sabato 16 febbraio 2008

Escalation mediorientale

CAOS LIBANO - L’autobomba che ha ucciso martedì sera a Damasco Imad Mughniyeh - capo militare di Hezbollah e, quindi, principale artefice del fallimento dell'offensiva militare israeliana nel Libano del sud nell'estate del 2006 – costituisce un nuovo preciso segnale dell'escalation militare che si annuncia in Medio Oriente. L'ipotesi più concreta, ma non certo l'unica, è proprio quella di un'operazione del Mossad, il servizio segreto israeliano, che eliminando Mughniyeh ha voluto ricomporre l'orgoglio nazionale caduto in frantumi durante l'operazione del 2006: ora anche Ehud Olmert potrà lucidare la sua immagine scolorita di leader senza consenso. La soddisfazione ieri in Israele era alle stelle. Dall’ex capo Mossad, Danny Yatom, ora deputato laburista, al ministro Gideon Ezra, anch'egli ex comandante dei servizi di sicurezza, le parole sono state di piena felicità. Silenzio invece da parte di Meir Dagan, attuale numero uno dei servizi segreti israeliani, che deve comunque aver festeggiato alla grande un’operazione compiuta ancora una volta nel cuore della Siria, già colta di sorpresa lo scorso settembre quando gli aerei israeliani colpirono un obiettivo rimasto misterioso ma descritto da Washington e Tel Aviv come una centrale nucleare siriana in costruzione. Anche la soddisfazione di Washington non ha tardato ad arrivare per bocca di un portavoce del Dipartimento di Stato, secondo il quale “il mondo è un posto migliore senza quest'uomo”.
Mughniyeh era ricercato da anni dagli americani che lo ritenevano coinvolto nell'attentato del 1982 contro la loro ambasciata a Beirut, in quelli del 1983 contro le caserme delle forze Usa e francesi nella capitale libanese in cui morirono oltre 300 soldati, nel dirottamento del volo Twa Atene-Roma nel 1985, in vari rapimenti, nell'organizzazione dell'attentato del 1994 in un centro israeliano a Buenos Aires e persino negli attacchi dell'11 settembre. Per molti libanesi invece Mughniyeh, nato 46 anni fa nei pressi di Sidone, era un eroe della resistenza e ieri nei villaggi del sud del Libano si è gridata vendetta. Ovvie ed immediate sono state le reazioni a Teheran e Damasco, oltre allo scontato discorso di Nasrallah sulla capacità di Hezbollah di fronteggiare Israele qualora se ne dovesse presentare l’occasione.
Nonostante ciò, non manca chi è convinto che se i responsabili credevano con l’ autobomba di poter far saltare - assieme al capo militare di Hezbollah - anche il coperchio della crisi interna libanese, hanno fallito il loro obiettivo: “L'assassinio di Mughniyeh è fatto gravissimo ma non acuirà il clima di scontro che si vive nel paese…nessuno potrà alimentare la polemica ora che si è ripresentato alle porte del Libano il nemico esterno. La manifestazione per Hariri e i funerali di Mughniyeh passeranno senza incidenti e si leveranno invece voci a favore dell'unità del popolo libanese” [Hanadi Salman, caporedattrice del giornale progressista as-Safir]. E, come tiepido segnale della fondatezza di tale opinione, immediate sono state le condoglianze dei due avversari dichiarati di Hezbollah, il premier Fuad Siniora e il leader della maggioranza, Saad Hariri (figlio di Rafiq).
Dal canto suo, Nasrallah - accusato dagli antisiriani di fare gli interessi di Damasco e Teheran - ha nelle mani una nuova occasione per riaffermare che la milizia di Hezbollah difende il Libano dalle aggressioni esterne, auspicando che “i libanesi si riuniscano dietro al sangue versato dalla resistenza contro Israele”. Altro obiettivo è sicuramente quello di respingere i piani di disarmo della resistenza di cui è diventato principale portavoce il leader druso Walid Jumblatt, secondo il quale non esisterebbero possibilità di coesistere col movimento sciita. Il destino di tutti i libanesi – ormai esasperati per lo stallo politico che dura da mesi e non ha permesso l’elezione di un nuovo presidente - speriamo sia invece proprio quello di coesistere, con buona pace di Jumblatt.

ENNESIMO AVVERTIMENTO - “Noi siamo certi che gli iraniani sono impegnati in un programma serio, in parte clandestino, per acquisire capacità non convenzionali […] Niente cambierà questa nostra convinzione e se le sanzioni internazionali non indurranno Teheran a fermare il suo programma nucleare lo Stato ebraico non scarterà alcuna opzione”. E’ dalla Germania - il più fedele e accondiscendente degli alleati europei - che Ehud Olmert lancia un nuovo pesante avvertimento all’Iran, facendo chiaramente intendere che Israele è pronto a mandare i suoi cacciabombardieri all’attacco, possibilmente con l’approvazione dell’alleato americano - anche perché Tel Aviv sa che una sua operazione militare troverebbe in Bush un appoggio, mentre non sono ancora chiare le posizioni sulla questione iraniana di alcuni dei principali candidati alla presidenza Usa.
Olmert ha cercato di convincere Angela Merkel ad adottare una linea ancora più dura nei confronti dell’Iran - col quale la Germania ha intensi rapporti commerciali. Ed effettivamente, dopo aver aderito a gennaio alla proposta di una risoluzione più pesante contro Teheran, Berlino sembra spostarsi definitivamente su posizioni di aperto sostegno a nuove sanzioni. Nei colloqui con la Merkel è stata inoltre discussa anche la fornitura a Israele di altri sommergibili convenzionali costruiti in Germania, della classe Dolphin, in grado di lanciare missili a testate nucleari. Nel 2006 Israele ha chiesto inoltre due sottomarini Dolphin potenziati, U212, capaci di operare a grandi distanza e di rimanere per settimane sotto la superficie del mare e, quindi, schierabili nell’area del Golfo. Certo, stupisce che l’unico paese del Medio Oriente in possesso dell’atomica usi tale argomento per giustificare un’eventuale operazione ‘mordi e fuggi’ di fronte alla comunità internazionale.

IPOCRISIA - Ma a Berlino Olmert ha fatto il pieno, perché la Merkel ha sposato in pieno la linea di Israele nella questione di Gaza: “Ritengo che il fatto che a Gaza ci sia il terrorismo sollevi la questione di come rispondere e come fermare Hamas - ha sentenziato il cancelliere tedesco - la situazione umanitaria è difficile ma prima di tutto i palestinesi devono smettere di colpire le città israeliane”. Parole di una stupidità immensa che hanno evidentemente accresciuto la consapevolezza di uno sbiadito Olmert, sempre più determinato a rispondere alla sfida del terrorismo da Gaza con tutti i mezzi possibili.
La Merkel, dunque, conferma l’appoggio tedesco incondizionato a Israele e chiude gli occhi davanti a ciò che accade a Gaza e nel resto dei Territori occupati, in particolare a Gerusalemme Est, la zona araba della città occupata nel 1967. Il ministro per l’edilizia Zeev Boim ha annunciato che saranno indette gare per la realizzazione di 1.100 appartamenti per israeliani a Gerusalemme Est, 370 unità nell’insediamento colonico di Har Homa e altri 750 in quello di Pisgat Zeev. Ma non è tutto: "I 550 posti di blocco disseminati ovunque in Cisgiordania rendono impossibile la vita dei palestinesi e forniscono motivazioni forti per gli attacchi contro obiettivi israeliani". Lo sostengono, in un documento presentato al Van Leer Institute di Gerusalemme, diversi alti ufficiali riservisti dell’esercito e dell’intelligence militare di Israele, convinti che la rimozione dei check-points che tormentano l’esistenza dei palestinesi aiuterebbe la soluzione del conflitto, oltre ad eliminare una delle fonti principali di violazione dei diritti umani. Gli ufficiali riservisti non sono dei pacifisti e non chiedono l’abbattimento del muro in Cisgiordania. Sostengono però che i posti di blocco non servano a fermare i terroristi. I dirigenti politici - continua il documento dei militari israeliani - lo sanno bene ma tuttavia preferiscono non dirlo per non apparire morbidi, arrendevoli nei confronti dei palestinesi.

Nessun commento: