lunedì 26 febbraio 2007

Le 12 tavole di Prodi

1. Il rinvio presidenziale del governo Prodi alle Camere fa, in teoria, rientrare a crisi: l’esecutivo otterrà la fiducia – a meno di repentini imprevisti – e, costituzionalmente parlando, sarà lo stesso di prima. Detto che la scelta di Napolitano è pragmaticamente la migliore tra quelle a sua disposizione, ciò che è interessante chiedersi ora è se l’esecutivo, oltre ad essere lo stesso di prima, continuerà ad essere quello di prima. Ossia, se produrrà lo stesso tipo di politica o se, quasi inevitabilmente, dovrà ridefinire alcune questioni per guadagnarsi stabilmente i voti della sopravvivenza.
Possiamo trarre una prima idea dai 12 punti “non negoziabili” sottoposti da Palazzo Chigi ai segretari dei partiti della coalizione. Se si fa eccezione per l’Afghanistan e la Tav (punti 1 e 4) il resto del diktat prodiano appare vago ed evasivo: in materia di pensioni non si accenna ai limiti d’età, sulla famiglia si tace circa i Dico e su altre questioni le parole usate hanno i tono di una dichiarazione d’intenti. Come ha commentato Beppe Grillo (dal cui sito è stata presa l’immagine) “se Mosè avesse scolpito le tavole della Legge con la stessa chiarezza il mondo sarebbe preda del caos. I segretari di partito hanno comunque accettato. Con dei punti così vincolanti possono stare tranquilli. E farsi i c...i loro”.

2. La sensazione è che molto dell’azione precedente verrà modificato, in nome della necessità di allargare la maggioranza in Senato. Nel ‘mercato di riparazione’, Prodi & co. hanno ottenuto un magro bottino, riuscendo ad incassare solo un si certo, quello di Follini. O forse tre.
Perché il destino di questo governo sta nei numeri: se si escludono dal conto i senatori a vita (che il Costituente ha pensato slegati dall’esecutivo e, quindi, aventi diritto a votare ogni volta come credono) e quelle che Giovanni Sartori ha definito sul Corriere le “teste quadrate che non ragionano come le teste rotonde”, Prodi è inesorabilmente sotto.

3. L’adesione di Follini non sarà priva di un costo. Il preventivo è stato presentato nel momento in cui si è proposto di “partecipare alla costruzione del nuovo centrosinistra, più vicino al centro [e] contribuire a tracciare una rotta diversa da quella seguita fin qui”. E nella stessa intervista al Corriere – in cui dichiara anche di non demonizzare i Dico, ma di ritenerli non prioritari nell’agenda politica del paese – alla domanda se consideri i 12 punti una svolta centrista, risponde che “rappresentano un primo passo, l’inizio di un cammino, il segno che si è imboccato un senso”.
Per l’adesione di Andreotti, invece, il prezzo è stato già pagato. Lo stesso senatore, molto soddisfatto, ha fatto sapere che “io stesso come cattolico, ma anche come persona (ma gli altri non sono pure persone?) ero rimasto molto male impressionato dal fatto che il governo avesse proposto le famiglie omosessuali”, aggiungendo, a proposito del fatto che i Dico sono spariti dal documento programmatico di governo, che “in aula ci sarà un dibattito e alcuni temi che avevano disturbato saranno accantonati, quindi non dovrebbero esserci difficoltà”. E a chi gli chiede un’opinione sul presunto complotto per far fuori Prodi, risponde che “questo dei complotti è un sospetto che in Italia non muore mai, ma è tutto sbagliato…”.
Illuminante al riguardo un articolo dell’Indipendent intitolato Blame the Vatican for Italy’s latest crisis, nel quale Peter Popham scrive che “l’Italia non è uno stato, ma due: quello creato nel 1870 e il papato, attorcigliato nel cuore di Roma. Il governo è caduto perché tre senatori a vita hanno bocciato la politica estera del governo, nonostante fossero favorevoli alla missione in Afghanistan. Il loro vero obiettivo era boicottare il disegno di legge sulle unioni civili”.

4. Qual è, dunque, il futuro del governo Prodi? Una volta ottenuta la fiducia cosa dovrà inventarsi il ‘Professore’ per continuare a sopravvivere? Dovrà negoziare di volta in volta la sua politica finendo così per prestare il fianco a tutti quelli che minacceranno di far mancare i numeri? Una cosa è sicura: chi sperava che dopo l’iniziale carburazione questo governo avrebbe finalmente fatto qualcosa ‘di sinistra’ rimarrà deluso.
In politica estera l’intenzione è quella di “rispettare gli accordi internazionali”, il che tradotto vuol dire che continueremo a fare quello che ci ordinano dall’altra parte dell’Atlantico; all’interno, il tentativo di restituire ad una parte della popolazione i suoi legittimi diritti civili verrà affondata in Parlamento e qualsiasi tentativo di sterzata a sinistra in materia di welfare sarà bloccato; in più, ci sarà spazio per l’approvazione di una legge elettorale che imporrà una pesante forza centripeta al nostro sistema costituzionale. In proposito, Follini si è affrettato ad esternare che “il doppio turno alla francese implica il bipolarismo. Il modello tedesco, per metà proporzionale, non esclude una terza forza. Dipendesse da me, sceglierei il modello tedesco”, preludendo, dunque, il ritorno a quell’eredità che credevamo esserci scrollati di dosso nel terremoto dei primi anni Novanta.
“Ho detto molte volte che Prodi doveva sottrarsi alla sacralità e agli automatismi della campagna elettorale che l'ha portato a Palazzo Chigi, e liberare se stesso dall'idea muscolare del bipolarismo prevalsa in questi anni […] non ho un'idea sacrale di maggioranza e opposizione, non credo esistano due recinti: più si allentano le morse, meglio è. Il senso di una legislatura costruttiva, di movimento, sta nel non restare imprigionati in uno dei due blocchi”.
La paura è che tutti si concentrino sulla legge elettorale e sui vantaggi da trarne, lasciando irrisolte le questioni che rallentano il paese.

sabato 24 febbraio 2007

La crisi annunciata

1. La crisi aperta dal voto negativo del Senato sulla mozione del Governo merita un'attenta riflessione sul sistema politico italiano nel suo complesso, fuori dai calcoli politici particolari. Non potendo l'Italia permettersi - soprattutto nel contesto attuale - una tale battuta d'arresto, sarebbe meglio che la riflessione fosse indirizzata verso il perseguimento dell'interesse nazionale, piuttosto che dominata da quantomai inopportune schermaglie politiche.
Non era mai successo nell'Italia repubblicana che un governo non ricevesse il voto positivo in politica estera: la rilevanza della questione impone la partecipazione e il buon senso di tutti. La caduta è, infatti, fragorosa, resa ancor più evidente dal fatto che sia avvenuta su un tema che trovava un generale consenso anche nell'opposizione e nonostante la linea molto coerente tenuta da D'Alema, il quale ha parlato con nettezza, ammonendo che un governo che si rispetti deve potersi reggere su una propria maggioranza in politica estera, che su un tema così decisivo non sono ammissibili apporti dell'opposizione e che se non si sta su questa strada allora l'unica alternativa è quella di abbandonare la partita. Una politica estera che in un precedente post avevo – senza aver peraltro cambiato opinione – decisamente criticato.
E' stata, ad ogni modo, una crisi ampiamente annunciata da segnali di tensione a livello di politica internazionale e da controverse questioni interne.

2. Tecnicamente, una crisi di governo può caratterizzarsi come crisi parlamentare o extraparlamentare.
Nel primo caso, in seguito all'approvazione di una mozione di sfiducia da parte del Parlamento, il Governo ha l'obbligo giuridico di dimettersi: tale ipotesi non è espressamente prevista dalla Costituzione, ma si deduce dal sistema e, ex adverso, dalla norma contenuta all'articolo 94 comma I secondo il quale "il Governo deve avere la fiducia delle due Camere". L'ipotesi di una crisi seguente all'approvazione di una mozione di sfiducia non si è mai verificata e solo 5 Governi (De Gasperi '53 - Fanfani '58 - Andreotti '72 e '79 - Fanfani '87) non hanno ottenuto la fiducia dopo la loro formazione, nel qual caso si parla di mancata costituzione iniziale del rapporto di fiducia.
Tutte le altre crisi di Governo hanno avuto origine extraparlamentare, dovute, cioè, al ritiro dell'appoggio da parte di uno o più gruppi parlamentari - se sufficiente a porre l'esecutivo in minoranza - o alla decisione autonoma del Governo stesso qualora abbia il convincimento di non godere più della fiducia del Parlamento. In questo caso, e fermo restando la possibilità per l'esecutivo di porre la questione di fiducia, efficace strumento contro l'ostruzionismo delle minoranze con la quale dichiara all'Assemblea che se la mozione non passa è pronto a dimettersi, esso può ancora restare in piedi, in virtù dell'articolo 94 comma IV secondo il quale "il voto negativo di una o entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa l'obbligo di dimissioni".
Sebbene, quindi, le dimissioni non fossero dovute, appare però evidente che, qualora il voto negativo investa una questione chiave dell'indirizzo politico del Governo, esso dovrebbe interpretarlo come un chiaro segnale del fatto che la maggioranza non condivide più la sua linea politica, prenderne atto e trarne le necessarie conseguenze. Così è stato, con la salita di Prodi al Quirinale e la rimessa della patata bollente nelle mani del Presidente della Repubblica. Il quale può respingere le dimissioni rinviando il Governo alle Camere per una parlamentarizzazione della crisi o accettarle e indire nuove elezioni, affidando nel frattempo al Governo dimissionario in regime di prorogatio il disbrigo degli affari correnti. Tutto dipende da come Napolitano userà il suo potere costituzionale: è all'inizio del suo mandato e gode della giusta autorità, ma è alle prese con la sua prima crisi di Governo e pretende dai partiti inamovibili garanzie sul fatto che un eventuale Prodi bis abbia numeri più solidi in Senato. In alternativa, un governo istituzionale.

3. Come purtroppo avviene in Italia, il dibattito che è scoppiato non ha evidenziato anche la fragilità del nostro sistema istituzionale, ma si è concentrato solo nell'individuazione dei possibili colpevoli e dei probabili calcoli politici. Tre le cause indicate: l'irresponsabilità dei dissidenti di estrema sinistra che non hanno rispettato la linea del loro rispettivo partito, lo sgambetto dei senatori a vita che apre la strada all'ipotesi del complotto Usa-Vaticano e l'effetto inevitabile della legge porcata che non consente governabilità in quel di palazzo Madama.
Dare tutta la colpa a Rossi e Turigliatto è, anche numericamente, un errore: se i due senatori avessero votato la mozione i voti sarebbero stati 160, ma il quorum si sarebbe alzato a 161. Tanto più che, non trattandosi di votare la fiducia sull'operato del governo in toto, il parlamentare può orientare la sua volontà in maniera difforme, dal momento che l'articolo 67 della Costituzione sancisce il divieto di mandato imperativo stabilendo che "ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita la sua funzione senza vincolo di mandato". Se di fatto nella realtà tale vincolo e attenuato dalla disciplina di partito - che tende a compattare i singoli membri dei gruppi parlamentari - secondo alcuni (Biscaretti, Mazziotti, Mortati) ciò non contribuirebbe a far venir meno il divieto: l'articolo 83 comma I del Regolamento della Camera attribuisce ai "deputati che intendano esporre posizioni dissenzienti rispetto a quelle dei propri gruppi" il diritto a prendere la parola nella discussione di voto e l'articolo 84 comma I del Regolamento del Senato stabilisce che "i senatori che dissentano dalle posizioni assunte dai gruppi di appartenenza sull'argomento in discussione hanno facoltà di iscriversi a parlare direttamente". Così ha fatto per esempio il signor Rossi, dichiarando non avrebbe votato la mozione, ma avvisando che non era in dubbio la sua fiducia al Governo. Questo è esercizio della democrazia e non può mai essere condannato.
Suggestiva, ma altrettanto plausibile, l'ipotesi del complotto centrista. Che Andreotti, Cossiga e Pininfarina siano espressione, a vario titolo, di poteri forti (quali gli Usa, il Vaticano e il complesso economico-industriale) e che questo governo non fosse gradito a Washington e alle gerarchie ecclesiastiche, non è un mistero per nessuno. Che sia in atto un rimescolamento verso il centro dello spettro politico è, invece, da un po' di tempo sotto gli occhi di tutti: il dietrofront di Casini a Berlusconi ne è testimonianza lampante ed è anche il motivo per il quale il Cavaliere non ha chiesto a gran voce nuove elezioni. Troppo poco, comunque, per prefigurare un’ampia manovra centrista e puntare il dito verso i senatori a vita che, stavolta, non hanno appoggiato l'esecutivo: esso dovrebbe arrivare in aula potendo già contare sui propri numeri, indipendentemente da essi. Ma allo stesso tempo sufficiente ad evidenziare come la pressione del Vaticano possa esercitarsi fin nel cuore dello Stato.
Infine, più verificabile è l'ipotesi dell'ingovernabilità a causa della legge elettorale emanata dal precedente governo in un paese sostanzialmente diviso a metà e con un panorama politico decisamente variegato. Anche Berlusconi sa che se si andasse alle urne, avrebbe vantaggi nel breve periodo (maggiore potere di propaganda e pessimo stato dell'Unione) ma non riuscirebbe a lungo a gestire numeri mancanti e inevitabili scivoloni. Sebbene sia il fattore decisivo della caduta del Governo Prodi, essa è al contempo solo un aspetto del più ampio problema del sistema politico italiano. Dopo l'introduzione del maggioritario nel '93, stavamo assistendo ad una polarizzazione di due coalizioni, che forse nel tempo avrebbero trovato una coesione interna e garantito una certa stabilità ed alternanza. In linea di principio il bipolarismo all'italiana iniziava lentamente a muoversi. La legge porcata non ha fatto altro che esasperare le già evidenti diversità che animano l'arena politica e spostato indietro le lancette dell'orologio alla Prima Repubblica, con crisi striscianti, scoppi improvvisi e blocco del sistema delle coalizioni.

4. L’evento ha subito fatto il giro del mondo e ricevuto un ampio spazio sui giornali europei e americani. Se il Financial Times fa dipendere la caduta del governo anche alla disastrosa eredità lasciata da Berlusconi in economia e in politica estera, i quotidiani inglesi Times e Guardian fanno notare che essa è dovuta in buona misura ai rapporti dell’esecutivo con l’amministrazione americana. Le Monde scrive che sostanzialmente il voto è stato solo un incidente e che il problema sta in una coalizione nata male e finita peggio, mentre Libération non ha dubbi nell’indicare la sinistra radicale come unico responsabile. Se la stampa spagnola si limita a riportare la notizia, quella tedesca attacca per lo più D’Alema responsabile, secondo Der Spiegel, di aver trasformato con le sue parole il voto su una mozione in un voto di fiducia.
Quasi tutta la stampa americana, infine, punta il dito sulla scarsa compattezza della coalizione di Romano Prodi. Per il Washington Post “il voto di mercoledì ha confermato la delicata natura della banda eterogenea di alleati politici, una fragilità evidente fin dalla vittoria risicata della coalizione lo scorso aprile”.
Simile il commento del New York Times: “il fragile governo italiano si è spezzato all’improvviso sotto i peso delle sue divisioni interne, così come di un più ampio scetticismo sul ruolo europeo nella lotta al terrorismo e la politica estera è rimasta un punto particolarmente debole. Prodi e i suoi ministri hanno cercato di percorrere una difficile strada, echeggiando molto dello scetticismo in Europa sul presidente Bush e la guerra in Iraq, e mantenendo allo stesso tempo i legami tradizionalmente forti dell’Italia con l’America”. Un commento troppo di parte e decisamente semplicistico che non fotografa bene la situazione politica.

5. La realtà è un po’ diversa: un governo per sua natura composito e con un programma ambizioso, reso fragile sul nascere da una sbagliata legge elettorale, definitivamente azzoppato da coloro che dal primo giorno gli avevano remato contro cercando di limitarne gli spazi d’azione. E adesso?
Adesso Napolitano, al termine della due giorni di consultazioni, potrebbe rimandare Prodi a chiedere la fiducia su una base allargata a qualche centrista, optare per un governo istituzionale conferendo l’incarico ad una personalità ‘buona per tutte le stagioni’ (Amato? Marini?) o sciogliere le Camere per dare avvio a nuove elezioni.
La prima ipotesi può verificarsi se Prodi riesce a strappare almeno altri 5 elementi per continuare ad avere una maggioranza che gli garantisca, soprattutto su temi impegnativi, di poter governare senza dover fare ogni volta troppa attenzione ai numeri. Forse la soluzione pragmaticamente migliore, ma che, come accaduto più volte in passato, è preludio all’affossamento. Nel secondo caso si avrebbe un esecutivo composto dai 4 maggiori partiti forse in grado di coprire per due anni il nostro seggio all’Onu e di dar vita ad una migliore legge elettorale, ma che non potrebbe certo attuare un programma univoco destinato a migliorare la nostra situazione interna: le larghe intese in Italia non hanno mai funzionato. Infine, nuove elezioni rappresenterebbero costituzionalmente la soluzione più adeguata ad un sistema bipolare che voglia definirsi tale, ma produrrebbero nell’attuale assetto un esecutivo che, indipendentemente dal colore, avrebbe ristretti spazi di manovra in Senato.
Qualunque sia la decisione che Napolitano comunicherà tra qualche ora, una cosa è certa: questa notte non vorrei essere l’inquilino del Quirinale.

lunedì 12 febbraio 2007

Chàvez, quello strano dittatore

Quando si parla di dittature siamo abituati a credere che colui che è al potere agisca in modo da preservare la sua posizione, evitando al proprio regime qualsiasi tipo di pericolo; siamo abituati a credere che ogni diritto - compresi quelli più elementari di cittadinanza - venga negato per mezzo della repressione, delle incarcerazioni e delle fucilazioni sommarie; siamo abituati a credere che il dittatore faccia esclusivamente i propri interessi, finché può, affamando il popolo e distruggendo il paese di cui è a capo. Siamo, appunto, abituati a credere. Perché in alcune parti del mondo ci sono dei dittatori che smentiscono tale "postulato" e si comportano in maniera davvero strana. Uno di questi è Hugo Chàvez, il Presidente venezuelano.
Questo strano dittatore è giunto al potere facendosi eleggere senza ricorrere ad un plebiscito, senza aver fatto uso, cioè, dello strumento con cui - da che storia è storia - gente di tal tipo ha "legittimato" la propria presa del potere (che di solito avviene tramite un golpe militare). Non solo: il signor Chàvez ha poi inanellato una serie di inusuali misure, da far pensare che non abbia mai aperto un libro di storia o che, addirittura, non sia neanche capace di fare i propri interessi. Per cambiare la Costituzione, infatti, ha convocato una consultazione popolare, fatto eleggere un'assemblea costituente e sottoposto le modifiche a referendum. Forse che Chàvez non sa che un dittatore non ha bisogno del consenso della gente? Molti obietteranno che una delle modifiche sostanziali riguarda la possibilità per il Presidente di essere eletto per più di due mandati. Ma un dittatore ha bisogno del consenso popolare per governare il più possibile?
Preso da una sorta di pazzia, ha indetto le elezioni del 2006 e, mentre gli altri tentavano di rovesciarlo, non è riuscito a far altro che mettere in campo una reazione quasi inesistente, robetta elementare che si fa pure nei governi democratici (come ad esempio le procedure di voto elettronico, facilmente manovrabili per mezzo di particolari software). Certo!Roba troppo ingegnosa per un paese in via di sviluppo!!! Di più: l'opposizione interna (eh si, avete letto bene, il fesso tollera anche questo) cerca di sabotare l'economia e lui cosa fa? Licenzia solo qualche dirigente della PDVSA, la compagnia petrolifera di Stato.
Ma la cosa più strana è sicuramente rappresentata dall' introduzione di un referendum "revocatorio", istituto improprio anche per le democrazie più navigate. Roba che farebbe perdere il sonno a Saddam, Hitler, Stalin, Ceaucescu e compagni...Le probabili e concepibili spiegazioni si pongono come un aut...aut: costui è un folle oppure dobbiamo tornare a studiare il concetto di dittatura perché non l'abbiamo ben compreso. Eh già, perché è impossibile che siano i media a propinarci quella venezuelana come una dittatura. Mica siamo stupidi come Chàvez!!!

martedì 6 febbraio 2007

Ruini, il nuovo Richelieu

Adesso basta! La prolusione al consiglio permanente della CEI (conferenza episcopale italiana) è stata una indebita e scandalosa intromissione del cardinal Ruini nella politica interna italiana. Chi ha avuto modo - e sdegno, come il sottoscritto - di leggere il documento, non può che concordare sull'inopportunità delle sue parole e non può non rendersi conto della faziosità dell'ingerenza perpetrata verso il Parlamento italiano, l'unico organo legittimato ad esprimersi su certi temi. Lasciando perdere il tema dei Pacs, dell'eutanasia, della ricongiunzione delle famiglie degli immigrati e della sua valorizzazione in quanto cellula fondante della vita - su cui può, entro certi limiti, esprimere una sua personalissima opinione - interferire nell'ambito della dialettica maggioranza/opposizione e proferire giudizi sulla finanziaria non è assolutamente compito suo.
I vescovi - ed anche lo stesso papa - devono finalmente capire che il loro compito su questa Terra è quello di badare alla cura e alla salvezza delle anime, non quello di fare politica. Questi signori devono, una volta per tutte, capire che la "legge di Dio" - di cui parlano - è una legge morale e, in quanto tale, viene rispettata dalle persone (siano esse credenti o meno) secondo la propria coscienza (quindi liberamente e volontariamente) e non perché ne sono obbligati o per paura della relativa sanzione - voglio ricordare a tal proposito che solo lo Stato ha il monopolio legittimo della forza in questo contesto. Essa non è, dunque, una legge civile. Le leggi in Italia le fa il Parlamento, che viene eletto dal popolo e da esso legittimato.
Ruini non può dire che i diritti dei conviventi e dei loro figli sono già assicurati dal diritto comune e che non c'è motivo di "creare un modello legislativo che configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri". Se il Parlamento decide di fare una siffatta legge è, evidentemente, perché il popolo ha delegato ad esso la propria volontà e, quindi, perché si presume che il popolo voglia una cosa del genere. Altrimenti non avrebbe eletto un Parlamento. Avrebbe eletto lui.
La cosa grave riguarda, però, il fatto che Ruini parla come un politico quando dispensa consigli a maggioranza e opposizione affinché escano dalle contrapposizioni fini a se stesse o quando tira in ballo la legge elettorale, alcuni aspetti dell'ordinamento costituzionale e il sistema pensionistico o fiscale. Se Ruini vuole entrare in politica deve, innanzitutto, svestire i panni del prelato. Quei panni che gli permettono di avere infiniti privilegi e che gli danno da mangiare senza che debba far ricorso al sudore della sua fronte. Proprio come fanno i cittadini comuni che, per pagare con le loro tasse i privilegi del "nuovo Richelieu", non riescono ad arrivare a fine mese. Ecco il motivo per il quale i giovani non si sposano e, negli ultimi anni, si è assistito ad un calo demografico: mettere su famiglia e fare figli è diventato un lusso. Un lusso che molti non si possono permettere visto che i loro soldi finiscono nelle tasche di questi signori.
Infine, una considerazione sull'odierna maggioranza - spesso tacciata di essere "ostaggio" della sinistra massimalista - che, a parte qualche voce, non ha dato segnali di sofferenza per tale ingerenza. Non credo affatto che ciò sia vero; credo, piuttosto, che sia dominata dalla parte cattolica e centrista. E, allora, forse è giunto il tempo che Prodi, Rutelli e co. si alleino con Casini per formare il nuovo centro, la nuova democrazia cristiana. Insieme a Ruini.

venerdì 2 febbraio 2007

La verità sul sionismo

Ogni giorno sentiamo parlare di terrorismo palestinese e, più in generale, di terrorismo islamico. Ci vengono proposti articoli e servizi che descrivono gli atti di violenza perpetrati dai kamikaze contro Israele. Mai, però, ci viene fornito il contesto storico-politico-sociale che fa da sfondo a tali (seppur altamente condannabili) vicende. Perfino alte cariche istituzionali e figure di una certa responsabilità operano molto spesso (anzi sempre) semplificazioni sconcertanti e pronunciano discorsi con evidente faziosità, contribuendo a spianare la strada ad idee sbagliate nella mente delle ignare persone.
Succede, così, che l’orribile vicenda dell’olocausto venga strumentalmente sbandierata per giustificare la feroce politica espansionista di Israele in medioriente. Contro questa ignobile mistificazione, orchestrata a livello mondiale dalla potentissima lobby sionista – ben ramificata e trasversale all’intero spettro degli schieramenti politici, da destra a sinistra – è necessario portare avanti un’opera di grande chiarezza e respingere l’equazione secondo la quale chi si oppone alla brutalità del regime e dell’ideologia sionista è un antisemita, un nemico e persecutore degli ebrei in quanto tali.
Non è così: il sionismo è una cosa, l’ebraismo e il popolo ebraico – esso stesso vittima, come quello palestinese, di questo movimento – sono un’altra cosa. Antisionismo e antisemitismo – inaccettabili le parole di Napoletano – non sono sinonimi. Al contrario è sionismo ad essere un tutt’uno con l’antisemitismo.
Il sionismo non è, quindi, “la fonte ispiratrice dello stato ebraico”, ma un movimento politico apertamente imperialista, sciovinista, aggressivo e razzista che si è macchiato di numerosi orrendi crimini, paragonabili solo a quelli nazisti. Anzi, per molto tempo, i sionisti collaborarono con i nazisti perché avevano una comune concezione del nazionalismo: se gli uni avevano un’idea di stato e di nazione in cui vi fosse posto solo per una razza pura, quella ariana, i sionisti sognavano uno stato per perpetuare la purezza della loro, servendosi del pretesto religioso e di una serie di proclami ideologici che vanno dalla costituzione di una “nazione ebraica universale”, alla “supremazia della razza ebraica”, all’identificazione con “il popolo eletto” da Dio e il suo presunto diritto alla “terra promessa” in Palestina.
Gli ebrei perseguitati furono i cosiddetti “assimilazionisti”, ossia coloro che avevano famiglie miste e si consideravano italiani, polacchi, tedeschi, etc., a seconda dei paesi nei quali vivevano. I sionisti li disprezzavano perché non volendo emigrare in Palestina e integrandosi nello Stato in cui già abitavano rendevano più difficile la realizzazione di uno stato completamente ebraico, laddove di ebraico era rimasto ben poco. L’olocausto avrebbe favorito l’emigrazione forzata degli ebrei europei in Palestina. Tale tesi trova riscontro in una minuziosa ricerca storica svolta da Lenni Brenner, un ebreo internazionalista che vive in America, e pubblicata in due libri, purtroppo non tradotti in italiano. Uno di questi (“Zionism in the Age of the Dictators”) può essere consultato in inglese dal web.

“Finanche nel 1943, mentre gli ebrei d'Europa venivano sterminati a milioni, il Congresso americano propose di istituire una commissione per 'studiare' il problema. Il rabbino Stephen Wise, che era il principale portavoce sionista in America, si recò a Washington per testimoniare contro il progetto di legge perché esso avrebbe sviato l'attenzione (degli ebrei) dalla colonizzazione della Palestina. Si tratta dello stesso rabbino Wise che, nel 1938, in quanto dirigente del Congresso ebraico d'America, scrisse una lettera nella quale si opponeva a qualsiasi cambiamento della legislazione americana sull'immigrazione, cambiamento che avrebbe permesso agli ebrei di trovare accoglienza. In quella lettera scriveva: 'Può essere d'interesse per voi sapere che alcune settimane fa i dirigenti delle più importanti organizzazioni ebraiche si sono riuniti in una conferenza ... Vi si è deciso che, in questo momento, nessuna organizzazione ebraica avrebbe sponsorizzato una legge destinata a cambiare in qualsiasi modo la legislazione sull'immigrazione'.” [Citato in Lenni Brenner, “Zionism in the Age of the Dictators”, p. 149].

Quello che segue è il tentativo di smascherare, con prove ed argomenti incontrovertibili, la scandalosa manipolazione della storia e della verità, portata avanti con impressionante efficienza e costanza fin dagli ultimi anni dell’ottocento quando nacque il movimento sionista, secondo le tesi di Theodor Herzl - un giornalista austriaco di origine ebraica autore del libro “Lo stato ebraico”.
Dopo la fondazione unilaterale dello stato israeliano nel 1948, l’entità sionista ha perpetrato con cinica precisione una pulizia etnica verso i palestinesi che dura da quasi sessanta anni. La sua politica espansionista si è materializzata attraverso ignobili guerre di aggressione (Egitto ’56, Giordania e Siria ’67, Libano ’82 e 2006), orribili stragi di civili inermi (basti ricordare quella di Sabra e Chatila o le due di Cana), confische di terre, distruzioni di case abitate, violenze di ogni genere sulla popolazione e violazione dei più elementari diritti umani. Al di fuori di ogni legalità internazionale (sono un’ottantina le risoluzioni ONU mai rispettate da Israele) l’entità sionista applica metodi terroristici, aggredendo e fomentando guerre civili negli stati confinanti, arrivando addirittura ad uccidere o imprigionare esponenti democraticamente eletti dei rispettivi governi.
Eppure di tutto ciò non si fa mai menzione. Al contrario, si giustificano colpevolmente tali crimini sulla base della “sicurezza di Israele” e sul presunto odio del mondo per gli ebrei.

IL SIONISMO E L’ANTISEMITISMO – La commistione sionismo/antisemitismo non è certamente una mia invenzione, né tanto meno di altri. Sarà sufficiente riportare alcune frasi di esponenti sionisti che la dicono lunga – si potrebbe anche pensare che l’olocausto è stato pianificato da loro stessi, con evidenti scopi - sulle connivenze con i nazisti. Il tenore di queste citazioni ha dell’incredibile e sono parte di un documento fruibile dal web.

“Ogni paese può assorbire solo un numero limitato di ebrei, se non vuole avere disturbi nello stomaco. La Germania ha già troppi ebrei.” [Chaim Weizman, presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, futuro presidente di Israele, (1912) citato in Lenni Brenner, “Zionism in the Age of the Dictators”, cap. 3].

“Anche noi siamo d'accordo con l'anti-semitismo culturale, in quanto che noi crediamo che i tedeschi di fede mosaica siano un fenomeno indesiderabile e demoralizzante.” [Chaim Weizman, presidente dell'Organizzazione sionista mondiale e futuro presidente di Israele, “The letters and papers of Chaim Weizman”, Letters, Vol. 8, p. 81, 1914].

“L'ebreo è una caricatura di un essere umano normale e naturale, sia fisicamente che spiritualmente. Come individuo nella società si rivolta e butta via le briglie degli obblighi sociali, egli non conosce né ordine, né disciplina.” [Our Shomer “Weltanschauung”, articolo scritto nel 1917 e pubblicato nel dicembre 1936 in Hashomer Hatzair, p, 26, organo dell'Organizzazione Giovanile Sionista].

“Noi ebrei, noi i distruttori, rimarremo dei distruttori per sempre. Nulla che voi facciate darà soddisfazione ai nostri bisogni e alle nostre esigenze. Noi distruggeremo sempre perché noi abbiamo bisogno di un mondo tutto nostro, un mondo divino, che non è nella vostra natura di poter costruire ... quelli tra di noi che non riescono a capire questa verità saranno sempre gli alleati delle vostre fazioni ribelli, fin quando non giungerà la disillusione, il destino maledetto che ci sparse in mezzo a voi ci ha assegnato questo sgradito ruolo.” [Maurice Samuel, “You Gentiles”, p. 155,1924].

“Se noi [sionisti] non ammettiamo che gli altri abbiano il diritto di essere anti-semiti, allora noi neghiamo a noi stessi il diritto di essere nazionalisti. Se il nostro popolo merita e desidera vivere la propria vita nazionale, è naturale che si senta un corpo alieno costretto a stare nelle nazioni tra le quali vive, un corpo alieno che insiste ad avere una propria distinta identità e che perciò è costretto a ridurre la sfera della propria esistenza. E' giusto, quindi, che essi [gli anti-semiti] lottino contro di noi per la loro integrità nazionale. Invece di costruire organizzazioni per difendere gli ebrei dagli anti-semiti, i quali vogliono ridurre i nostri diritti, noi dobbiamo costruire organizzazioni per difendere gli ebrei dai nostri amici che desiderano difendere i nostri diritti.” [Jacob Klatzkin, (1925), citato in Jacob Agus, “The Meaning of Jewish History”, in “Encyclopedia Judaica”, vol II, p. 425].

“Ho elaborato una filosofia del Giudaismo affine alla tendenza spirituale del Fascismo molto prima che quest'ultimo fosse diventato la regola nella società politica italiana.” [Alfonso Pacifici ideologo del sionismo italiano, intervistato da Guido Bedarida, 1932].

“Per i sionisti, il nemico è il liberalismo; esso è anche il nemico per il nazismo; ergo, il sionismo dovrebbe avere molta simpatia e comprensione per il nazismo, di cui l'anti-semitismo è probabilmente un aspetto passeggero.” [Harry Sacher, Jewish Review, settembre 1932, p. 104, Londra].

“L'hitlerismo ... ci ha reso per lo meno un servizio dal momento in cui non ha tracciato una linea di demarcazione tra l'ebreo religioso e l'ebreo apostata. Se Hitler avesse fatto eccezione per gli ebrei battezzati [al cristianesimo], avremmo assistito allo spettacolo poco edificante di migliaia di ebrei che correvano a battezzarsi. L'hitlerismo ha forse salvato l'ebraismo tedesco, che stava assimilandosi fino all'annichilimento.” [Chaim Bialik, “Palestine and the Press, New Palestine, 11 dicembre 1933].

“E' un fatto innegabile che gli ebrei presi collettivamente sono infermi e neurotici. Quei professionisti ebrei che, colpiti sul vivo, negano sdegnosamente questa verità sono i più grandi nemici della loro razza, perchè guidano gli altri ebrei alla ricerca di false soluzioni, o, al massimo, di palliativi.” [Ben Frommer, sionista revisionista, (1935), “The Significance of a Jewish State”, in Jewish Call, maggio 1935, p. 10].

“Il momento non può più essere lontano ormai in cui la Palestina sarà in grado di nuovo di accogliere i suoi figli che aveva perduto da oltre mille anni. I nostri buoni auguri e la nostra benevolenza ufficiale li accompagnino.” [Reinhardt Heyndrich, capo dei Servizi Segreti delle SS, “The Visible Enemy”, articolo pubblicato in Das Schwarze Korps, organo ufficiale delle SS, maggio 1935].

“Hitler tra qualche anno sarà dimenticato, ma avrà un bellissimo monumento in Palestina. Sapete, la venuta dei nazisti è stato un avvenimento piuttosto benvenuto. Vi erano tanti dei nostri ebrei tedeschi che pendevano tra due sponde. Migliaia di loro che sembravano completamente perduti per l'ebraismo furono riportati all'ovile da Hitler, e per questo io sono personalmente molto riconoscente verso di lui.” [Emil Ludwig, intervistato da Meyer Steinglass, “Emil Ludwig before the Judge”, American Jewish Times, aprile, 1936, p. 35].

“Uno stato costruito sul principio della purezza della nazione e della razza (cioè la Germania Nazista) può solo avere rispetto per quegli ebrei che vedono se stessi allo stesso modo.” [Joachim Prinz, (1936), citato in Benyamin Matuvo, “The Zionist Wish and the Nazi Deed”, Issues, (1966/67), p. 12].

“Le speranze dei sei milioni di ebrei europei si fondano sull'emigrazione. Mi è stato chiesto: 'Puoi portare sei milioni di ebrei in Palestina?' Ho risposto, 'No' ... I vecchi passeranno. Sopporteranno il loro destino o non lo faranno. Sono polvere, polvere economica e morale in un mondo crudele ... Solo il ramo giovane sopravviverà. Dovranno accettarlo.” [Chaim Weizmann, futuro primo presidente di Israele, nel discorso al Congresso Sionista del 1937 nel quale riporta le sue risposte davanti alla Commissione Peel, Londra, luglio 1937. Citato in 'Yahya', p. 55].

“Lo stato sionista deve essere fondato con ogni mezzo e appena possibile ... Quando lo stato ebraico sarà stato fondato secondo le attuali proposte contenute nel documento della Commissione Peel, e in linea con le promesse parziali dell'Inghilterra, allora i confini potranno essere spostati ulteriormente in avanti secondo i nostri desideri.” [Feivel Polkes a Adolf Eichman, citato in Klaus Polkehn, “The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41”, Journal of Palestine Studies (primavera 1976), p. 74. Citato anche in Lenni Brenner, Op. Cit. cap. 8].

“Per essere un buon sionista uno deve essere in qualche modo un antisemita.” [Chaim Greenberg, “The Myth of Jewish Parasitism”, Jewish Frontiers, marzo, 1942, p. 20].

“Se mi viene chieso, 'Potresti dare una parte dei soldi dell'Unione delle Agenzie Ebraiche per salvare gli ebrei (in Germania), io dico NO! E ripeto NO!” [Izaak Greenbaum – capo del Comitato di Soccorso dell'Agenzia Ebraica (Jewish Agency Rescue Committee) – rivolto al Consiglio Esecutivo Sionista, il 18 febbraio 1943].

“Una mucca in Palestina vale più di tutti gli ebrei in Polonia.” [Izaak Greenbaum – capo del Comitato di Soccorso dell'Agenzia Ebraica (Jewish Agency Rescue Committee) – rivolto al Consiglio Esecutivo Sionista, il 18 febbraio 1943].


IL TERRORISMO SIONISTA – A livello internazionale non esiste una definizione comunemente accettata del fenomeno terrorismo. Esiste però una visione prevalente costruita dalla superficialità dei media che si ostinano a presentare la situazione secondo una vera e propria distorsione della storia. Gli attacchi palestinesi sono quindi “infami attentati terroristici”, “efferati massacri”, mentre le attività degli israeliani vengono definite di “autodifesa” o comunque “uccisioni mirate”.
Ed effettivamente esse sono mirate, in particolare verso i bambini (i futuri adulti dello stato palestinese) e le donne (quelle che appunto garantiscono la nascita di nuovi individui, i bambini): lo scopo è quello di non far aumentare la popolazione araba in Palestina e scongiurare uno dei pericoli maggiori per l’entità sionista, quella della bomba demografica.
I sionisti non vogliono in Palestina un solo Stato multietnico e multiconfessionale perché sarebbero in forte minoranza, così come non vedono di buon grado una two states solution che li costringerebbe ad accettare confini più angusti di quelli che sono riusciti a raggiungere.
Sulle attività sioniste di “terrorismo di stato” – per usare un’espressione di Noam Chomsky – si può vedere un accurato e ben documentato dossier di un giornalista italiano, uno di quegli scritti che mai appaiono nelle pagine dei giornali o di cui mai si parla nell’informazione principale. I seguenti passi sono riportati da questo lavoro.

“Il 9 aprile abbiamo subito una sconfitta morale, quando le due gang Stern ed Etzel (sionisti) lanciarono un attacco immotivato contro il villaggio di Deir Yassin... Si trattava di un villaggio pacifico, che non aveva aiutato le truppe arabe di oltre frontiera e che non aveva mai attaccato le zone ebraiche. Le gang (sioniste) lo avevano scelto solo per ragioni politiche. Si è trattato di un atto di puro Terrorismo... Alle donne e ai bambini non fu dato tempo di fuggire... e molti di loro furono fra le 254 vittime assassinate, secondo l'Alto Comitato Arabo... Quell'evento fu un disastro in tutti i sensi... (le gang) si guadagnarono la condanna della maggioranza degli ebrei di Gerusalemme”. [ONU: La questione palestinese. Joseph Dov, "The Faithful City" (N.Y. Simon & Schuster, 1960), pp. 71-72].

"Il 15 settembre 1982 Bashir Gemayel, presidente del Libano, fu assassinato... Lo stesso giorno le forze israeliane avanzarono su Beirut ovest. Il 16 di settembre gli israeliani arrivarono a controllare quasi tutta Beirut ovest e circondarono i campi profughi palestinesi. Il giorno seguente il Consiglio di Sicurezza dell'ONU condannò la mossa di Israele con la risoluzione 520... IL 17 settembre giunse notizia che gruppi armati erano entrati nel campo profughi di Sabra e Chatila di Beirut ovest e ne stavano massacrando la popolazione civile. Il 18 settembre fu confermato che una strage immane era stata compiuta. Centinaia di cadaveri di uomini donne e bambini furono scoperti, alcuni mutilati, altri apparentemente uccisi mentre tentavano di fuggire; molte case erano state fatte saltare in aria con dentro gli occupanti." [The Origins and Evolution of the Palestine Problem, United Nations, N.Y. 1990].

"In ogni caso, le Forze di Difesa israeliane hanno agito come se il loro principale scopo fosse quello di punire tutti i palestinesi. Le Forze di Difesa israeliane hanno compiuto atti che non avevano nessuna importanza militare ovvia; molti di questi, come gli omicidi extragiudiziali, la distruzione delle case (palestinesi), la detenzione arbitraria (di palestinesi) e le torture, violano i Diritti Umani internazionalmente sanciti e la legalità internazionale... L'esercito di Israele, oltre a uccidere i palestinesi armati, ha anche colpito e ucciso medici e giornalisti, ha sparato alla cieca sulle case e sulla gente per la strada... I delegati di Amnesty International che dal 13 al 21 di marzo hanno visitato i territori occupati hanno visto una scia di devastazione... Le Forze di Difesa israeliane hanno deliberatamente tagliato l'elettricità, l'acqua, i telefoni, lasciando isolate intere aree per almeno 9 giorni. Hanno negato l'accesso alle agenzie umanitarie dell'ONU che volevano portare soccorso, e persino ai diplomatici che volevano rendersi conto dell'accaduto... Hanno vietato alle ambulanze, incluse quelle del Comitato Internazionale delle Croce Rossa, di muoversi, o hanno causato loro ritardi che mettevano in pericolo la vita dei pazienti. Hanno sparato ai medici che tentavano di aiutare i feriti, che sono morti dissanguati per le strade." [Amnesty International Reports, London. ISRAEL AND THE OCCUPIED TERRITORIES, "The heavy price of Israeli incursions", 12/04/2002].

"I palestinesi devono essere colpiti, e provare molto dolore. Dobbiamo infliggergli delle perdite, delle vittime, così che paghino un prezzo pesante." [Dichiarazione dell'attuale Primo Ministro di Israele, Ariel Sharon, a una conferenza stampa del 5 marzo 2002].

"Scrive Aviv Lavie sul giornale Ha'aretz (sinistra progressista israeliana): 'Un viaggio attraverso i media israeliani mette in mostra un enorme e imbarazzante vuoto fra quello che ci viene raccontato e quello che invece il mondo vede, legge e sente. Sui canali televisivi arabi, ma non solo su quelli, si possono vedere le immagini dei soldati israeliani che invadono gli ospedali (palestinesi), che distruggono i macchinari medici, che danneggiano i farmaci, e che rinchiudono i medici lontano dai loro pazienti.' [Alexander Cockburn, "Sharon's wars", American Journal, 09/04/2002].