domenica 25 maggio 2008

Violenze in Sudafrica: ritorno al passato?

Le violenze sono state etichettate molto sbrigativamente come xenofobe, ma le cause sono molto più complesse. Dalla guerra tra poveri alle negligenze politiche. E una domanda che dal passato torna tristemente foriera di orrori: il razzismo è inevitabilmente strutturato nella società sudafricana?

1. Secondo le prime stime dell’
Ufficio delle migrazioni internazionali (OIM), circa 13.000 immigrati avrebbero abbandonato i quartieri poveri di Johannesburg. Nel week-end scorso, centinaia di giovani neri sudafricani armati di coltelli, maceti e fucili hanno dato sfogo alla loro rabbia contro gli immigrati prendendo di mira cittadini originari dei paesi confinanti (tra cui lo Zimbabwe) e residenti nelle bidonville che accerchiano la capitale economica sudafricana. L’orgia di violenza - il bilancio ufficiale delle aggressioni è di 42 morti e di un centinaio di feriti - ha messo sotto shock la classe politica del Sudafrica, ormai decisa a reprimere sul nascere qualsiasi tentativo di aggressione armata attraverso il dispiegamento delle forze dell’ordine. Episodi come quello di Reige Park, dove alcuni migranti sono stati arsi vivi, è purtroppo sintomo che tra le comunità immigrate si sta diffondendo a macchia d’olio il sentimento di vendetta.
Al pari dei leader politici, giornalisti e esperti del Sudafrica si interrogano sui motivi che hanno spinto i neri sudafricani a prendersela con i migranti. La stampa locale condanna le violenze contro gli immigrati che negli ultimi giorni hanno causato più di quaranta morti in tutto il paese. Secondo il quotidiano Cape Argus, "le manifestazioni di xenofobia devono naturalmente essere condannate, ma questo è solo l'inizio. Bisogna elaborare al più presto una politica sui rifugiati e riportare la situazione alla normalità: i nostri fratelli africani non devono più sentirsi in pericolo in Sudafrica solo perché sono stranieri". Oggi il 23% dei sudafricani è disoccupato, e se si tiene conto dei lavori frustranti e sfruttati la proporzione sale al 43%. Nelle tonwship si lotta ogni giorno per sopravvivere. Purtroppo, vedendo sbarcare gli immigrati disposti a tutto pur di mandare a casa qualche soldo ai familiari, qualcuno tra i neri si è convinto che il migrante è un ormai il primo nemico sul mercato del lavoro. Ma non è così. Di recente, alcuni studi hanno dimostrato che la presenza degli immigrati era sopravalutata. Si dice che attualmente ci siano oltre tre milioni di cittadini zimbabweiani presenti in Sudafrica, ma è probabile che si tratti di una cifra gonfiata.

2. Non tutti concordano sulle cause dell'ondata di violenze. "Le autorità parlano di azioni xenofobe commesse da criminali, ma questa tesi è riduttiva e rischia di alimentare le violenze. Bisogna trovare le vere cause di questo odio e, nel frattempo, trattenersi dal rilasciare dichiarazioni irresponsabili", osserva Pretoria News. Vero è che si è in presenza di sentimenti di frustrazione dilaganti tra le comunità nere del Sudafrica rimaste escluse dall’ascesa sociale del periodo post-apartheid. Dopo decenni di segregazione razziale, i neri erano convinti che la conquista del potere dell’Anc (
African National Congress, il partito di Nelson Mandela) avrebbe consentito loro di accedere a una vita migliore. Purtroppo si è verificato esattamente il contrario. L’accesso ai posti di potere politico ed economico è stato un fenomeno riservato a un’infima minoranza che oggi non esita a ostentare i segni di ricchezza: tutti simboli che hanno minato le speranze di quelli rimasti ai bordi della strada. Secondo alcuni commentatori il governo sudafricano ha sbagliato a ignorare la crisi nel vicino Zimbabwe, all'origine degli enormi flussi di profughi che si sono riversati oltre la frontiera. Il columnist di Cape Times, Peter Fabricius, sostiene che "l'esplosione di violenza deve essere analizzata nel più ampio contesto della politica estera sudafricana. Pretoria ha sempre negato l'esistenza di una crisi in Zimbabwe e, di conseguenza, non ha saputo gestire l’impatto che questa ha avuto sul nostro paese". Sul Times, Justice Malala ricorda che in Sudafrica vivono tre milioni di zimbabwiani e osserva: "Queste persone non sarebbero qui se nove anni fa il presidente Thabo Mbeki avesse osato affrontare il suo amico Robert Mugabe".
Se si scava a fondo nella questione, si viene a conoscenza che non è mai esistito un programma chiaro per gestire la presenza degli immigrati in territorio Sudafrica. A questo si aggiunge il problema delle frontiere che non sono controllate, ma la cosa più grave è che molti sudafricani non fanno la differenza tra una presenza illegale da quella legale. In passato, si sono verificati molti casi di immigrati buttati in carcere per motivi futili quando invece erano totalmente in regola con l’amministrazione sudafricana. L’aspetto peggiore risiede, quindi, nel fatto che il governo non ha mai fatto nulla per contrastare la xenofobia: già nel 1997 la Southafrican Human Rights Commission aveva denunciato in un rapporto che il razzismo era il pericolo più grande a cui era confrontata la nazione, ma da allora, la classe politica non ha mosso un dito per arginare questo fenomeno. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: la società sudafricana è una delle più violente del mondo (qui un report di giugno 2006).

3. Molti, però, pensano che l’ostilità dei sudafricani verso gli stranieri sia radicata nella storia del paese. "Non abbiamo saputo decolonizzare le nostre menti", scrive Andile Mngxitama su City Press, mentre un editoriale dello stesso quotidiano lancia un appello: "Noi più di qualunque altra nazione al mondo dovremmo rifuggire la xenofobia. Questa follia deve finire". In questo senso, è molto approfondita l’analisi che fa
Elke Zuern (ricercatrice presso il Dipartimento di Studi politici del Sarah Lawrence College, Stati Uniti), da anni impegnata nell’analisi dei fenomeni politici e sociali del continente africano, in special modo del Sudafrica a cui sta dedicando un progetto di ricerca sulle disuguaglianze socio-economiche del periodo post-Apartheid. Secondo la Zuern, la tesi che un certo senso di xenofobia sia radicato nella storia del Sud Africa è decisamente plausibile.
“Basta guardare alla sua storia. Durante l’apartheid, il razzismo violento era un fenomeno strutturale nella società sudafricana. Escludere e uccidere un nero era considerato normale fino agli anni ‘80, così come prendersela con un bianco per motivi di vendetta. Oggi molti si dicono sorpresi del fatto che cittadini neri se la prendono con altri neri provenienti dallo Zimbabwe piuttosto che dalla Somalia. Ma qualcuno dovrebbe riflettere sul modo con cui i sudafricani sono stati cresciuti nel XX secolo. Si tratta innanzitutto di un problema culturale che peraltro non ha colpito soltanto la comunità bianca. Certo, il regime dell’apartheid è stato opera degli afrikaneers, ma anche tra i neri c’è chi ha coltivato sentimenti xenofobi e una certa cultura della violenza. Basta osservare la striscia di sangue che ha accompagnato l’ascesa di Mandela al potere. Il premio Nobel per la pace viene scarcerato nel 1989, per poi trionfare alle elezioni nel 1994. Tutti hanno sottolineano il carattere epocale di questa svolta politica, e sono la prima a salutare questo cambiamento, ma in pochi ricordano che durante questi anni sono state uccise 60.000 persone per aggressioni fisiche”.

APPROFONDIMENTI:
- L'onda xenofoba va, Irene Panozzo (lettera 22) - Il Manifesto, 24/05/2008;
- Il fallimentare successo di Thabo Mbeki, Maurizio Matteuzzi - Il Manifesto 24/05/2008;
- CARTOLINE: SUDAFRICA - Internazionale.

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