Olimpic blood
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Radovan Karadzic, accusato della morte e delle sofferenze di migliaia di persone, non è ormai più un pericolo per nessuno. Nonostante da anni i governi che si sono succeduti continuassero a giurare che non fosse in Serbia, è stato arrestato lunedì sera a Belgrado. Solo dopo la notizia dell'arresto è diventato chiaro perché quel giorno il governo avesse tenuto una riunione straordinaria e la seduta parlamentare in corso fosse stata sospesa d'urgenza e rinviata di due settimane. I radicali e i democratici di Vojislav Kostunica loro alleati non avevano il minimo il sentore dell'arresto fino a quando non ne è stata data notizia. Si tratta di un particolare positivo, perché dimostra che hanno perso ogni collegamento con le strutture della polizia e dei servizi segreti. E questo spiega la reazione al limite del panico del leader dei radicali, Aleksandar Vucic.
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La crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti ha rappresentato la miccia che ha acceso il fuoco della destabilizzazione, a lungo sopito sotto la cenere di squilibri negli scambi internazionali e nei tassi di cambio. La miscela esplosiva era composta da mutui erogati a debitori ad alto rischio, da bassi tassi di interesse iniziali (ma poi indicizzati), dal collaterale uso spregiudicato dela cosiddetta ‘finanza creativa’ (in particolare, cartolarizzazioni e derivati) e da una colpevole carenza di controlli istituzionali. I successivi aumenti dei tassi di interesse ufficiali (quintuplicati in pochi mesi tra il 2006 e il 2007) decisi dalla Fed per tenere sotto controllo l’inflazione hanno reso insolventi i mutuatari marginali a fronte di rate maggiorate. Le conseguenze sono rimbalzate su banche, intermediari specializzati, mercati finanziari internazionali, nonché sul mercato immobiliare interno agli Stati Uniti.
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LA FINE DELLE FARC? – La liberazione della Betancourt (insieme a 7 militari, 4 poliziotti e 3 cittadini statunitensi), al di là del giallo sul riscatto o delle molte verità raccontabili, è, dunque, un avvenimento destinato ad avere un’enorme ripercussione sulla vita politica del paese. Le Farc (Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia) hanno ricevuto un durissimo colpo che si somma a una serie di sconfitte cominciate nel 2003, ma dispongono ancora di una struttura solida, di un’efficiente unità di comando e di migliaia di uomini che godono del sostegno incondizionato della popolazione rurale (e quindi più povera), in un paese in cui non c’è mai stata una vera riforma agraria. Davanti alle Farc si aprono ora diverse strade: un disperato inasprimento della via militare, la ricerca di una alternativa politica realistica e urgente alla lotta armata, la frammentazione in gruppi comandati da caudillos senza una vera ideologia che faccia da collante, e aperti a qualsiasi genere di alleanza di convenienza con formazioni paramilitari o narcotrafficanti. Scegliere una alternativa diversa da quella politica causerebbe inevitabilmente gravi sofferenze alla popolazione, metterebbe ancor più in pericolo gli ostaggi che ancora si trovano nella foresta e inasprirebbe una guerra civile che è già latente, oltre a giustificare la militarizzazione e il consolidamento di una sorta di ‘autoritarismo carismatico’, plasmato – almeno per il momento - sulla figura di Uribe.
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Per trasformare un paese povero, rurale e molto popoloso in una ‘tigre’ asiatica, durante la sua lunga dittatura il ‘padre dello sviluppo’ (come si faceva chiamare) ha applicato minuziosamente le ricette del libero mercato, spinto a questo anche dalle amministrazioni di Washington, salvo farle funzionare solo per la sua famiglia e i suoi clientes. A pagarne il prezzo sono state le foreste, le risorse naturali e le popolazioni rurali e indigene del paese. Lo sviluppo è cominciato con le grandi concessioni minerarie – per esempio quella del 1965, e ancora attuale, alla Freeport McMoran che ottenne i diritti esclusivi sulla più grande miniera a cielo aperto di rame e oro a Papua occidentale – da cui le multinazionali hanno tratto miliardi di dollari di profitto, mentre solo una piccola percentuale è andata in royalties allo stato indonesiano. Di più: le attività di estrazione hanno inquinato la zona in modo irrecuperabile e l’interesse economico correlato alle miniere ha contribuito alla repressione delle popolazioni locali, anche finanziando l’esercito. Dopo le miniere, le foreste: tra il 1965 e il 1997, l’Indonesia ha perso tra 40 e 50 milioni di ettari di foresta tropicale, a causa di un misto tra sfruttamento selvaggio del legname commerciabile, espansione di grandi piantagioni, miniere, progetti di infrastrutture e urbanizzazione. Tempo denuncia, appunto, come l'esportazione illegale di legno pregiato stia causando danni gravissimi alle foreste indonesiane, ma sottolinea anche che di recente gli sforzi della polizia per combattere il fenomeno sono stati premiati: un'operazione ha portato all'arresto di 27 persone nella regione di Ketapang, nel Kalimantan Occidentale. "Per anni, una mafia del legno è stata attiva nelle foreste di Ketapang. Sono trafficanti, tagliatori, membri dell'ufficio forestale, della polizia, del ministero delle foreste e dell'amministrazione locale. Secondo le stime della squadra congiunta formata dall'ufficio nazionale di polizia e dal ministero delle foreste, la loro attività causa perdite annuali per più di 32mila miliardi di rupie (circa due miliardi di euro). All'inizio di marzo la squadra ha lanciato un'operazione di smantellamento della rete mafiosa, arrestando tra l'altro il capo dell'ufficio forestale di Ketapang, il capo del distretto di polizia locale e un candidato alla carica di governatore della regione. L'operazione, però, non è ancora conclusa: molti pesci grossi, infatti, sono riusciti a evitare l'arresto. Poi c'è da chiedersi se la polizia e la magistratura sapranno lavorare insieme per assicurare i colpevoli alla giustizia. E intanto le foreste stanno scomparendo" [15 aprile 2008].
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