domenica 7 ottobre 2007

Se la voglia di verità uccide: un ricordo di Anna Politkovskaja

Il 7 ottobre di un anno fa Anna Politkovskaja, giornalista investigativa russa, veniva trovata morta nell'ascensore di un palazzo di Mosca. Era appena rincasata. La pista immediatamente seguita - e anche l'unica plausibile - è stata quella dell'omicidio su commissione, anche se ancora oggi il mandante è sconosciuto.
Ma a dispetto di quanto sosteneva Orwell, 2+2 fa sempre 4: la Politkovskaja, infatti, era una giornalista vera, una che amava il suo lavoro, lo svolgeva con grande dedizione e aveva una particolare passione per la verità. Per anni si era dedicata a scrivere quello che vedeva e quello che sapeva sugli orrori commessi in Cecenia dall'esercito russo. E aveva indicato a più riprese quali colpevoli di quelle ingiustizie Vladimir Putin e Ramsan Kadyrov.
Era, insomma, un'impicciona, una che chiacchierava troppo, una che poneva interrogativi scomodi (come dimostrano i tentativi di fare da mediatore per i fatti di Beslan - occasione nella quale non potè neanche iniziare a causa di un probabile tentativo di avvelenamento - e del teatro Dubrovka a Mosca) e andava quindi messa a tacere. Perché faceva paura al Cremlino.
Ha lasciato a tutti noi un'eredità enorme, anche se non la riceveremo mai nella sua interezza: un’inchiesta sulle torture in Cecenia non potrà mai essere pubblicata dal suo giornale, la Novaja Gazeta, perché la polizia russa come prima misura dopo la sua morte sequestrò tutti i suoi documenti, archivi, foto, etc. contenuti nel suo pc trovato nel suo modesto appartamento, anche se alcuni appunti sfuggiti al sequestro vennero pubblicati il 9 ottobre 2006.
Anna sapeva benissimo di essere nel mirino di coloro che aveva avuto il coraggio di denunciare all'opinione pubblica russa e mondiale. E lo aveva espressamente dichiarato anche nella sua ultima intervista.
Mi piace allora ricordarla con le sue stesse parole, quelle impresse nell'ultima pagina di un suo libro (Diario russo - 2003/2005) in un capitolo non a caso intitolato "Ho o non ho paura?". Sperando che un giorno anche gli altri 'giornalisti', soprattutto quelli di casa nostra, possano prendere esempio da lei e iniziare a scrivere quello che è realmente importante, a fare domande vere e a far sorgere nei lettori i legittimi dubbi che, invece, vengono oggi celati, nascosti, insabbiati, fatti passare sotto silenzio.
"Mi dicono spesso che sono pessimista, che non credo nella forza della gente, che ce l'ho con Putin e non vedo altro. Vedo tutto, io. E' questo il mio problema. Vedo le cose belle e vedo le brutte. Vedo che le persone vogliono cambiare la loro vita per il meglio, ma che non sono in grado di farlo e che per darsi un contegno continuano a mentire a sé stesse per prime, concentrandosi sulle cose positive e facendo finta che le negative non esistano. Per il mio sistema di valori, è la posizione del fungo che si nasconde sotto la foglia. Lo troveranno comunque, è praticamente certo, lo raccoglieranno e se lo mangeranno. Per questo, se si è nati uomini non bisogna fare i funghi. [...] Per il momento non si vedono cambiamenti. Il potere rimane sordo a ogni 'segnale d'allarme' che viene dall'esterno, dalla gente. Vive solo per sé stesso. Con stampato in faccia il marchio dell'avidità e del fastidio che qualcuno possa ostacolare la sua voglia di arricchirsi. Lo scopo è far sì che nessuno glielo impedisca: la società civile va calpestata e la gente convinta giorno dopo giorno che opposizione e opinione pubblica si nutrono al piatto della Cia, dello spionaggio inglese, israeliano e finanche marziano, oltre che alla ragnatela globale di al-Qaeda. Oggi come oggi il potere è solo un modo per fare soldi. E basta. Del resto non ci si cura. Se qualcuno ha la forza di godersi la previsione 'ottimistica', faccia pure. E' certamente la via più semplice. Ma è anche una condanna a morte per i nostri nipoti".
La sua di condanna a morte, purtroppo per lei e per noi, era già stata scritta.

Bibliografia (edizioni italiane):
- Cecenia, il disonore russo, Fandango, Roma, 2003 (un estratto: "Russia's secret Heroes")
- La Russia di Putin, Adelphi, Milano, 2005
- Proibito parlare, Mondadori, Milano, 2007
- Diario russo 2003-2005, Adelphi, Milano, 2007

Altre letture:
- "Ti chiamano terrorista" (l'ultimo articolo di Anna Politkovskaja)
- "Il mio lavoro a ogni costo" (saggio rimasto a lungo inedito)

2 commenti:

Fenjus ha detto...

Visto che ha lasciato anche il nome del suo blog, mi sono fiondato e le lascio questo commento con l'idea che non ci sia molta differenza, forse lei è un po' più estremista di me, sui contenuti, come potrà vedere sui due blog che potrà andare a vedere e che mi riguardano. Anna Politkovskaja era una di quelle persone che non la pensava come la sua amica citata nel blog di Carla Reschia...Giuseppe

Antonio Candeliere ha detto...

Io penso che sulla sua morte si stia strumentalizzando un pò troppo e che dietro ci siano dei giochi di potere che sicuramente non riguardano solo il Cremlino.