martedì 26 febbraio 2008

Le motivazioni economiche dell'eventuale guerra all'Iran

* Post realizzato rielaborando un articolo di Ellen Hodgson Brown sul sito di Globalresearch. Ellen Brown ha lavorato come avvocato nei processi civili a Los Angeles, dove ha acquisito le sue competenze di ricercatrice. Nel suo ultimo libro, Web of Debt (Rete di Debiti) rivolge le sue abilità ad analizzare la Federal Reserve e il ‘money trust’. Dimostra come il cartello privato ha usurpato ai popoli il potere di creare denaro e come le persone possono riprendersi questo potere. I suoi 11 libri includono il bestseller Nature’s Pharmacy (La Farmacia della Natura), scritto insieme alla dott.ssa Lynne Walker, che ha venduto 285.000 copie. I suoi siti web sono www.webofdebt.com e www.ellenbrown.com.

1. L’ultima escalation di tensione tra Stati Uniti e Iran – episodio risalente al 5 gennaio in cui cinque navi da pattuglia iraniane hanno circondato 3 navi americane nello stretto di Hormuz, arrivando fino a ben 200 metri – rimane ancora contornato da circostanze misteriose. Gli osservatori scettici potrebbero pensare che si sia trattato di un tentativo di convincere i cittadini americani – e l’opinione pubblica occidentale - che l’Iran sia ancora senza dubbio una minaccia, nonostante il rapporto (Iran: Nuclear Intentions and Capabilities) del National Intelligence Estimate (NIE), il quale ha dimostrato che il paese non sta prendendo parte a un programma di armamenti nucleari, come era stato ampiamente dichiarato dalle stesse autorità di Teheran e dai vari ispettori che si sono alternati alla guida delle ricognizioni negli impianti del paese - almeno fino a quando, a seguito delle minacce e delle relative sanzioni a marchio Onu, non sono stati più ammessi.
Del resto, il presidente George W. Bush non ha mai abbandonato tale convinzione, tanto che, prima di partire per la sua visita in Medio Oriente, riferì al quotidiano israeliano Yediot Ahronot che “uno dei motivi per cui sto andando in Medio Oriente è il desiderio di chiarire, senza ombra di dubbio, alle nazioni che si trovano in quella parte del mondo che noi consideriamo l’Iran una minaccia, e che in nessun modo il NIE l’attenua”. Così come il repubblicano Ron Paul, il quale ha dichiarato candidamente che “C’è ancora una grande possibilità di un’azione nucleare contro l’Iran […] Ci sono ancora diversi neoconservatori che vogliono perseguire l’Iran anche sotto queste condizioni non credibili”. Si è solamente spostato l’obiettivo dagli impianti nucleari alla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, dipinta come un’organizzazione terroristica.

2. Perché allora cercare un pretesto, anche solo poco credibile, per fomentare l’ennesima dispendiosa campagna militare? Accertato che, infondo, l’Iran non è poi una vera minaccia alla pace e alla sicurezza globale, una teoria diffusa sostiene che l’impulso alla guerra riguarda esclusivamente il petrolio; ma molti altri paesi hanno il petrolio, e di solito non vengono invasi per ottenere le loro risorse. Perché andare in guerra per il petrolio iraniano quando è possibile comprarlo? Tra l’altro una cooperazione economica tra i due stati andrebbe a sicuro vantaggio delle companies americane. Un’altra teoria sostiene che la dimostrazione di forza riguarda la difesa del dollaro. L’Iran minaccia di aprire la propria borsa petrolifera, e sta già vendendo la maggior parte del suo petrolio in monete che non siano il dollaro. L’Iran ha, infatti, interrotto il controllo del petrodollaro imposto negli anni ’70, quando l’OPEC fece un accordo con gli Stati Uniti per vendere il petrolio solo in dollari americani. Ma come ha sottolineato William Engdahl in un editoriale del marzo 2006, l’Iran non è il solo a desiderare di abbandonare il dollaro come valuta per il petrolio, e fin dagli anni ’90 la guerra con il paese degli ayatollah era tra le opzioni della strategia americana per il Grande Medio Oriente, ben prima che esso minacciasse di aprire la sua borsa petrolifera.
Quando nel 2003 si invase l’Iraq, i motivi addotti furono, in un primo momento, il legame tra Saddam Hussein, al-Qaeda e gli attentati al WTC. Motivi decisamente ridicoli, tanto che furono immediatamente cambiati con la presunta presenza nell’arsenale del dittatore delle famigerate – e mai trovate – armi di distruzione di massa. La realtà, come è ben noto, risiede nel fatto che anche Saddam aveva in progetto di iniziare a sganciare la vendita del petrolio iracheno dal dollaro a favore dell’euro. Come è andata a finire è storia attuale.
Ad ogni modo, già nel 2000, l’Iran era l’obiettivo del famigerato saggio politico “Ricostruire le difese dell’America”, pubblicato dal PNAC (Project for a New American Century) e basato su un precedente progetto chiamato “Un taglio netto: la nuova strategia per rendere il regno sicuro”, preparato per il primo ministro israeliano Netanyahu nel 1996. Il PNAC (qui il sito) non è altro che un gruppo di esperti neo-conservatori - collegato all’establishment della Difesa e Intelligence americana, al partito repubblicano e al potente Council on Foreign Relations (Consiglio per le relazioni con l’estero) - che gioca un ruolo importante nel formulare la politica estera degli Stati Uniti. Nel saggio si richiedeva “l’imposizione diretta di ‘basi avanzate’ americane in tutta l’Asia Centrale e nel Medio Oriente, con lo scopo di assicurarsi il dominio economico mondiale, strangolando qualsiasi potenziale rivale o le eventuali alternative alla visione americana di un’economia di libero mercato”.

3. Nel XIX secolo il libero mercato era qualcosa cui molti americani si opponevano. Era considerato il piano britannico per sfruttare l’America e le sue risorse, in un periodo storico in cui i banchieri britannici possedevano l’oro, che era l’unica moneta del mercato internazionale. Quando lo standard dell’oro fu abbandonato nel 1971 (‘dollar gold exchange’, presidenza Nixon) il dollaro americano lo sostituì come valuta di riserva mondiale. Oggi molte persone nei paesi in via di sviluppo sospettano che il libero mercato mondiale americano sia un’altra forma di sfruttamento – paesi in difficoltà disposti ad essere saccheggiati delle loro risorse fisiche e umane per ottenere in cambio il prestito dei dollari necessari ad acquistare il petrolio a prezzi gonfiati. Il petrolio è l’esca per far cadere il mondo nella trappola dei debiti, e il terrorismo che deve essere soppresso non è altro che la ribellione di chiunque non si lasci intrappolare docilmente. L’arma in questa guerra economica è il debito, e i proiettili sono gli interessi composti.
Gli interessi composti hanno, insomma, permesso al cartello delle banche private mondiali di controllare la maggior parte delle risorse mondiali. La trappola del debito è stata preparata nel 1974, quando l’OPEC fu indotta a commerciare il petrolio esclusivamente in dollari americani. Il prezzo del petrolio allora quadruplicò all’improvviso (cd. shock petrolifero), e i paesi che possedevano una quantità insufficiente di dollari in relazione alle loro necessità petrolifere furono costretti a chiederli in prestito. Nel 1980 i tassi di interesse internazionali crebbero rapidamente fino al 20%. Al 20% gli interessi aumentano di anno in anno: 100 dollari presi in prestito raddoppiano in meno di 4 anni, e in 20 anni diventano ben 3.834 dollari. L’impatto sui paesi del terzo mondo fu devastante. Il presidente nigeriano Obasanjo nel 2000 si lamentò in questo modo: “Tutto ciò che abbiamo chiesto in prestito fino al 1985 erano 5 miliardi di dollari circa, ne abbiamo pagati circa 16 miliardi, tuttavia ci dicono che dobbiamo pagare ancora 28 miliardi. Questi 28 miliardi si sono realizzati a causa dell’ingiustizia dei tassi di interesse dei creditori stranieri. Se mi chiedete qual è la peggior cosa al mondo, io rispondo che sono gli interessi composti”.

4. Questo ‘demone’ governa le relazioni mondiali attuali condannando la maggior parte della popolazione mondiale a vivere sotto l’insegna del debito: ogni persona appena nata in America Latina deve 1.600 dollari per il debito estero; ogni individuo concepito nell’Africa Sub-sahariana porta con sé il peso di un debito di 336 dollari per qualcosa che i suoi antenati hanno ripagato già molto tempo fa. Nel 1980 il debito dei paesi del sud del mondo ammontava a 567 miliardi di dollari; da allora hanno pagato 3.450 miliardi di dollari in interessi e ammortamento, sei volte tanto l’ammontare originale. Malgrado ciò il debito è quadruplicato nel 2000 e ha raggiunto 2.070 miliardi di dollari.
Gli studiosi islamici hanno cercato di concepire un sistema bancario mondiale che possa essere un’alternativa al sistema basato sugli interessi che controlla l’economia mondiale, e l’Iran ha aperto la strada nella creazione di questo modello. L’Iran è stato in grado di sfuggire alla trappola del debito che ha catturato altri paesi in via di sviluppo perché aveva il petrolio. Poche banche islamiche esistevano prima che l’Iran diventasse una repubblica islamica nel 1979, ma il concetto si sta ora diffondendo su scala mondiale. Con la caduta della Cortina di Ferro nel 1989 il modello economico realizzabile che minaccia la dominazione mondiale dell’establishment bancario occidentale potrebbe non essere più il comunismo.
Il presidente Bush prima del suo viaggio in Medio Oriente ha rassicurato gli alleati: ”E’ importante che le persone di quest’area sappiano che, mentre tutte le opzioni restano sul tavolo, io credo che sia possibile risolvere questo problema diplomaticamente, e il modo per riuscire a far questo è mantenere isolato l’Iran dalla comunità internazionale”. Isolare l’Iran da chi? L’isolamento è qualcosa che viene fatto per prevenire il contagio. Il contagio che deve essere arginato potrebbe essere la creazione di un nuovo sistema economico che valuta certi tipi di tasso d’interesse alla maniera del sistema islamico, in cui non sono permessi (esclusa la zakhat). Forse il pericolo maggiore che l’economia americana in panne percepisce per sé stessa…

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