mercoledì 12 settembre 2007

9/11, il tremendo dubbio mondiale

L'11 settembre 2001 mi trovavo a Perugia (dove frequentavo l'università) in uno studio oculistico quale semplice accompagnatore della mia ex-ragazza (la paziente) quando una tv accesa nella sala d'aspetto mi fece apprendere quello che stava succedendo a New York. La prima reazione fu quella di pensare - se vogliamo anche un po' cinicamente - che dopo tante malefatte era logico attendersi una sorta di contrappasso. Reazione inevitabilmente mutata dal susseguirsi degli eventi che rendevano la situazione tragica. Le valutazioni nei giorni seguenti le ho dedicate a quali effetti avrebbe portato un simile avvenimento: probabili guerre e tensioni, crisi economica, aumento vertiginoso del petrolio, morti e ingiustizie di ogni genere. Tutti puntualmente verificatisi. Mai avrei, però, pensato di assistere ad un'erosione delle garanzie costituzionali in difesa dei cittadini come quella che sta avendo luogo negli ultimi anni, con misure coercitive sempre più pressanti e facilmente giustificabili agitando lo spettro del terrorismo. Lo stato d'emergenza giustifica la violazione del diritto: è questo l'effetto meno pubblicizzato del 9/11.
In questi giorni, come nei precedenti anni, infuria la polemica tra ufficialisti e complottisti, rispettivamente chi accetta e chi rifiuta la ricostruzione fatta dal governo USA. La lascio ad altri, come quella che coinvolge l'ultimo video di Bin Laden (vero o falso?). Preferisco concentrarmi su cosa poteva fare il governo statunitense dopo l'11 settembre: raccogliere la solidarietà del mondo e rispondere alla violenza subita non lasciando impuniti i colpevoli, ma lavorare per la riapertura di un dialogo civile con il mondo (quello arabo) che attentatori e mandanti pretendevano senza titolo di rappresentare. E così quella che doveva essere una rapida vendetta per sanare la ferita subita si è trasformata in ciò che non ha mai smesso di farla sanguinare.

Nessun commento: