mercoledì 4 marzo 2009

Speciale Parlamento europeo - PARTE I

Il sistema partitico del Parlamento Europeo

Nel porre il tema dei partiti politici europei e delle prospettive che si aprirebbero per l’ evoluzione istituzionale dell’ Unione, si avanza solitamente l’opportunità di giungere ad una riduzione del deficit democratico, quale condizione per l’effettiva creazione di un’entità sovranazionale indipendente dai governi dei singoli Stati membri, mediante un più stretto collegamento con la società civile. Dalle prime elezioni dirette del Parlamento europeo fino al progetto Costituzionale, sono state molte le opinioni secondo le quali per alzare il tasso di democraticità dell’ Unione fosse necessario, in via preliminare, revisionare i Trattati istitutivi, quale condizione essenziale per il ridimensionamento dei poteri del Consiglio e per il potenziamento del ruolo del Parlamento. Esso, infatti, si caratterizza per la composizione e l’ organizzazione in forme marcatamente sovranazionali, ma non è stato in grado, almeno fino all’ introduzione della procedura di cui all’ articolo 251, di porsi quale organo di radicale opposizione nei confronti del Consiglio e della Commissione.
Purtroppo, però, neanche il Trattato Costituzionale (in attesa di ratifica) è riuscito a rafforzare in modo significativo il suo ruolo: sul piano delle riforme istituzionali, infatti, l’attenzione maggiore della Convenzione si è incentrata sugli aggiustamenti che si sono resi necessari per effetto dell’ allargamento, senza, però, che esse riguardassero anche il Parlamento. In particolare, sia la razionalizzazione della Commissione sia la riforma della Presidenza del Consiglio e del meccanismo di voto al suo interno hanno preso spunto dalla necessità di limitare un già elevato numero di commissari, dall’ inefficienza di una rotazione che avrebbe portato ciascun Stato membro a presiedere l’Unione una sola volta ogni dodici anni e mezzo e dai mutati equilibri demografici. È indubbio, infatti, che sia il Consiglio, attraverso una presidenza durevole e presumibilmente più autorevole, sia la Commissione, per mezzo di un ridimensionamento generale capace di migliorarne il funzionamento e la potenziale acquisizione di influenza in politica estera [1], escono notevolmente rafforzati. Lo stesso non si può dire del Parlamento, dal momento che non acquisisce nessun potere rilevante, fatta eccezione per l’estensione ad ulteriori materie della procedura di codecisione: le necessità dettate dall’allargamento hanno prevalso sul processo di democratizzazione dell’Unione. Non può, infatti, essere considerato rilevante neanche il potere di eleggere il presidente della Commissione, in quanto la procedura di elezione non differisce sostanzialmente da quella che nei precedenti Trattati veniva definita approvazione; al massimo la nuova dizione può indicare l’intenzione della Convenzione di sottolineare, in senso simbolico, l’importanza del Parlamento nel quadro democratico dell’Unione.
Alla luce di ciò, molte delle speranze sul futuro della “casa comune europea” sono riposte sulla nascita di partiti, operanti esclusivamente a livello europeo, capaci di coinvolgere ampi strati della popolazione nel dibattito politico e di sopperire alle lacune del Parlamento. Non a caso, infatti, parte della dottrina ha insistito, fin dai primi anni di nascita della Comunità economica europea, sul fatto che lo sviluppo degli europartiti costituisse un punto analitico rilevante per la valutazione del sistema politico dell’Unione [2]. I partiti politici sono presenti nell’architettura istituzionale europea attraverso tre tipi di strutture: i gruppi parlamentari, le federazioni transnazionali, anche se poco sviluppate e di tipo embrionale e i partiti nazionali. I gruppi parlamentari, che comprendono gli eletti di vari paesi appartenenti alle stesse famiglie partitiche o, comunque, a partiti nazionali ideologicamente compatibili, hanno svolto fino ad ora un ruolo assolutamente primario; funzione tra le più significative di quelle ad essi assegnate è stata di agevolare, tramite gli opportuni collegamenti con il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali, la caratterizzazione del primo come il “Parlamento d’ Europa”, alle cui deliberazioni si raccorda l’azione di quelli statali. È stato, inoltre, sostenuto dalla dottrina che la presenza dei gruppi nel Parlamento europeo riveste un’importanza, allo stesso tempo, formale e sostanziale [3].
Dal punto di vista formale essi sono le formazioni collettive con le quali si organizzano i lavori parlamentari: si distribuiscono i tempi di dibattito e di interrogazione, i posti nelle commissioni, le precedenze negli interventi e nelle dichiarazioni di voto, nonché le cariche dell’organizzazione parlamentare; dal punto di vista sostanziale, contemporaneamente, i gruppi svolgono la funzione di negoziare la formazione delle maggioranze parlamentari, compito che diviene fondamentale quando si tratti di deliberare su questioni controverse sulle quali è necessario che il Parlamento esprima tempestivamente la propria, al fine di completare l’iter decisionale comune: è questo il caso, ad esempio, delle procedure di bilancio, di codecisione e, per lo più nel passato, di quelle di cooperazione e di parere conforme.
Le organizzazioni extraparlamentari hanno, invece, la forma di federazioni transnazionali, nel caso delle famiglie politiche più importanti e consolidate come il Partito popolare europeo (Ppe), il Partito dei socialisti europei (Pse) e la Federazione dei Partiti liberali, democratici e riformisti europei (Ldre). Un caso particolare è rappresentato dalla Federazione dei Partiti Verdi (Fepv), che ha compiuto progressi notevoli nel cammino verso la sua transnazionalizzazione, iniziata nei primi anni novanta. Oltre a questi due tipi di strutture, a livello europeo sono rilevanti anche i partiti nazionali, in quanto sono attivi direttamente e in maniera più efficace nella politica dell’ Unione, ma soprattutto perché forniscono ancora l’unico canale di collegamento tra essa e la società civile.
Il compito di educazione politica dei cittadini dovrebbe, invece, essere prerogativa fondante degli europartiti, i quali hanno, purtroppo, visto il loro sviluppo fortemente rallentato a causa del monopolio che i partiti nazionali sono riusciti nel tempo a mantenere relativamente a tali funzioni. Questi ultimi, infatti, operano in entrambi i circuiti istituzionali dell’ Unione: il circuito intergovernativo, basato sul Consiglio dei ministri e sul Consiglio europeo, e quello sovranazionale, fondato sul Parlamento europeo e sulla Commissione. Le dinamiche esistenti tra i due circuiti costituiscono certamente uno degli aspetti principali dello sviluppo dell’ Unione, anche se, fino ad ora, l’intergovernativismo ha nettamente prevalso sul sovranazionalismo. A questo non si sottraggono i partiti politici, le cui azioni in qualità di attori nazionali in aree decisionali intergovernative sono state molto più efficaci di quelle intraprese a livello sovranazionale dai gruppi parlamentari o dalle federazioni transnazionali nella preparazione delle piattaforme comuni e delle campagne elettorali.
Non si è, quindi, sentita la necessità di potenziare quelle strutture (le federazioni transnazionali, appunto) che dovrebbero costituire un collegamento tra il Parlamento europeo e la società civile; esse rimangono indubbiamente delle istituzioni molto deboli dal punto di vista della visibilità, della forza degli iscritti, della professionalizzazione e della capacità finanziaria. Al tempo stesso, i gruppi parlamentari si sono dimostrati capaci di grandi progressi, grazie agli importanti incentivi (risorse materiali, nonché migliori posizioni nelle commissioni parlamentari e nelle cariche dirigenziali del Parlamento europeo) che vengono puntualmente stanziati per la loro formazione e il loro funzionamento [4].
Anche se le federazioni transnazionali che si sono effettivamente costituite, seppur a diversi livelli di complessità, sono solo quattro, esse hanno sofferto, ancor più dei gruppi parlamentari, della necessità di rispettare le particolarità e gli obiettivi delle loro componenti nazionali, le quali, soprattutto all’interno delle due federazioni maggiori (Ppe e Pse), appaiono spesso preoccupate di dover giustificare a livello nazionale le proprie azioni, limitandone, così, l’incisività a livello europeo. Ma c’è un altro dato che merita particolare attenzione: il ruolo di primo piano assunto da entrambe le federazioni, soprattutto nella preparazione delle posizioni comuni in occasione delle conferenze intergovernative, ha fatto passare in secondo piano la loro crescente disomogeneità interna. Questa minore compattezza, dovuta sia all’aumento del numero delle delegazioni nazionali che le compongono, provocato dai successivi ampliamenti dell’ Unione, sia all’estensione della propria membership a partiti provenienti da tradizioni diverse, vale in particolar modo per il Ppe, all’interno del quale all’originario nucleo democristiano si è prepotentemente affiancata la componente conservatrice. La Federazione dei liberali, democratici e riformatori, a sua volta, ha avuto sempre problemi di coesione come conseguenza di orientamenti ideologici assai variegati e di una generalizzata debolezza delle sue componenti nazionali. Per i Verdi, invece, il diffuso atteggiamento anti-burocratico e la chiara preferenza delle sue componenti nazionali verso sistemi decisionali decentrati e vicini alla base si sono finora tradotti in una evidente riluttanza nel creare un’organizzazione partitica compiutamente transnazionale.
Come già detto, più positivo è stato lo sviluppo di gruppi parlamentari; oltre ai motivi già esposti, ciò è dimostrato anche dalla loro inclusività e dalla loro coesione [5]: l’inclusività è osservabile attraverso le modifiche nelle appartenenze ai gruppi e, più precisamente, a seconda della loro consistenza numerica e della presenza di più delegazioni nazionali, mentre la coesione è data dal grado di accordo espresso nelle votazioni da parte dei parlamentari che li compongono. Nel corso degli oltre venti anni dalle prime elezioni dirette del Parlamento europeo, il sistema europartitico ha subito molti cambiamenti importanti e solo tre dei suoi componenti originari (Ppe, Pse e Ldre) sopravvivono. Ciò si spiega per il fatto che in parte l’evoluzione del sistema partitico parlamentare europeo è stata condizionata dai criteri numerici per la formazione dei gruppi, criteri che sono divenuti nel tempo progressivamente più restrittivi, favorendone il grado di inclusività. In passato, infatti, è stato possibile formare gruppi parlamentari composti da rappresentanti provenienti anche da un unico Stato membro, cosa che aveva consentito la formazione dell’effimero gruppo di Forza Europa, incarnazione europea di Forza Italia. Attualmente, invece, per formare un gruppo politico è necessario riunire almeno sedici deputati eletti in almeno un quinto degli Stati membri. Per quanto riguarda la loro coesione, invece, il trend si è mantenuto costante, mostrando un’invidiabile compattezza dei due gruppi maggiori (Ppe e Pse), anche se, sorprendentemente, sono i Verdi ad essere i più disciplinati [6]. Questo particolare offre una precisa e preziosa indicazione circa la difficoltà dei Popolari a mantenere serrate le proprie fila: la loro strategia di inclusività è stata pagata con una minore affidabilità dei comportamenti di voto da parte dei loro parlamentari.
Ad ogni modo, tutto il potenziale dei gruppi parlamentari, qui sinteticamente esposto, è rimasto, come già si è avuto modo di accennare, in larga misura inespresso a causa della debolezza del loro rapporto con la società civile, filtrato dai partiti nazionali e non stabilito saldamente da organizzazioni autonome come potrebbero essere le federazioni transnazionali. Tutto ciò ha avuto effetti negativi sullo sviluppo di veri e propri europartiti, sull’efficacia del Parlamento e sulla democraticità del sistema dell’Unione.

NOTE:
[1] Questa possibilità dipenderà molto dall’interpretazione che il Ministro degli Affari esteri farà del proprio mandato e da come vorrà conciliarlo con quello di vice-presidente della Commissione. Se è vero, infatti, che nella prima veste sarà cntrollato dal mandato attribuitogli dal Consiglio è vero anche che nella seconda sarà condizionato dal metodo collegiale della Commissione.
[2] Ernst B. Haas, The Uniting of Europe: Political, Social and Economical Forces 1950-1957, London, Stevens & Sons, 1958.
[3] Luciano Bardi – Partiti e sistema partitico nell’Unione europea, in K.R.Luther e F.Mueller-Rommel (a cura di) Political Parties in a changing Europe : political and analytical challenger, Oxford University Press.
[4] Per analisi più approfondite si vedano: Luciano Bardi – I partiti e il sistema partitico dell’Unione, in Sergio Fabbrini (a cura di) L’Unione europea.Le istituzioni e gli attori di un sistema sopranazionale, Laterza Roma-Bari,2002.
[5] F.Attinà – Il comportamento di voto dei membri del Parlamento europeo e il problema degli europartiti, in European journal of political research, 1994.
[6] F. Jacobs, R.Corbett e M.Shackleton – The European Parliament, fifth edition, London: Cartermill, 2003.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Buongiorno a Katu!
Hotrovato per caso il Suo blog, ma una sola è la mia domanda spontanea...perchè non firmarsi con nome e cognome?
Mi scuso, ma è un bellissimo blog e ne condivido molte idee...ma non trovo corretto diffondere notizie senza avere il coraggio di firmare almeno i propri articoli...Come mai?
Betty