mercoledì 16 gennaio 2008

Benazir Bhutto: martire o non martire?

Dopo il suo rientro in patria, un primo attentato e la proclamazione dello stato di emergenza da parte del presidente Musharraf, si avviava probabilmente a stravincere le elezioni. Ora la sua uccisione a Rawalpindi getta il Pakistan nel caos. E si apre il dibattito su di lei: martire per il suo paese o immagine di una democrazia 'all'americana'?

Come al solito non mi trovo in pieno accordo su quello che è stato scritto e detto in questi giorni sulla Bhutto: sulla stampa italiana, infatti, si è provveduto a descriverla come un angelo in terra e come l’ultima svanita speranza per il Pakistan di intraprendere la strada x la ‘democrazia’ (metto le virgolette perché ormai la parola è scaduta a concetto buono x tutte le stagioni). Ma prima di versare lacrime da coccodrillo, è bene ricordare chi fosse questa donna. Sicuramente coraggiosa e testarda, forse martire (aiutata in questo dai precedenti familiari), ma sfacciatamente corrotta e maledettamente assetata di soldi e potere. Perché nel mondo di oggi le cose bisogna saperle. Oppure, visti i mezzi che abbiamo a disposizione, bisogna indagarle con spirito critico e non farsi prendere da facili semplificazioni. E, infine, riportarle chiaramente dando a tutti la possibilità di raggiungere un barlume di verità – sebbene non assoluta. Tralasciando l’accusa di corruzione (si parla di introiti x lei pari a 1,5 miliardi di $) vorrei concentrarmi su quello che ha fatto durante la sua carriera politica attiva. Forse si possono trarre indizi su quello che avrebbe fatto se fosse effettivamente tornata alla ribalta.
Sotto il suo governo (il primo alla fine degli anni ’80, il secondo a metà degli anni ’90) il Pakistan ebbe uno dei periodi di più aperta violazione dei diritti umani che la storia del paese ricordi. La Bhutto era notoriamente legata a doppio filo al regime americano, che intendeva fare di lei un docile pupazzo con cui sostituire l’ex fantoccio Musharraf, il quale, dopo anni di sfrenato servilismo verso gli USA e di appoggio alle loro guerre di sterminio, aveva iniziato a recalcitrare e a voler fare di testa propria. Osannata dai governi occidentali, ma assai poco apprezzata in patria, la Bhutto si era fatta conoscere per le proprie apparizioni ai gran galà politici di Miami, dove si presentava indossando vestiti perfino più succinti e scollati di quelli delle signore del luogo. Il che non è certo un crimine, ma neppure il miglior biglietto da visita per una donna che intenda candidarsi a guidare una nazione di religione musulmana. La sua rivalità con Musharraf era più apparente che reale, variava d’intensità con il variare delle contingenze politiche ed era comunque subordinata all’unico fine che alla Bhutto interessasse veramente: prendere nuovamente nelle proprie mani le leve del potere pakistano.
Di lei perfino il New York Times scriveva: “Il suo comportamento all’epoca in cui deteneva il potere e la danza dei sette veli in cui si è abilmente prodotta al momento del suo ritorno – un momento opponendosi al generale Musharraf, poi dando l’impressione di volersi accordare con lui il momento successivo, senza mai far comprendere le sue vere intenzioni – ha suscitato fra i pakistani non meno sfiducia che speranza”.
Ora, a chi conveniva la morte della Bhutto? Sicuramente a molti, ma non credo solo a Musharraf o al-Qaeda. Tralasciando i terroristi – tanto ormai quando c’è da dare la colpa a qualcuno costoro sono i primi aditati, a volte neanche a torto – mi sembra di poter dire che, tra tutti gli indiziati, Musharraf sia forse quello meno probabile, visto che ormai si trova alle corde, come un pugile suonato, da molto tempo. Sharif (personaggio oscuro) non ha forse tutti questi appoggi tali da permettergli così ampie manovre, ma è indubbio che la morte della Bhutto vada a suo vantaggio e gli permetta in un certo modo (anche se non può ricandidarsi – ma si sa bene che in paesi di questo tipo tutto è possibile) di essere il capo incontrastato dell’opposizione.
Finito qua? Neanche per sogno! Infatti, ovunque vi sia un’azione mirante a creare caos, divisioni e guerra civile, è facile intravedere la mano di altri tipi di organizzazioni. Che ne pensate della CIA, del Mossad e dell’ISI, in una sua parte probabilmente collusa con i terroristi? Una nazione dilaniata dalle lotte intestine è, del resto, molto più facile da tenere sotto controllo di un paese dal potere fortemente accentrato, soprattutto per ciò che attiene agli armamenti militari (penso ovviamente alle testate atomiche).
Ammesso che la mia ipotesi possa solo lontanamente essere accettabile e condivisibile, è certo che se l’intelligence americana e israeliana sperava, con l’assassinio della Bhutto, di dare il colpo di grazia al potere di Musharraf, potrebbe scoprire con rammarico di averlo in realtà rafforzato: egli potrebbe sfruttare la situazione per un’ulteriore giro di vite ai diritti civili e per arrestare e perseguire chiunque sia anche solo lontanamente sospettato di avere legami con i fondamentalisti. Una cosa è certa: con la scusa che il Pakistan e il suo arsenale atomico possano cadere in mano ad al-Qaeda (cosa certamente vera) si assisterà in un futuro molto vicino ad un aumento della presenza militare USA nel paese. Se c’è una verità inconfutabile nella vicenda, probabilmente è proprio questa. Il tempo ci dirà quando, come e perché…

APPROFONDIMENTI:
- Benazir Bhutto uccisa in un attentato, rassegna stampa di Internazionale (27 dic 2007);
- Troppi nemici, rassegna stampa di Internazionale (29 dic 2007).
- Bhutto al servizio dell'Impero, Steve Landman per Z-mag
---> riviste specializzate (in inglese):
- The Destabilization of Pakistan, Michel Chossudovsky - Globalresearch, 2007-12-30
- Pakistan: restore democracy - International Crisis Group [pieno di links]
- After Bhutto's Murder: A Way Forward for Pakistan - International Crisis Group, Asia Briefing N°74, 2 January 2008

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