lunedì 11 febbraio 2008

Boicottaggio culturale? Meglio quello commerciale

La protesta di alcuni illustri personaggi - tra tutti Tariq Ramadan - all'invito fatto agli scrittori israeliani come ospiti d'onore alla fiera del libro a Torino ha suscitato infuocate polemiche che, in alcuni casi, sono scadute, da una parte e dall'altra, a mere accuse sensa senso. Le mie posizioni su Israele sono sempre molto critiche, ma in questa occasione mi sento di dover dire che il boicottaggio culturale è sempre sbagliato. Ed è sbagliato non perché Israele e la sua politica aggressiva non meritino di essere boicottate, ma perché il dialogo tra le culture è forse l’unico modo per raggiungere una futura pacifica convivenza tra i popoli. Tale convivenza non potrà, infatti, mai essere raggiunta attraverso il dialogo tra politici, e Annapolis ne è il più recente esempio (la conferenza non ha raggiunto nessun risultato, ha solo costituito il tentativo di Bush di creare un asse sunnita anti-iraniano).
Vi sono alcuni scrittori israeliani che sono davvero apprezzabili (Ilan Pappe, Uri Avnery, Amira Hass, Michel Warshawski, Avi Shlaim, Tom Segev - solo per citare quelli che ho avuto il piacere di leggere) e boicottare la loro opera intellettuale, oltre a quella di altri, mi sembra decisamente un peccato. Ma se il boicottaggio culturale è profondamente sbagliato, ciò non toglie che Israele andrebbe boicottata commercialmente (o con altri mezzi di forte pressione) quando si accanisce contro dei disperati che essa stessa ha decisamente contribuito a rendere tali. Del resto le sanzioni economiche in ambito ONU non si lesinano a nessuno: se il regime di Teheran è stato sanzionato per il suo legittimo diritto a sviluppare energia nucleare (art. 4 del TNP), non si capisce perché non possa essere sanzionato uno stato che si comporta fuori da ogni regola del diritto internazionale (qui le risoluzioni ONU da sempre ignorate dallo stato ebraico). Bombardare a tappeto un intero paese (Libano) solo perché nelle scaramucce lungo il confine nord (che erano e restano pressoché presenti ogni giorno) vengono uccisi dei soldati è fuori da ogni logica. Come è fuori da ogni logica trattenere in regime di apartheid 1,5 milioni di individui in un territorio angusto solo perché dei miliziani sparano i Qassam (che ovviamente non sono innocui, ma che – non mi stancherò mai di ripeterlo – non possono essere controllati balisticamente e quindi difficilmente riescono ad uccidere qualcuno). Certo, se ti uccidono dei soldati o dei civili devi necessariamente rispondere, ma non in una maniera così sproporzionata. Quando Israele si comporta così andrebbe boicottata con un blocco totale e con la cancellazione di ogni accordo (che sia bilaterale o meno), senza nessun tipo di riserva. Ma poi, chi si azzarda ad avanzare normalissime critiche viene subito tacciato di antisemitismo. Visto che siamo europei (e non libanesi o palestinesi) e non possono certo bombardarci o massacrarci, allora ci etichettano come ‘nazisti rossi’ (con evidente uso improprio dei termini).
Circa una settimana fa si è verificato il primo attentato sul territorio israeliano da un anno a questa parte. Voglio far notare che Hamas è totalmente estraneo a questa vicenda e che gli esecutori facevano parte della Jihad islamica (un gruppetto indipendente) e delle Brigate al-Aqsa (il braccio armato di Fatah): è importante sottolinearlo perché su Hamas si sentono e si dicono cose totalmente sbagliate e faziose. Voglio, però, anche far presente che il terrorismo contro Israele è un prodotto della sua politica: penso che se i palestinesi avessero ciò di cui hanno diritto, non starebbero certo a farsi saltare in aria. In una metafora: se teniamo un cane rinchiuso, legato, senza acqua e cibo, se lo maltrattiamo e lo picchiamo, non possiamo certo affermare che quel cane è di natura aggressivo. Dobbiamo necessariamente concludere che il suo comportamento è il risultato del nostro errore.
Ma nonostante io non sia d’accordo con il boicottaggio culturale, condivido quanto scritto da Gianni Vattimo in un articolo su La Stampa di un paio di giorni fa: il boicottaggio non è contro gli scrittori israeliani, ma contro il fatto che essi vengono “come rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessant'anni di vita festeggiando l'anniversario con il blocco di Gaza, la riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di bantustan nel triste ricordo dell'apartheid sudafricana), una politica di continua espansione delle colonie che può solo comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica”.
Il 27 gennaio è stato, come ogni anno, il giorno della memoria dell’Olocausto. Tutti lo abbiamo ricordato. Mi chiedo se siano gli ebrei a ricordarlo ancora.

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