è uno scrigno di risorse con una popolazione rurale tra le più povere al mondo (cliccare sulla cartina - anche se un po' datata - per ingrandirla e vedere nel dettaglio le maggiori risorse presenti). Oggi, invece, i cinesi non sono affatto contenti e hanno fatto pressione sulla giunta affinché, per lo meno, non si vengano a sapere notizie certe sul bilancio e sulla fine dei morti. Motivo: alla vigilia delle olimpiadi Pechino non vuole di certo rovinare il clima dell'evento che porterà la Cina nell'ambito del palcoscenico globale.

IPOCRISIA - Anche dalla stampa occidentale non c'è poi da aspettarsi molto: ora che la notizia è 'calda' tutti ne parlano, ma fra qualche tempo è certo che non se ne saprà più niente, almeno per il grande pubblico e per chi non continuerà ad informarsi. Spuntano, così, sui giornali italiani articoli a dir poco ipocriti che, in un certo senso, sembrano semplicisticamente addossare un po' della colpa di quello che succede ai turisti che, viaggiando in Birmania, finanzierebbero di fatto la dittatura.
Personalmente, non credo che non andare in Birmania abbia molto senso. Certo gli introiti vanno alla giunta, ma sarebbe come far scendere quella povera gente nel dimenticatoio, dove tra l'altro si trovava anche prima dell' attuale e improvvisa scoperta del mondo di una situazione insostenibile. Credo, nonostante tutto, che il turismo (almeno un certo tipo di turismo) possa contribuire a fornire un minimo reddito anche a quella povera gente. Che, oltretutto, venendo a contatto con persone che vivono al di fuori della loro realtà, possono rendersi conto di come si vive in altre parti del mondo e, tramite questa via, acquisire maggiore consapevolezza sulla loro orribile condizione.
Io punterei piuttosto il dito contro i cinesi e gli indiani, contro multinazionali come Total e Unocal, su paesi come la Thailandia, Israele e la stessa Italia che rimpinguano la giunta di armi (alla faccia delle sanzioni), sugli affaristi della catena di gioielli Tiffany (che si sono subito preoccupati di far sapere al mondo che loro non comprano pietre preziose dalla Birmania - si certo...come in Angola, Namibia o Ruanda, ma chi ci crede?) o sui soliti stupidi presidenti Usa che comminano sanzioni economiche (Clinton '97 e Bush '03) credendo di mettere i militari in difficoltà. E, invece, contribuiscono soltanto ad uccidere quella povera gente. Certo, è apprezzabile sapere che ci sono visitatori scrupolosi che si informano su come evitare di dare i loro soldi ai dittatori, ma non siamo ipocriti: questi signori possono fare i loro interessi perché ci sono i furfanti su citati (qui una lista di ditte che fa affari con il regime) che traggono da loro immensi profitti. E permettono, di converso, anche al regime di farne. Molto più consistenti di quelli che la giunta riesce a realizzare con il turismo.

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