venerdì 29 febbraio 2008

La scuola pubblica utilizzata come fondazione privata di un movimento politico

(un'inquietante mail ricevuta)

La Scuola pubblica elemetare di Monticelli (era questo il suo nome fino allo scorso anno) è la scuola elementare del più grande quartiere di Ascoli Piceno. L'attuale direttrice, Agnese Ivana Sandrin, donna politicamente schierata con il centro-destra, e legata da amicizia personale e di famiglia con il sindaco Celani, nonchè attiva militante del gruppo cattolico di centro-destra Comunione e Liberazione, si è sentita da qualche anno investita dalla missione di trasformarla in una Scuola privata legata a CL e al centro-destra cittadino.
La prima azione intrapresa dalla direttrice è stata quella di cambiare il nome della scuola da Scuola elementare di Monticelli in "Scuola elementare Don Giussani". Don Giussani, per chi non lo sapesse, è il fondatore di Comunione e Liberazione, movimento politicamente schierato, legato nella prima repubblica all'ala della destra DC (Andreotti) e oggi a Forza Italia e UDC (diedero espressamente la direttiva di votare questi due partiti). La direzione scolastica della Sandrin si inaugura dunque non solo con un dubbio atto etico (politicizzare indirettamente una struttura pubblica) ma con una vera e propria infrazione delle regole. Per la legge italiana, proprio in virtù del diritto e dovere di mantenere le scuole pubbliche ben distanti da appartenenze politiche, devono infatti passare trent'anni dalla morte della persona, prima di poter dare il suo nome a una Scuola.
All'inaugurazione del nuovo nome, a cui furono invitati tutti i genitori e a cui parteciparono gran parte degli uomini politici legati al centro-destra ascolano e a CL, il sindaco disse al microfono, sorridente: chiuderemo un occhio su questa legge, tra gli applausi generali. Questo purtroppo è solo l'inizio (parliamo dell'anno scorso).
La politicizzazione della Scuola elementare Don Giussani, utilizzata dalla Sandrin come se fosse la Scuola privata di una fondazione ciellina, ha continuato gradualmente a costruire la propria struttura, inizialmente con pacifiche usanze, come quella dell'insegnare le preghiere a Scuola o quella di stampare un giornalino scolastico a fumetti, per i bambini delle elementari, imperniato di dottrina e catechismo (su questo si potrebbe anche soprassedere) oltre che di approfondimento (sempre a fumetti) sulle eroiche imprese di Don Giussani e di tanti altri eroi di Comunione e Liberazione. Siamo ancora allo scorso anno.
Alla fine dell'anno la direttrice, che intanto aveva costretto attraverso mobbing all'epurazione dalla Scuola di alcune maestre che non erano daccordo con la sua Linea, e che infatti sono state indotte a chiedere il trasferimento, la Sandrin (donna, ricordiamo, politicamente schierata) ha svelato le carte e ha dato vita ad un progetto da cui si posso capire le vere finalità sottese a questa "metamorfosi" della Scuola: un ciclo di incontri scuola-genitori dal raccapricciante titolo: "FORMAZIONE GENITORI" (un incrocio tra il catechismo e la propaganda politica, data l'onnipresenza ad ogni incontro del sindaco Celani e di esponenti di CL), a cui ha (quest'anno) accompagnato un altro ciclo dal titolo "INCONTRI SCUOLA-FAMIGLIA". Nel primo di questi incontri scuola-famiglia la direttrice Sandrin ha deciso di invatare l'agente Betulla, Renato Farina, agente della CIA e dei peggiori Servizi segreti neo-deviati (Pompa-Pollari), disinformatore di professione, condannato a sei anni nel processo legato al rapimento dell'Imam di Milano e radiato in via definitiva dall'Ordine dei giornalisti dopo che si era scoperto che era un uomo dei Servizi pagato per pubblicare falsi dossier. Capiamoci bene, al di là della retorica: Renato Farina è stato invitato in quanto uomo di CL e in quanto uomo legato strettamente ai poteri di centro-destra. In un momento in cui la sua immagine era pubblicamente (e giustamente!) infangata, il gruppo di potere Comunione e Liberazione ha deciso a livello nazionale di "ricostruirgli una verginità", organizzando per lui diversi incontri nelle fondazioni CL.
Niente di male (o meglio: poco di male), se non fosse che la SCUOLA PUBBLICA DI MONTICELLI è stata presa per una FONDAZIONE PRIVATA DI COMUNIONE E LIBERAZIONE!!!!!!!!! Noi del gruppo di Monticelli e di Ascoli Piceno abbiamo organizzato una manifestazione pacifica in cui distribuivamo un volantino informativo dal titolo: Chi è Renato Farina; sit-in a cui ha collaborato anche l'UAI. Da quel momento in poi dentro la scuola la Direttrice Sandrin, che evidentemente non è abituata a prendere in considerazione l'eventualità che ci sia un pensiero diverso dal suo, ha iniziato ad instaurare un clima "folle" di tensione. Le maestre "dissidenti", che non avevano votato la sua decisione di invitare Farina, sono state prese di mira, e stanno subendo quotidianamente il mobbing che avevano lo scorso anno subito altre maestre che si erano esposte. Basti dire, tra le tante follie, che la Sandrin è arrivata a convocare le "maestre non allineate" in Direzione e a chiedere loro se "ERANO BATTEZZATE" perchè nella Scuola Don Giussani le maestre sono chiamate a seguire un PROGETTO EDUCATIVO.
Altro episodio estemporaneo per farvi capire l'illegalità che regna sovrana in quella scuola ex-pubblica (attualmente occupata da un movimento politico): Ilaria e Luchetto un giorno vanno a prendere loro figlio, Riccardo, a scuola, e trovano un volantino di Comunione e Liberazione illegalmente diffuso all'interno della Scuola, in cui si denunciava la violenza terroristica dei contestatori che alla Sapienza hanno proibito al Papa di parlare, e in cui si denunciava la cultura laicista italiana paragonandola al comunismo cubano. Al di là del giudizio di valore sull'intervento in sè, chiaramente una Scuola pubblica elementare non è il luogo idoneo per un volantino del genere, e Ilaria è andata in Direzione a esporre questo semplice principio alla Sandrin, che in tutta risposta, nel ruolo di Direttrice, in Direzione, ad una madre di un alunno, ha urlato: "Tu sei il frutto marcio della cultura laicista della Sapienza! Concludendo: Provo pena che suo figlio abbia una madre come lei!". Roba da pazzi.
Abbiamo infine saputo, e questa è la goccia che fa traboccare il vaso, che nel Collegio docenti del 28 gennaio, la Sandrin ha presentato a sorpresa un suo volantino politico (quello che allego) in cui la Scuola Don Giussani prende posizione politica su di una manifestazione (la nostra) che si svolgeva all'esterno della Scuola, e a cui avrebbe potuto rispondere da una sede di un partito o da cittadina privata, ma non da DIRETTRICE DI UNA SCUOLA PUBBLICA, con il voto del COLLEGIO DEI DOCENTI (che si è spezzato in due, ma che comunque ha approvato la delibera).Nel volantino si susseguono una serie di reati: politicizzazione di una scuola pubblica (cioè abuso d'ufficio), falso in atto pubblico, diffamazione (nei nostri confronti) etc... Potrete leggerlo da soli, considerando che è stato "depurato" dai vocaboli più gravi.

martedì 26 febbraio 2008

Le motivazioni economiche dell'eventuale guerra all'Iran

* Post realizzato rielaborando un articolo di Ellen Hodgson Brown sul sito di Globalresearch. Ellen Brown ha lavorato come avvocato nei processi civili a Los Angeles, dove ha acquisito le sue competenze di ricercatrice. Nel suo ultimo libro, Web of Debt (Rete di Debiti) rivolge le sue abilità ad analizzare la Federal Reserve e il ‘money trust’. Dimostra come il cartello privato ha usurpato ai popoli il potere di creare denaro e come le persone possono riprendersi questo potere. I suoi 11 libri includono il bestseller Nature’s Pharmacy (La Farmacia della Natura), scritto insieme alla dott.ssa Lynne Walker, che ha venduto 285.000 copie. I suoi siti web sono www.webofdebt.com e www.ellenbrown.com.

1. L’ultima escalation di tensione tra Stati Uniti e Iran – episodio risalente al 5 gennaio in cui cinque navi da pattuglia iraniane hanno circondato 3 navi americane nello stretto di Hormuz, arrivando fino a ben 200 metri – rimane ancora contornato da circostanze misteriose. Gli osservatori scettici potrebbero pensare che si sia trattato di un tentativo di convincere i cittadini americani – e l’opinione pubblica occidentale - che l’Iran sia ancora senza dubbio una minaccia, nonostante il rapporto (Iran: Nuclear Intentions and Capabilities) del National Intelligence Estimate (NIE), il quale ha dimostrato che il paese non sta prendendo parte a un programma di armamenti nucleari, come era stato ampiamente dichiarato dalle stesse autorità di Teheran e dai vari ispettori che si sono alternati alla guida delle ricognizioni negli impianti del paese - almeno fino a quando, a seguito delle minacce e delle relative sanzioni a marchio Onu, non sono stati più ammessi.
Del resto, il presidente George W. Bush non ha mai abbandonato tale convinzione, tanto che, prima di partire per la sua visita in Medio Oriente, riferì al quotidiano israeliano Yediot Ahronot che “uno dei motivi per cui sto andando in Medio Oriente è il desiderio di chiarire, senza ombra di dubbio, alle nazioni che si trovano in quella parte del mondo che noi consideriamo l’Iran una minaccia, e che in nessun modo il NIE l’attenua”. Così come il repubblicano Ron Paul, il quale ha dichiarato candidamente che “C’è ancora una grande possibilità di un’azione nucleare contro l’Iran […] Ci sono ancora diversi neoconservatori che vogliono perseguire l’Iran anche sotto queste condizioni non credibili”. Si è solamente spostato l’obiettivo dagli impianti nucleari alla Guardia Rivoluzionaria Iraniana, dipinta come un’organizzazione terroristica.

2. Perché allora cercare un pretesto, anche solo poco credibile, per fomentare l’ennesima dispendiosa campagna militare? Accertato che, infondo, l’Iran non è poi una vera minaccia alla pace e alla sicurezza globale, una teoria diffusa sostiene che l’impulso alla guerra riguarda esclusivamente il petrolio; ma molti altri paesi hanno il petrolio, e di solito non vengono invasi per ottenere le loro risorse. Perché andare in guerra per il petrolio iraniano quando è possibile comprarlo? Tra l’altro una cooperazione economica tra i due stati andrebbe a sicuro vantaggio delle companies americane. Un’altra teoria sostiene che la dimostrazione di forza riguarda la difesa del dollaro. L’Iran minaccia di aprire la propria borsa petrolifera, e sta già vendendo la maggior parte del suo petrolio in monete che non siano il dollaro. L’Iran ha, infatti, interrotto il controllo del petrodollaro imposto negli anni ’70, quando l’OPEC fece un accordo con gli Stati Uniti per vendere il petrolio solo in dollari americani. Ma come ha sottolineato William Engdahl in un editoriale del marzo 2006, l’Iran non è il solo a desiderare di abbandonare il dollaro come valuta per il petrolio, e fin dagli anni ’90 la guerra con il paese degli ayatollah era tra le opzioni della strategia americana per il Grande Medio Oriente, ben prima che esso minacciasse di aprire la sua borsa petrolifera.
Quando nel 2003 si invase l’Iraq, i motivi addotti furono, in un primo momento, il legame tra Saddam Hussein, al-Qaeda e gli attentati al WTC. Motivi decisamente ridicoli, tanto che furono immediatamente cambiati con la presunta presenza nell’arsenale del dittatore delle famigerate – e mai trovate – armi di distruzione di massa. La realtà, come è ben noto, risiede nel fatto che anche Saddam aveva in progetto di iniziare a sganciare la vendita del petrolio iracheno dal dollaro a favore dell’euro. Come è andata a finire è storia attuale.
Ad ogni modo, già nel 2000, l’Iran era l’obiettivo del famigerato saggio politico “Ricostruire le difese dell’America”, pubblicato dal PNAC (Project for a New American Century) e basato su un precedente progetto chiamato “Un taglio netto: la nuova strategia per rendere il regno sicuro”, preparato per il primo ministro israeliano Netanyahu nel 1996. Il PNAC (qui il sito) non è altro che un gruppo di esperti neo-conservatori - collegato all’establishment della Difesa e Intelligence americana, al partito repubblicano e al potente Council on Foreign Relations (Consiglio per le relazioni con l’estero) - che gioca un ruolo importante nel formulare la politica estera degli Stati Uniti. Nel saggio si richiedeva “l’imposizione diretta di ‘basi avanzate’ americane in tutta l’Asia Centrale e nel Medio Oriente, con lo scopo di assicurarsi il dominio economico mondiale, strangolando qualsiasi potenziale rivale o le eventuali alternative alla visione americana di un’economia di libero mercato”.

3. Nel XIX secolo il libero mercato era qualcosa cui molti americani si opponevano. Era considerato il piano britannico per sfruttare l’America e le sue risorse, in un periodo storico in cui i banchieri britannici possedevano l’oro, che era l’unica moneta del mercato internazionale. Quando lo standard dell’oro fu abbandonato nel 1971 (‘dollar gold exchange’, presidenza Nixon) il dollaro americano lo sostituì come valuta di riserva mondiale. Oggi molte persone nei paesi in via di sviluppo sospettano che il libero mercato mondiale americano sia un’altra forma di sfruttamento – paesi in difficoltà disposti ad essere saccheggiati delle loro risorse fisiche e umane per ottenere in cambio il prestito dei dollari necessari ad acquistare il petrolio a prezzi gonfiati. Il petrolio è l’esca per far cadere il mondo nella trappola dei debiti, e il terrorismo che deve essere soppresso non è altro che la ribellione di chiunque non si lasci intrappolare docilmente. L’arma in questa guerra economica è il debito, e i proiettili sono gli interessi composti.
Gli interessi composti hanno, insomma, permesso al cartello delle banche private mondiali di controllare la maggior parte delle risorse mondiali. La trappola del debito è stata preparata nel 1974, quando l’OPEC fu indotta a commerciare il petrolio esclusivamente in dollari americani. Il prezzo del petrolio allora quadruplicò all’improvviso (cd. shock petrolifero), e i paesi che possedevano una quantità insufficiente di dollari in relazione alle loro necessità petrolifere furono costretti a chiederli in prestito. Nel 1980 i tassi di interesse internazionali crebbero rapidamente fino al 20%. Al 20% gli interessi aumentano di anno in anno: 100 dollari presi in prestito raddoppiano in meno di 4 anni, e in 20 anni diventano ben 3.834 dollari. L’impatto sui paesi del terzo mondo fu devastante. Il presidente nigeriano Obasanjo nel 2000 si lamentò in questo modo: “Tutto ciò che abbiamo chiesto in prestito fino al 1985 erano 5 miliardi di dollari circa, ne abbiamo pagati circa 16 miliardi, tuttavia ci dicono che dobbiamo pagare ancora 28 miliardi. Questi 28 miliardi si sono realizzati a causa dell’ingiustizia dei tassi di interesse dei creditori stranieri. Se mi chiedete qual è la peggior cosa al mondo, io rispondo che sono gli interessi composti”.

4. Questo ‘demone’ governa le relazioni mondiali attuali condannando la maggior parte della popolazione mondiale a vivere sotto l’insegna del debito: ogni persona appena nata in America Latina deve 1.600 dollari per il debito estero; ogni individuo concepito nell’Africa Sub-sahariana porta con sé il peso di un debito di 336 dollari per qualcosa che i suoi antenati hanno ripagato già molto tempo fa. Nel 1980 il debito dei paesi del sud del mondo ammontava a 567 miliardi di dollari; da allora hanno pagato 3.450 miliardi di dollari in interessi e ammortamento, sei volte tanto l’ammontare originale. Malgrado ciò il debito è quadruplicato nel 2000 e ha raggiunto 2.070 miliardi di dollari.
Gli studiosi islamici hanno cercato di concepire un sistema bancario mondiale che possa essere un’alternativa al sistema basato sugli interessi che controlla l’economia mondiale, e l’Iran ha aperto la strada nella creazione di questo modello. L’Iran è stato in grado di sfuggire alla trappola del debito che ha catturato altri paesi in via di sviluppo perché aveva il petrolio. Poche banche islamiche esistevano prima che l’Iran diventasse una repubblica islamica nel 1979, ma il concetto si sta ora diffondendo su scala mondiale. Con la caduta della Cortina di Ferro nel 1989 il modello economico realizzabile che minaccia la dominazione mondiale dell’establishment bancario occidentale potrebbe non essere più il comunismo.
Il presidente Bush prima del suo viaggio in Medio Oriente ha rassicurato gli alleati: ”E’ importante che le persone di quest’area sappiano che, mentre tutte le opzioni restano sul tavolo, io credo che sia possibile risolvere questo problema diplomaticamente, e il modo per riuscire a far questo è mantenere isolato l’Iran dalla comunità internazionale”. Isolare l’Iran da chi? L’isolamento è qualcosa che viene fatto per prevenire il contagio. Il contagio che deve essere arginato potrebbe essere la creazione di un nuovo sistema economico che valuta certi tipi di tasso d’interesse alla maniera del sistema islamico, in cui non sono permessi (esclusa la zakhat). Forse il pericolo maggiore che l’economia americana in panne percepisce per sé stessa…

venerdì 22 febbraio 2008

Verba volant, purgamenta manent


vignetta di Marco Viviani

giovedì 21 febbraio 2008

Riarmo asiatico

Pochi ne parlano, ma i paesi asiatici stanno affrontando i nuovi e mutevoli equilibri geopolitici dell’area rafforzando i loro eserciti, in particolare – vista la conformazione della zona, prevalentemente incentrata nell’Oceano Pacifico – dotandosi delle più moderne portaerei, decisive in un eventuale conflitto spostato in ambito marittimo. L’allarme viene da Lee Choon-Kun, vicepresidente del gruppo di analisi sudcoreano Centre for free enterprise: “I paesi dell’area asiatico-pacifica, come Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e India, sono impegnati in una forsennata corsa al riarmo. Questa guerra silenziosa sarà incentivata dalla riorganizzazione dei sistemi di sicurezza regionale e alimentata dai crescenti contrasti tra le due alleanze principali, quella tra Stati Uniti e Giappone da una parte, e quella tra Cina e Russia dall’altra” (Fonte: Asianews.it).
La strategia americana nell’area è chiara fin dalla 2nda Guerra Mondiale: il rafforzamento dei legami con il Giappone ha quale obiettivo primario quello di ostacolare la supremazia cinese in Asia e, al contempo, quello di isolare la Russia in Europa. Ma Russia e Cina non sono certo rimaste a guardare. Al fine di contenere e contrastare la strategia americana hanno creato nel 1996 – insieme a Kazakhistan, Kirghizistan e Tagikistan – il cosiddetto Shanghai Five (‘Gruppo dei cinque’ o ‘Gruppo di Shanghai’), poi divenuto nel 2001 la Shanghai Cooperation Organisation (SCO) in seguito all’entrata dell’Uzbekistan. Tra gli osservatori - membri che partecipano solo alle sedute annuali (qui scaricabile un dossier), ma che potrebbero in futuro essere ammessi a tutti gli effetti, quindi anche alle esercitazioni militari - vi sono la Mongolia (2004), Iran, India e Pakistan (2005). In particolare, già dal 2006, l' Iran è in attesa di essere elevato al rango di membro a pieno titolo e verrà, probabilmente, incluso in operazioni congiunte (come quelle sino-russe del 2005) sia di tipo militare che economico, dopo 20 anni di isolamento. La Bielorussia è l’ultimo paese che ha fatto richiesta di entrare a far parte dell' organizzazione come osservatore.
Sebbene nella dichiarazione che è alla base della costituzione della SCO si legga che "non è un' alleanza intesa contro altri stati e regioni ed aderisce al principio di apertura", gran parte degli osservatori credono che uno degli scopi fondanti dell' organizzazione sia stato quello di agire da contrappeso nei confronti degli Stati Uniti e, in particolare, di evitare conflitti che darebbero spazio ad interventi USA in aree vicine alla Russia o alla Cina. Soprattutto quest’ultima - che ha fortissimi interessi in Asia centrale, in primis di natura energetica – è fortemente preoccupata per la sempre maggiore presenza di truppe americane nell’area, dovuta alla ‘guerra al terrorismo’ lanciata dopo l’11 settembre. Molti osservatori credono, inoltre, che l' organizzazione sia stata creata come risposta alla minaccia rappresentata dai sistemi di difesa missilistica in mano agli Stati Uniti, dopo l' inversione di corso attuata da questi ultimi in materia di armamenti nucleari, con conseguente promozione della "Difesa missilistica nazionale" (National Missile Defense).
La non proliferazione nucleare, insomma, sembra ormai essere definitivamente passata di moda un po' in tutte le aree del mondo. Il rischio di incidenti, anche solo casuali, che possano dar vita a conflitti nucleari si addensano come nubi grigie sul futuro dell'umanità.

APPROFONDIMENTI:
- Articolo su resistenze.org;
- Articolo su TuttoCina.

sabato 16 febbraio 2008

Escalation mediorientale

CAOS LIBANO - L’autobomba che ha ucciso martedì sera a Damasco Imad Mughniyeh - capo militare di Hezbollah e, quindi, principale artefice del fallimento dell'offensiva militare israeliana nel Libano del sud nell'estate del 2006 – costituisce un nuovo preciso segnale dell'escalation militare che si annuncia in Medio Oriente. L'ipotesi più concreta, ma non certo l'unica, è proprio quella di un'operazione del Mossad, il servizio segreto israeliano, che eliminando Mughniyeh ha voluto ricomporre l'orgoglio nazionale caduto in frantumi durante l'operazione del 2006: ora anche Ehud Olmert potrà lucidare la sua immagine scolorita di leader senza consenso. La soddisfazione ieri in Israele era alle stelle. Dall’ex capo Mossad, Danny Yatom, ora deputato laburista, al ministro Gideon Ezra, anch'egli ex comandante dei servizi di sicurezza, le parole sono state di piena felicità. Silenzio invece da parte di Meir Dagan, attuale numero uno dei servizi segreti israeliani, che deve comunque aver festeggiato alla grande un’operazione compiuta ancora una volta nel cuore della Siria, già colta di sorpresa lo scorso settembre quando gli aerei israeliani colpirono un obiettivo rimasto misterioso ma descritto da Washington e Tel Aviv come una centrale nucleare siriana in costruzione. Anche la soddisfazione di Washington non ha tardato ad arrivare per bocca di un portavoce del Dipartimento di Stato, secondo il quale “il mondo è un posto migliore senza quest'uomo”.
Mughniyeh era ricercato da anni dagli americani che lo ritenevano coinvolto nell'attentato del 1982 contro la loro ambasciata a Beirut, in quelli del 1983 contro le caserme delle forze Usa e francesi nella capitale libanese in cui morirono oltre 300 soldati, nel dirottamento del volo Twa Atene-Roma nel 1985, in vari rapimenti, nell'organizzazione dell'attentato del 1994 in un centro israeliano a Buenos Aires e persino negli attacchi dell'11 settembre. Per molti libanesi invece Mughniyeh, nato 46 anni fa nei pressi di Sidone, era un eroe della resistenza e ieri nei villaggi del sud del Libano si è gridata vendetta. Ovvie ed immediate sono state le reazioni a Teheran e Damasco, oltre allo scontato discorso di Nasrallah sulla capacità di Hezbollah di fronteggiare Israele qualora se ne dovesse presentare l’occasione.
Nonostante ciò, non manca chi è convinto che se i responsabili credevano con l’ autobomba di poter far saltare - assieme al capo militare di Hezbollah - anche il coperchio della crisi interna libanese, hanno fallito il loro obiettivo: “L'assassinio di Mughniyeh è fatto gravissimo ma non acuirà il clima di scontro che si vive nel paese…nessuno potrà alimentare la polemica ora che si è ripresentato alle porte del Libano il nemico esterno. La manifestazione per Hariri e i funerali di Mughniyeh passeranno senza incidenti e si leveranno invece voci a favore dell'unità del popolo libanese” [Hanadi Salman, caporedattrice del giornale progressista as-Safir]. E, come tiepido segnale della fondatezza di tale opinione, immediate sono state le condoglianze dei due avversari dichiarati di Hezbollah, il premier Fuad Siniora e il leader della maggioranza, Saad Hariri (figlio di Rafiq).
Dal canto suo, Nasrallah - accusato dagli antisiriani di fare gli interessi di Damasco e Teheran - ha nelle mani una nuova occasione per riaffermare che la milizia di Hezbollah difende il Libano dalle aggressioni esterne, auspicando che “i libanesi si riuniscano dietro al sangue versato dalla resistenza contro Israele”. Altro obiettivo è sicuramente quello di respingere i piani di disarmo della resistenza di cui è diventato principale portavoce il leader druso Walid Jumblatt, secondo il quale non esisterebbero possibilità di coesistere col movimento sciita. Il destino di tutti i libanesi – ormai esasperati per lo stallo politico che dura da mesi e non ha permesso l’elezione di un nuovo presidente - speriamo sia invece proprio quello di coesistere, con buona pace di Jumblatt.

ENNESIMO AVVERTIMENTO - “Noi siamo certi che gli iraniani sono impegnati in un programma serio, in parte clandestino, per acquisire capacità non convenzionali […] Niente cambierà questa nostra convinzione e se le sanzioni internazionali non indurranno Teheran a fermare il suo programma nucleare lo Stato ebraico non scarterà alcuna opzione”. E’ dalla Germania - il più fedele e accondiscendente degli alleati europei - che Ehud Olmert lancia un nuovo pesante avvertimento all’Iran, facendo chiaramente intendere che Israele è pronto a mandare i suoi cacciabombardieri all’attacco, possibilmente con l’approvazione dell’alleato americano - anche perché Tel Aviv sa che una sua operazione militare troverebbe in Bush un appoggio, mentre non sono ancora chiare le posizioni sulla questione iraniana di alcuni dei principali candidati alla presidenza Usa.
Olmert ha cercato di convincere Angela Merkel ad adottare una linea ancora più dura nei confronti dell’Iran - col quale la Germania ha intensi rapporti commerciali. Ed effettivamente, dopo aver aderito a gennaio alla proposta di una risoluzione più pesante contro Teheran, Berlino sembra spostarsi definitivamente su posizioni di aperto sostegno a nuove sanzioni. Nei colloqui con la Merkel è stata inoltre discussa anche la fornitura a Israele di altri sommergibili convenzionali costruiti in Germania, della classe Dolphin, in grado di lanciare missili a testate nucleari. Nel 2006 Israele ha chiesto inoltre due sottomarini Dolphin potenziati, U212, capaci di operare a grandi distanza e di rimanere per settimane sotto la superficie del mare e, quindi, schierabili nell’area del Golfo. Certo, stupisce che l’unico paese del Medio Oriente in possesso dell’atomica usi tale argomento per giustificare un’eventuale operazione ‘mordi e fuggi’ di fronte alla comunità internazionale.

IPOCRISIA - Ma a Berlino Olmert ha fatto il pieno, perché la Merkel ha sposato in pieno la linea di Israele nella questione di Gaza: “Ritengo che il fatto che a Gaza ci sia il terrorismo sollevi la questione di come rispondere e come fermare Hamas - ha sentenziato il cancelliere tedesco - la situazione umanitaria è difficile ma prima di tutto i palestinesi devono smettere di colpire le città israeliane”. Parole di una stupidità immensa che hanno evidentemente accresciuto la consapevolezza di uno sbiadito Olmert, sempre più determinato a rispondere alla sfida del terrorismo da Gaza con tutti i mezzi possibili.
La Merkel, dunque, conferma l’appoggio tedesco incondizionato a Israele e chiude gli occhi davanti a ciò che accade a Gaza e nel resto dei Territori occupati, in particolare a Gerusalemme Est, la zona araba della città occupata nel 1967. Il ministro per l’edilizia Zeev Boim ha annunciato che saranno indette gare per la realizzazione di 1.100 appartamenti per israeliani a Gerusalemme Est, 370 unità nell’insediamento colonico di Har Homa e altri 750 in quello di Pisgat Zeev. Ma non è tutto: "I 550 posti di blocco disseminati ovunque in Cisgiordania rendono impossibile la vita dei palestinesi e forniscono motivazioni forti per gli attacchi contro obiettivi israeliani". Lo sostengono, in un documento presentato al Van Leer Institute di Gerusalemme, diversi alti ufficiali riservisti dell’esercito e dell’intelligence militare di Israele, convinti che la rimozione dei check-points che tormentano l’esistenza dei palestinesi aiuterebbe la soluzione del conflitto, oltre ad eliminare una delle fonti principali di violazione dei diritti umani. Gli ufficiali riservisti non sono dei pacifisti e non chiedono l’abbattimento del muro in Cisgiordania. Sostengono però che i posti di blocco non servano a fermare i terroristi. I dirigenti politici - continua il documento dei militari israeliani - lo sanno bene ma tuttavia preferiscono non dirlo per non apparire morbidi, arrendevoli nei confronti dei palestinesi.

venerdì 15 febbraio 2008

Outsourcing


vignetta di Marco Viviani

2 mucche e qualche visione economica

FEUDALESIMO: Hai 2 mucche. Il feudatario prende metà del latte e si tromba tua moglie.
SOCIALISMO: Hai 2 mucche. Il tuo vicino ti aiuta ad occupartene e tu dividi il latte con lui.
COMUNISMO: Hai 2 mucche. Il governo te le prende e ti fornisce il latte secondo i tuoi bisogni.
FASCISMO: Hai 2 mucche. Il governo te le prende e ti vende il latte.
NAZISMO: Hai 2 mucche. Il governo prende la vacca bianca ed uccide quella nera.
DITTATURA: Hai 2 mucche. La polizia te le confisca e ti fucila.
DEMOCRAZIA: Hai 2 mucche. Si vota per decidere a chi spetta il latte.
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA: Hai 2 mucche. Si vota per chi eleggerà la persona che deciderà a chi spetta il latte.
ANARCHIA: Hai 2 mucche. Lasci che si organizzino in autogestione.
CAPITALISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi una per comprare un toro ed avere dei vitelli con cui iniziare un allevamento.
CAPITALISMO SELVAGGIO: Hai 2 mucche. Fai macellare la prima ed obblighi la seconda a produrre tanto latte come 4 mucche. Alla fine licenzi l'operaio che se ne occupava accusandolo di aver lasciato morire la vacca di sfinimento.
BERLUSCONISMO: Hai 2 mucche. Ne vendi 3 alla tua Società quotata in borsa, utilizzando lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito, con una partecipazione in una Società soggetta ad offerta pubblica e nell'operazione guadagni 4 mucche beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di 5 mucche. I diritti sulla produzione del latte di 6 mucche vengono trasferiti da un intermediario panamense sul conto di una Società con sede alle Isole Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista che rivende alla tua Società i diritti sulla produzione del latte di 7 mucche. Nei libri contabili di questa Società figurano 8 ruminanti con l'opzione d'acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai abbattuto le 2 mucche perchè sporcavano e puzzavano. Quando stanno per beccarti, diventi Presidente del Consiglio.
PRODISMO: Hai 2 mucche. Tu le mantieni, il governo si prende il latte e ti mette una tassa sulla stalla, sulla mangiatoia, sulla produzione. A te rimane lo sterco. Intanto è in approvazione un disegno di Legge sulla tassazione dei rifiuti organici animali.

lunedì 11 febbraio 2008

Boicottaggio culturale? Meglio quello commerciale

La protesta di alcuni illustri personaggi - tra tutti Tariq Ramadan - all'invito fatto agli scrittori israeliani come ospiti d'onore alla fiera del libro a Torino ha suscitato infuocate polemiche che, in alcuni casi, sono scadute, da una parte e dall'altra, a mere accuse sensa senso. Le mie posizioni su Israele sono sempre molto critiche, ma in questa occasione mi sento di dover dire che il boicottaggio culturale è sempre sbagliato. Ed è sbagliato non perché Israele e la sua politica aggressiva non meritino di essere boicottate, ma perché il dialogo tra le culture è forse l’unico modo per raggiungere una futura pacifica convivenza tra i popoli. Tale convivenza non potrà, infatti, mai essere raggiunta attraverso il dialogo tra politici, e Annapolis ne è il più recente esempio (la conferenza non ha raggiunto nessun risultato, ha solo costituito il tentativo di Bush di creare un asse sunnita anti-iraniano).
Vi sono alcuni scrittori israeliani che sono davvero apprezzabili (Ilan Pappe, Uri Avnery, Amira Hass, Michel Warshawski, Avi Shlaim, Tom Segev - solo per citare quelli che ho avuto il piacere di leggere) e boicottare la loro opera intellettuale, oltre a quella di altri, mi sembra decisamente un peccato. Ma se il boicottaggio culturale è profondamente sbagliato, ciò non toglie che Israele andrebbe boicottata commercialmente (o con altri mezzi di forte pressione) quando si accanisce contro dei disperati che essa stessa ha decisamente contribuito a rendere tali. Del resto le sanzioni economiche in ambito ONU non si lesinano a nessuno: se il regime di Teheran è stato sanzionato per il suo legittimo diritto a sviluppare energia nucleare (art. 4 del TNP), non si capisce perché non possa essere sanzionato uno stato che si comporta fuori da ogni regola del diritto internazionale (qui le risoluzioni ONU da sempre ignorate dallo stato ebraico). Bombardare a tappeto un intero paese (Libano) solo perché nelle scaramucce lungo il confine nord (che erano e restano pressoché presenti ogni giorno) vengono uccisi dei soldati è fuori da ogni logica. Come è fuori da ogni logica trattenere in regime di apartheid 1,5 milioni di individui in un territorio angusto solo perché dei miliziani sparano i Qassam (che ovviamente non sono innocui, ma che – non mi stancherò mai di ripeterlo – non possono essere controllati balisticamente e quindi difficilmente riescono ad uccidere qualcuno). Certo, se ti uccidono dei soldati o dei civili devi necessariamente rispondere, ma non in una maniera così sproporzionata. Quando Israele si comporta così andrebbe boicottata con un blocco totale e con la cancellazione di ogni accordo (che sia bilaterale o meno), senza nessun tipo di riserva. Ma poi, chi si azzarda ad avanzare normalissime critiche viene subito tacciato di antisemitismo. Visto che siamo europei (e non libanesi o palestinesi) e non possono certo bombardarci o massacrarci, allora ci etichettano come ‘nazisti rossi’ (con evidente uso improprio dei termini).
Circa una settimana fa si è verificato il primo attentato sul territorio israeliano da un anno a questa parte. Voglio far notare che Hamas è totalmente estraneo a questa vicenda e che gli esecutori facevano parte della Jihad islamica (un gruppetto indipendente) e delle Brigate al-Aqsa (il braccio armato di Fatah): è importante sottolinearlo perché su Hamas si sentono e si dicono cose totalmente sbagliate e faziose. Voglio, però, anche far presente che il terrorismo contro Israele è un prodotto della sua politica: penso che se i palestinesi avessero ciò di cui hanno diritto, non starebbero certo a farsi saltare in aria. In una metafora: se teniamo un cane rinchiuso, legato, senza acqua e cibo, se lo maltrattiamo e lo picchiamo, non possiamo certo affermare che quel cane è di natura aggressivo. Dobbiamo necessariamente concludere che il suo comportamento è il risultato del nostro errore.
Ma nonostante io non sia d’accordo con il boicottaggio culturale, condivido quanto scritto da Gianni Vattimo in un articolo su La Stampa di un paio di giorni fa: il boicottaggio non è contro gli scrittori israeliani, ma contro il fatto che essi vengono “come rappresentanti ufficiali di uno Stato che celebra i suoi sessant'anni di vita festeggiando l'anniversario con il blocco di Gaza, la riduzione dei palestinesi in una miriade di zone isolate le une dalle altre (per le quali si è giustamente adoperato il termine di bantustan nel triste ricordo dell'apartheid sudafricana), una politica di continua espansione delle colonie che può solo comprendersi come un vero e proprio processo di pulizia etnica”.
Il 27 gennaio è stato, come ogni anno, il giorno della memoria dell’Olocausto. Tutti lo abbiamo ricordato. Mi chiedo se siano gli ebrei a ricordarlo ancora.

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