venerdì 11 luglio 2008

Quale alternativa al dollaro?


La crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti ha rappresentato la miccia che ha acceso il fuoco della destabilizzazione, a lungo sopito sotto la cenere di squilibri negli scambi internazionali e nei tassi di cambio. La miscela esplosiva era composta da mutui erogati a debitori ad alto rischio, da bassi tassi di interesse iniziali (ma poi indicizzati), dal collaterale uso spregiudicato dela cosiddetta ‘finanza creativa’ (in particolare, cartolarizzazioni e derivati) e da una colpevole carenza di controlli istituzionali. I successivi aumenti dei tassi di interesse ufficiali (quintuplicati in pochi mesi tra il 2006 e il 2007) decisi dalla Fed per tenere sotto controllo l’inflazione hanno reso insolventi i mutuatari marginali a fronte di rate maggiorate. Le conseguenze sono rimbalzate su banche, intermediari specializzati, mercati finanziari internazionali, nonché sul mercato immobiliare interno agli Stati Uniti.
La concatenazione degli effetti di questa crisi, rapidamente propagatasi a livello internazionale, ha rivelato la potenziale vulnerabilità e i rischi di contagio del sistema finanziario globalizzato. E’ necessario, pertanto, adattare il sistema monetario internazionale alla maggiore complessità dell’economia mondiale, che non può più contare sulla stabilità del dollaro come principale moneta di scambio e di riserva. Nel giro di poco tempo, gli Stati Uniti da paese creditore del resto del mondo sono diventati il maggior debitore, e i nuovi paesi emergenti – Cina e India in testa – hanno attualmente preso il loro posto. Troppo a lungo i tassi di cambio sono rimasti invariati, a causa della convenienza dei creditori a non rivalutare le proprie monete e, contemporaneamente, degli Usa a non svalutare il dollaro. E’ evidente che ogni shock - come appunto quello dei mutui subprime - provoca una grave crisi di fiducia, con forti vendite di attività finanziarie denominate in dollari sui mercati internazionali e conseguente svalutazione della divisa americana.
Il dilemma principale sta nel fatto che nell’attuale fase storica non c’è una moneta internazionale alternativa al dollaro. Non lo è ancora l’euro, che sconta la perdurante incompiutezza dell’integrazione finanziaria europea e che non può contare sull’unico centro finanziario alternativo a Wall Street, visto che Londra si tiene ancora fuori dalla cosiddetta ‘eurolandia’. Benché indebolito, dunque, il dollaro continua ad essere indispensabile, e tutti avrebbero da perdere da un suo perdurante tracollo. Le conseguenze che si temono potrebbero essere devastanti: forte innalzamento dei tassi di interesse, recessione mondiale, tentazioni protezionistiche, destabilizzazione dell’ordine economico e politico mondiale.
Gli strumenti ordinari delle banche centrali non sono però sufficienti a contenere questi rischi di fragilità intrinseca del sistema monetario internazionale. Gli interventi della Fed e della Bce per fronteggiare la crisi subprime con drastiche immissioni di liquidità e – per ora solo da parte della Fed – con affrettate riduzioni dei tassi ufficiali sono stati tardivi, poco efficaci e rischiano di essere controproducenti nel lungo periodo a causa del rilancio dell’inflazione. La crisi è strutturale e va gestita con interventi di adattamento alla mutata realtà di un’economia mondiale sempre più policentrica. Le banche centrali più rappresentative dovrebbero assumersi la responsabilità di cooperare seriamente con l’obiettivo comune di una svalutazione graduale del dollaro non solo nei confronti dell’euro, ma soprattutto verso le monete delle economie emergenti dell’Asia, in particolare quela cinese. La soluzione più fattibile – l’unica forse con effetti più immediati e progressivi – è probabilmente quella di adottare un sistema di compensazione sovranazionale di debiti e crediti tra la Fed, la Bce e – almeno – la banca centrale cinese. L’idea di fondo è la stessa del piano proposto a suo tempo da Keynes, ma che fu bocciato alla Conferenza di Bretton Woods nel 1944 a causa della forza del dollaro. Alla Conferenza vennero presentati, infatti, due progetti: quello di Harry Dexter White, delegato USA, e quello appunto di Keynes, delegato inglese, ma venne approvato il piano White. Il progetto di Keynes prevedeva la costituzione di una stanza di compensazione all'interno della quale i paesi membri avrebbero partecipato con quote rapportate al volume del loro commercio internazionale, in base alla media dell'ultimo triennio. La compensazione tra debiti e crediti avveniva tramite una moneta denominata Bancor. Dal piano White venne creato il Fondo Monetario Internazionale, la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo mentre il dollaro venne praticamente accettato come valuta di riferimento per gli scambi. La debolezza attuale della divisa a stelle&strisce apre la strada – più di 60 anni dopo – a riconsiderare soluzioni e alternative più avanzate e adatte alla maggiore complessità del sistema economico del mondo globalizzato. Meglio tardi che mai.

APPROFONDIMENTI:

- Lo tsunami finanziario (F. William Engdahl, Globalresearch, traduzione di comedonchisciotte):
I) Il debito ipotecario subprime;
II) Le fondamenta finanziarie del 'secolo americano';
III) Il grande progetto di Greenspan;
IV) La cartolarizzazione: l'ultimo tango;
V) Atto speculativo: la crisi del sistema finanziario mondiale.

[comedochisciotte]:
- L'economia keynesiana oggi (1977);
- Credibilità del sistema;
- Le transazioni finanziarie internazionali sotto il controllo americano;
- Economia di rischio;
- Perché il dollaro vale così poco.

[altrenotizie]:
- Mutui subprime: scattano le manette;
- Crisi dei mutui: quello che le banche non dicono;
- Crisi delle borse? E' il liberismo, bellezza;
- Mutui: una crisi inevitabile?.

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