lunedì 26 febbraio 2007

Le 12 tavole di Prodi

1. Il rinvio presidenziale del governo Prodi alle Camere fa, in teoria, rientrare a crisi: l’esecutivo otterrà la fiducia – a meno di repentini imprevisti – e, costituzionalmente parlando, sarà lo stesso di prima. Detto che la scelta di Napolitano è pragmaticamente la migliore tra quelle a sua disposizione, ciò che è interessante chiedersi ora è se l’esecutivo, oltre ad essere lo stesso di prima, continuerà ad essere quello di prima. Ossia, se produrrà lo stesso tipo di politica o se, quasi inevitabilmente, dovrà ridefinire alcune questioni per guadagnarsi stabilmente i voti della sopravvivenza.
Possiamo trarre una prima idea dai 12 punti “non negoziabili” sottoposti da Palazzo Chigi ai segretari dei partiti della coalizione. Se si fa eccezione per l’Afghanistan e la Tav (punti 1 e 4) il resto del diktat prodiano appare vago ed evasivo: in materia di pensioni non si accenna ai limiti d’età, sulla famiglia si tace circa i Dico e su altre questioni le parole usate hanno i tono di una dichiarazione d’intenti. Come ha commentato Beppe Grillo (dal cui sito è stata presa l’immagine) “se Mosè avesse scolpito le tavole della Legge con la stessa chiarezza il mondo sarebbe preda del caos. I segretari di partito hanno comunque accettato. Con dei punti così vincolanti possono stare tranquilli. E farsi i c...i loro”.

2. La sensazione è che molto dell’azione precedente verrà modificato, in nome della necessità di allargare la maggioranza in Senato. Nel ‘mercato di riparazione’, Prodi & co. hanno ottenuto un magro bottino, riuscendo ad incassare solo un si certo, quello di Follini. O forse tre.
Perché il destino di questo governo sta nei numeri: se si escludono dal conto i senatori a vita (che il Costituente ha pensato slegati dall’esecutivo e, quindi, aventi diritto a votare ogni volta come credono) e quelle che Giovanni Sartori ha definito sul Corriere le “teste quadrate che non ragionano come le teste rotonde”, Prodi è inesorabilmente sotto.

3. L’adesione di Follini non sarà priva di un costo. Il preventivo è stato presentato nel momento in cui si è proposto di “partecipare alla costruzione del nuovo centrosinistra, più vicino al centro [e] contribuire a tracciare una rotta diversa da quella seguita fin qui”. E nella stessa intervista al Corriere – in cui dichiara anche di non demonizzare i Dico, ma di ritenerli non prioritari nell’agenda politica del paese – alla domanda se consideri i 12 punti una svolta centrista, risponde che “rappresentano un primo passo, l’inizio di un cammino, il segno che si è imboccato un senso”.
Per l’adesione di Andreotti, invece, il prezzo è stato già pagato. Lo stesso senatore, molto soddisfatto, ha fatto sapere che “io stesso come cattolico, ma anche come persona (ma gli altri non sono pure persone?) ero rimasto molto male impressionato dal fatto che il governo avesse proposto le famiglie omosessuali”, aggiungendo, a proposito del fatto che i Dico sono spariti dal documento programmatico di governo, che “in aula ci sarà un dibattito e alcuni temi che avevano disturbato saranno accantonati, quindi non dovrebbero esserci difficoltà”. E a chi gli chiede un’opinione sul presunto complotto per far fuori Prodi, risponde che “questo dei complotti è un sospetto che in Italia non muore mai, ma è tutto sbagliato…”.
Illuminante al riguardo un articolo dell’Indipendent intitolato Blame the Vatican for Italy’s latest crisis, nel quale Peter Popham scrive che “l’Italia non è uno stato, ma due: quello creato nel 1870 e il papato, attorcigliato nel cuore di Roma. Il governo è caduto perché tre senatori a vita hanno bocciato la politica estera del governo, nonostante fossero favorevoli alla missione in Afghanistan. Il loro vero obiettivo era boicottare il disegno di legge sulle unioni civili”.

4. Qual è, dunque, il futuro del governo Prodi? Una volta ottenuta la fiducia cosa dovrà inventarsi il ‘Professore’ per continuare a sopravvivere? Dovrà negoziare di volta in volta la sua politica finendo così per prestare il fianco a tutti quelli che minacceranno di far mancare i numeri? Una cosa è sicura: chi sperava che dopo l’iniziale carburazione questo governo avrebbe finalmente fatto qualcosa ‘di sinistra’ rimarrà deluso.
In politica estera l’intenzione è quella di “rispettare gli accordi internazionali”, il che tradotto vuol dire che continueremo a fare quello che ci ordinano dall’altra parte dell’Atlantico; all’interno, il tentativo di restituire ad una parte della popolazione i suoi legittimi diritti civili verrà affondata in Parlamento e qualsiasi tentativo di sterzata a sinistra in materia di welfare sarà bloccato; in più, ci sarà spazio per l’approvazione di una legge elettorale che imporrà una pesante forza centripeta al nostro sistema costituzionale. In proposito, Follini si è affrettato ad esternare che “il doppio turno alla francese implica il bipolarismo. Il modello tedesco, per metà proporzionale, non esclude una terza forza. Dipendesse da me, sceglierei il modello tedesco”, preludendo, dunque, il ritorno a quell’eredità che credevamo esserci scrollati di dosso nel terremoto dei primi anni Novanta.
“Ho detto molte volte che Prodi doveva sottrarsi alla sacralità e agli automatismi della campagna elettorale che l'ha portato a Palazzo Chigi, e liberare se stesso dall'idea muscolare del bipolarismo prevalsa in questi anni […] non ho un'idea sacrale di maggioranza e opposizione, non credo esistano due recinti: più si allentano le morse, meglio è. Il senso di una legislatura costruttiva, di movimento, sta nel non restare imprigionati in uno dei due blocchi”.
La paura è che tutti si concentrino sulla legge elettorale e sui vantaggi da trarne, lasciando irrisolte le questioni che rallentano il paese.

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