mercoledì 14 novembre 2007

Con il calcio non c'entra niente

1. Ci sono molte cose gravi in quello che è successo la mattina dell’11 novembre sull’autostrada A1 all’altezza di Arezzo, in quello che ne sta conseguendo e in quello che ne conseguirà.
E’ gravissimo che un agente di polizia estragga una pistola e cominci a sparare – foss’anche in aria – da distanza ragguardevole per un avvenimento del quale non conosceva nulla - senza quindi che vi fosse un’immediatezza del pericolo – che per di più si svolgeva dall’altra parte di un’autostrada a quell’ora trafficatissima.
Voglio sperare, per il bene di tutta la società, che l’esito di questa sconsiderata azione non fosse voluto. Ancor più grave è il modo con cui la situazione (sintetizzata nell'immagine sopra - fonte:corriere.it) è stata gestita dalle autorità, nonché l’ipocrisia con la quale è stata - e continua ad essere - commentata dai soliti interessi mediatici di parte.
Questa volta deve essere ben chiaro: il calcio, il tifo e i tifosi con quello che è successo sull’A1 non c’azzeccano niente. I tafferugli di Bergamo e la guerra di Roma sono un’altra cosa.

2. Tutta la gestione della vicenda da parte della pubblica autorità si presta a molti dubbi e solleva diverse critiche. La sensazione è che si sia voluto, almeno in un primo momento, cercare di manipolare e di coprire la verità.
Amato avrà i suoi buoni motivi per sostenere che è stato fatto tutto il necessario – e forse anche ragione – ma ciò non toglie che l’approccio del suo dicastero nel gestire i momenti di crisi di qualsiasi natura (immigrazione, delinquenza, problema stadio – spesso accomunati alla tematica della sicurezza) sia decisamente inappropriato. Le figure giuridiche dei vari reati sono già presenti nel nostro ordinamento, così come le relative pene. Il problema è applicarle nella giusta maniera e non produrne di nuove. Che tradotto vuol dire solo perdere tempo e soldi, oltre che offrire nuovi pretesti di radicamento a chi si vorrebbe combattere.
A chi come la Meandri vorrebbe chiudere gli stadi, vietare le trasferte o sospendere temporaneamente i campionati di calcio per dare “un segnale forte” mi sento di dire che è perfettamente inutile: i soli colpiti sarebbero i veri appassionati e tifosi, insieme all’immagine italiana di quel fenomeno sociale che si chiama sport. Gli autori degli episodi di violenza dentro e fuori gli stadi non sono tifosi, sono solo delinquenti ai quali è stato permesso di appropriarsi di quello che una volta era un gioco, spalleggiati da società calcistiche (le connivenze le conosciamo tutti), interessi economici (penso agli sponsor e alle televisioni payperview) e potere politico eversivo, sembrerebbe di estrema destra.

3. Un grosso disgusto me l'hanno provocato i soliti giornali italiani, sempre pronti a lucrare sui clamori di un grave avvenimento piuttosto che fare informazione e creare quella cultura sportiva che tutti ora - ma sono anni che se ne parla - tirano in ballo. Il fatto di aver immediatamente accostato - anche prima degli episodi di Bergamo e Roma - la morte di Gabriele Sandri al fenomeno violenza nel calcio è atto vilissimo e indice di come l'informazione italiana sia al servizio di poteri politico-economici occulti. Di come punti a darci una sua visione: il calcio è violenza, gli stadi vanno chiusi, corriamo tutti a comprare una tesserina magnetica ricaricabile (invece dell'abbonamento o del biglietto) e vediamo la partita in tv a casa.
E così - tanto per fare un esempio - in un articolo intitolato "Comunque è stato ucciso dal calcio" Vittorio Zucconi scrive su Repubblica che "giratela come vi pare, ma il fatto rimane. Gabriele Sandri è stato ucciso dal calcio, da questa 'cosa' deforme e mostruosa che in Italia ha perduto da anni ogni senso, ammazzato anche lui da questo cancro che anno dopo anno, scandalo dopo scandalo, cerotto dopo cerotto, chiacchiera dopo chiacchiera continua a metastatizzare e pretendere, come una divinità pagana, sacrifici umani per sentirsi importante".
Torno a ripeterlo: il fatto oggettivo di un poliziotto che spara forse per errore (a meno che non venga configurato la fattispecie del dolo), probabilmente per negligenza (ma desta più di un serio dubbio il particolare delle braccia tese al momento dello sparo) ad un individuo qualsiasi - per puro caso tifoso e diretto alla partita - non può essere accostato alla guerriglia che pur ne è seguita. Deve piuttosto portare a considerazioni utili a ricostruire un ordine che si è perduto.

4. I delinquenti vanno messi in galera (ci sono tutti i mezzi giuridici e tecnologici) e non più finanziati. Chiudere gli stadi o fermare le partite non ha nessuna importanza per loro. Loro le partite non le vedono neanche.
Il poliziotto dovrà essere punito in maniera giusta, ma spero servirà anche a fare un po' di luce in quella che è, invece, una realtà: anche nelle forze dell'ordine ci sono delle 'teste calde'. Non sono in grado di giudicare - né è mia intenzione - il caso specifico, ma da abituale frequentatore degli stadi - supertifoso e non facinoroso - posso giustificatamente sostenere che a volte gli atteggiamenti di gruppetti o di singoli all'interno delle forze dell'ordine sono decisamente fastidiosi e pesanti, a volte inopportuni perché danno un pretesto a chi altro non aspetta. Così avevo accolto favorevolmente la presenza dei soli steward perché in un certo modo allevia un clima di tensione. Ma, ovviamente, non rappresenta una soluzione.
Non vorrei, però, che le colpe maggiori siano da ricercare in coloro che fomentano paura a livello sociale, che seminano insicurezza e che, con legislazioni d'emergenza, fanno sì che alcuni si sentano come Walker Texas Ranger, da cui è lecito aspettarsi di tutto purché la legge 'trionfi', e altri si arroghino arbitrariamente il dovere di scardinare il viver civile.

Nessun commento: