martedì 13 marzo 2007

La carica dei vecchietti e il miraggio della pensione per la generazione futura: storie di ordinario precariato

Da anni si dice che l'Italia è un paese vecchio, il più vecchio d'Europa. I numeri non permettono di confutare: il 5% della popolazione è ultraottantenne, il 19,5% ha più di 65 anni e il rapporto tra essi e gli under 14 è di 138 su 100. Ottimo segno per i progressi della medicina e della qualità della vita, che non basta, però, a spiegare il fenomeno: si invecchia bene, ma si nasce poco. L'aspetto più preoccupante è rappresentato dal fatto che questo consistente estratto della popolazione controlla la vita del paese, relegando i cosiddetti giovani alla stregua di una minoranza da proteggere. Ma mal protetta.
Ciò è evidente un po' in tutti gli ambiti, a cominciare dalla politica. Il premier Prodi ha 67 anni e il capo dell'opposizione Berlusconi lo distanzia per eccesso di 3. In Europa, Blair ha 53 anni - ed è presumibilmente alla fine della sua lunga carriera politica - così come il suo omologo francese, la Merkel ne ha 52, Zapatero 46, mentre tra i più giovani si attestano il primo ministro svedese (41) e il pari grado della Repubblica Ceca (addirittura 35!).
Stesso trend in Parlamento: età anagrafica decisamente matura alla Camera, mentre al Senato, solo per fare un esempio, i responsabili dell' inciampo del governo vanno dai 60 anni per i dissidenti Turigliatto e Rossi - due giovincelli - agli 89 del febbricitante Scalfaro, passando per i 79 del picconatore Cossiga, gli 81 di Pininfarina e gli 88 di Andreotti - presente sotto svariate vesti in tutte le legislature. Quando si dice cristallizzazione del potere. Certo, è normale che i senatori a vita siano avanti con gli anni, ma non credo che il Costituente li abbia posti con l'intenzione di affidargli le sorti e il futuro della Repubblica. Casualità, forse, ma sintomatica.
Le cose non migliorano all'interno della società civile. Sorvolando su avvocati, magistrati e notai (sic!), drammatico è il dato relativo a coloro che dovrebbero preservare la continuità della specie, ossia i professori universitari: tra loro (ordinari, associati o ricercatori che siano) il 42% supera la soglia dei 50, il 22,5% quella dei 60, mentre quasi il 5% sono coloro che ne hanno meno di 35 - ed è anche facile presumere che siano per la maggiorparte ricercatori. A termine di paragone, in Gran Bretagna solo il 9% ha più di 60 anni e il 16% è sotto i 35. Senza contare - e questo lo sa chiunque abbia frequentato un'università - che in molti casi alcuni docenti sono titolari di più cattedre, a volte anche in atenei di città diverse. Stessa linea di continuità se ci si sposta nel settore privato. Secondo uno studio della Banca d'Italia la media dei managers delle imprese italiane è di 61 anni, tenendo conto, quale aggravante, che tra i posti di maggior prestigio e potere il 30% supera tale media e il 22,4% si attesta intorno ai 70.
Insomma, il mondo va avanti sempre più veloce e noi fatichiamo a stargli dietro. Le idee, il modo di pensare, tutto intorno a noi cambia nel giro di pochi anni, ma le persone che decidono le sorti del paese sono sempre quelle di 40 anni fa, con poche eccezioni. Certo, niente garantisce che con i giovani nel ruolo di protagonisti verrebbero risolti i problemi che affliggono la nostra società. Ma - alzate la mano - chi se la sente di dire che l'odierna situazione è rassicurante?
Quello che sembra essere diventato una sorta di scontro generazionale riceve benzina sul fuoco da due temi ultimamente molto dibattuti: da una parte, l'annoso problema del sistema pensionistico italiano di cui Bruxelles richiede aggiustamenti - quello contributivo basato sulla riforma Dini del 1995 - e dall'altro, la piaga (ormai definibile sociale) del precariato, elevato a principio sacro in nome di una flessibilità che trova espressione in un'incompleta legge 30. Intendiamoci: la flessibilità va bene, ma quando prelude a qualcosa di più concreto, non quando costituisce la regola.
I due nodi sono intimamente legati e anche un non esperto - come me del resto - è in grado di capirlo e di chiedersi: se è vero che fra un po' non saremo più in grado di pagare le pensioni, dal momento che sempre meno nascono e, di conseguenza, sempre meno lavorano, che senso ha prevedere contratti di precariato? Non sarebbe più opportuno creare veri ed effettivi nuovi posti di lavoro? E soprattutto, come farà un giovane ad accumulare quei contributi necessari alla sua di pensione se è letteralmente preda di contratti che di fatto lo rendono alla mercè di questa o quella esigenza? Scalone, scalini o coefficienti, il vero problema a mio modo di vedere sta proprio qui...

5 commenti:

Alice Marzouka ha detto...

Ti chiedo una cosa, posso esporre il nastrino della bandiera palestinese nel mio blog?
Grazie

Anonimo ha detto...

ciao luca, mi chiamo anna, sono di ferrara e sto lavorando sul confronto stampa europea con stampa palestinese giordana e israeliana, per la mia tesi.Sono amica di Alice e lei mi ha segnalato il tuo blog. Grazie anche all'aiuto di alice ho potuto condurre un lavoro di ricerca molto approfondito sui media in palestina e in giordania oltre che sull'esperienza di chi ha vissuto l'aspetto del conflitto israeliano-palestinese. Siamo scese in giordania proprio questo natale. Il mio parere da quello che ho visto finora e dalle persone con cui ho parlato è che oggi esista qualcosa che non viene detto, che viene omesso dalla stampa ma anche dai media in genere.
Quando un giornalista scrive è soggetto a leggi di censura, deve far conti con lo stato, con aspetti non solo sociali ma politici del contesto in cui vive. Ovviamente dall'altra parte chi legge un articolo o guarda un telegiornale ha la presunzione che quello che veda rispecchi solo la realtà senza tener conto del taglio mediatico che per forza viene fatto. Così l'informazione è parziale e spesso stereotipata e chi la legge o la osserva fa di questi stereotipi la propria opinione. Ovviamente chi poi invece tutti i giorni si trova a fare i conti con un muro, una realtà limitata e forzata, con il lavoro che non si trova...
forse questo è l'aspetto ancora più cupo che la guerra stessa.
Ho saputo che vieni a bologna a lavorare per una ong, di preciso di che vi occupate? posso citare il tuo blog nella bibliografia della mia tesi e utilizzarlo come fonte di notizie?

KATU ha detto...

kuigyciao anna...lasciami dire subito che sarebbe un onore per me essere citato nella bibliografia (o webgrafia come la chiamano adesso) di una tesi universitaria. quando ho iniziato a scrivere questo blog mai avrei immaginato una cosa del genere. per cui certo, citami e continua a leggere/commentare se ti fa piacere e se può esserti utile.
per quanto riguarda la faziosità dei media...purtroppo questo è il nostro mondo...basterebbe guardare un servizio di claudio pagliara - inviato del tg1 a tel aviv - per rendersi conto di quello che è diventata l'informazione nel nostro paese e nel mondo in generale. quando per mia sfortuna mi trovo di fronte al tg in tali occasioni, mi si drizzano i capelli, divento paonazzo e nn riesco neanche più a respirare dalla rabbia. ogni volta questo eccellente giornalista ripete il solito ritornello: dobbiamo difendere il diritto all'esistenza di israele. ma chi ci pensa al diritto dei palestinesi alla dignità della vita quotidiana? come possono in questo modo le persone comuni - intendo coloro che nn hanno il tempo, la voglia o la capacità di informarsi liberamente - sapere ciò che è vero nelle immagini e nelle parole truccate che giornalmente vengono proiettate e scritte? ti racconterò un aneddoto che è, a tal riguardo illuminante. lo scorso anno ho avuto l'immenso piacere di lavorare - si trattava di uno stage post master - presso l'ambasciata giordana a bruxelles. grazie a questo ho potuto incontrare e valutare anche le opinioni di alcuni tra i più famosi e quotati officers della commissione europea, del consiglio e dell'europarlamento. a parte alcune rarissime eccezioni, tutti mi hanno ripetuto lo stesso ritornello di pagliara: nn importa quante vite palestinesi si spengono, l'importante è che israele sia al sicuro. dopo aver acquistato una certa familiarità con l'ambasciatore - o meglio il suo sostituto, il simpaticissimo dr. malek twal - a fine stage ho rivolto a lui questa domanda, pregandolo tra l'altro di rispondermi francamente, fuori dalla diplomazia ufficiale del suo mondo: nn sarebbe meglio, vista l'evidente metamorfosi di hamas - sempre più un partito politico e sempre meno un braccio armato - coinvolgerlo nella tanto sospirata equitable and durable solution della questione palestinese? e, in particolare, perché la giordania aveva smantellato l'ufficio politico di hamas ad amman? la sua risposta iniziò con un sorriso che mi fece immediatamente capire cosa stava per dirmi: la giordania è oggigiorno molto dipendente dai finanziamenti usa e sta cercando di normalizzare sempre più i suoi rapporti con israele, nonostante una vivace opposizione interna (molti dei 5 milioni di profughi palestinesi - quelli a cui ancora viene negato il cosiddetto "diritto al ritorno" - vivono in giordania). una persona informata come te a questo punto potrebbe anche perdere tutte le speranze...quindi passiamo ad altro.
si, mi sto trasferendo a bologna per lavorare con una ong, il cestas (http://www.cestas.org/index-gen.asp) e comincio giust'appunto domani. spero che un giorno ci si possa incontrare ed organizzare con il loro patrocinio un tavolo di confronto o anche solo fare una cenetta insieme (facciamo cucinare alice, viste le ricette che propone nel suo blog!!!). a questo punto ti saluto e ti faccio l'in bocca al lupo di rito. concludo lasciandoti un altro link (http://www.luisamorgantini.net/) quello del sito della mitica europarlamentare di rifondazione luisa morgantini: un'istituzione per le donne palestinesi e musulmane in genere, l'unica con la quale ho realmente potuto avere una discussione sincera. credo ti sarà utile. as-salamu alaikum!!!

Anonimo ha detto...

ciao luca, grazie mille della tua disponibilità, mi sono permessa di segnalare il tuo blog anche alla mia insegnante. Trovo lo strumento dei blog oggi molto utile, soprattutto se usato in modo utile e giusto come questo.
Spero che in futuro ci si possa incontrare, per parlare anche dell'attività della cestas in relazione ai media palestinesi o alla palestina in genere. Ora intanto visito il sito e vedo di cosa si occupa. Tu rientri nell'equipe e nello staff o segui progetti particolari?

KATU ha detto...

ciao anna...no io sono appena arrivato, sto facendo una sorta di stage/prova per vedere se posso fare della cooperazione internazionale - in questo caso via ong - il mio lavoro.
i blog sono anche attualmente l'unico vero strumento di conoscenza libera, slegata da qualsiasi tipo di interesse se non l'amore per una propria opinione. e sono, quindi, il massimo. a presto...