lunedì 21 gennaio 2008

Scientia dei non indigere

1. Avevo forse 8 anni quando una mia bravissima ed indimenticata insegnante pose alla classe questa domanda: qual'è il contrario di scienza? Probabilmente non si aspettava neanche una risposta, quasi sicuramente era solo un normale intercalare retorico. Ma in quella frazione di secondo tra la sua domanda e la risposta che ella stessa si accingeva a dare, dalla mia bocca uscì una parola: fede. Non ricordo perché diedi quella risposta, ma ricordo la faccia che fece la mia insegnante, decisamente sbalordita nel sentirsi dire quello che lei intendeva da un bambino di 3za elementare. Il concetto era evidentemente già chiaro: mentre la scienza si è data un 'metodo' e in base a questo dà spiegazioni e dimostrazioni inconfutabili (almeno fino a che non si dimostri il contrario), 'credere per fede' vuol dire accettare una verità assoluta senza averla prima appurata. Quel ricordo è rimasto scolpito nella mia memoria e mi ha accompagnato fino ad oggi. E proprio in questi giorni torna alla ribalta, a causa della polemica per il mancato discorso di Benedetto XVI all'apertura dell'anno accademico alla Sapienza. Non è mia intenzione, ovviamente, ripercorrere la querelle di attacchi dell'una e dell'altra parte, bensì spostare il discorso su un altro piano. Perché mi sembra che le verità di papa Ratziger stiano diventando sempre più numerose, e tenendo conto dell'eco che ricevono dai nostri media sarà difficile contestarle tutte. Tra le verità di cui ci sta gratificando da quando è stato eletto, due sono intimamente legate a questo nuovo scontro tra scienza e fede.
La prima afferma che per l'uomo la verità non esiste, che non può per questo distinguere tra bene e male e che il cattolicesimo si pone a colmare questa incapacità, in veste di verità dogmatica - da qui l'evidente attacco al concetto di laicità, parola estremamente odiosa per il Vaticano. La seconda riguarda i rischi che derivano da una scienza che non riconosce la morale e non vuole fare riferimento a dio, rischi che possono giungere fino alla "distruzione dell'uomo e del mondo". L'uomo ha dunque bisogno di verità. Di quale, possiamo immaginarlo.

2. La cultura laica nasce dalla confluenza di molte forme di pensiero che hanno ritenuto necessario affrancare la filosofia e la morale dalla religione positiva, in onore di un innato diritto alla libertà di coscienza e per il progressivo distacco del potere temporale da quello spirituale. Così la naturale evoluzione del pensiero laico si è impostata sul rifiuto della verità rivelata, del dogma assoluto, indicando come priorità la libera ricerca delle singole verità relative. Per usare le parole di Guido Calogero, la laicità è "un metodo di convivenza di tutte le ideologie e di tutte le filosofie possibili, che debbono rispettare, come regola primaria, il principio che nessuno può pretendere di possedere la verità". Tradotto secondo gli schemi della società odierna vuol dire che se qualcuno vuole dimostrare agli altri la fondatezza della propria teoria deve farlo seguendo determinate regole. Altrimenti gli altri hanno il diritto di sostenere che quanto affermato non corrisponde a verità. O perlomeno che non si tratti di una verità assoluta.
Nella polemica di questi giorni è stato più volte sostenuto dai difensori papali - mons. Fisichella in testa - che laicità vuol dire far parlare ed ascoltare tutti, e che non permettendo al pontefice di intervenire si è svilito il senso della parola 'laico' proprio da parte di chi si propugna tale. Mi domando allora perché non si applichi questo concetto alle altre confessioni religiose, che non godono di finanziamenti ed esenzioni statali, non hanno radio e stampa, non possiedono istituti di credito e non sono insegnate, o anche solo accennate, nelle nostre scuole. Senza mettere in dubbio la preminenza della confessione cattolica, mi sembra ovvio, in base al principio sopra ricordato, che anche le altre forme di fede debbano potersi esprimere e che gli stessi cattolici debbano conoscere un minimo delle religioni altrui - se non altro per potersi adeguatamente rapportare all'aumento degli immigrati nel nostro paese.
Ancora: perché - se laicità è libero dibattito - la chiesa non vuol sentir parlare di determinate questioni come l'aborto, la procreazione assistita, la ricerca sulle staminali, l'eutanasia, etc., per le quali si erge ad unico soggetto abilitato a regolarle? Perché, per esempio, Benedetto XVI non accetta un libero dibattito sull'evoluzionismo invece di etichettarlo come uno squallido e degradato prodotto del relativismo moderno?

3. I continui attacchi alla scienza in quanto slegata dalla morale (cattolica) sono un caposaldo dell'azione papale e, quindi, mi sembrano condivisibili i dubbi che i professori della Sapienza avanzavano nella loro lettera al rettore - scritta ad inizio novembre 2007, ma mediaticamente rispolverati solo a metà gennaio 2008. Il pontefice cerca, insomma, di convincerci che la fede è razionale perché la razionalità ha bisogno della fede, ignorando che i postulati e gli assiomi possono avere una loro valenza quando si discute di geometria euclidea, non quando si tratta di stabilire i limiti di un bene per l'umanità. Che la scienza debba avere dei limiti è fuor di dubbio. Ma mi sembra decisamente opportuno assegnare il ruolo di fissare tali limiti alla coscienza comune, una morale collettiva (e non solo di parte) che si forma a seguito di diverse influenze (e quindi anche quella cattolica) e che è certamente sensibile alla intuizione delle conoscenze possibili e dei vantaggi che ne può ricavare una volta accertata l'assenza di rischi significativi. E' necessario insomma che la fede torni ad essere un aspetto (importantissimo, per carità) intimo e privato, ma assolutamente slegato dalla scienza e dalla fissazione dei limiti entro cui essa può ragionevolemente spaziare.
Certamente la laicità considera la fede come un fatto privato, un'esperienza legittima, che non può però pretendere di condizionare le regole di vita dell'uomo come se il criterio ordinatore della società potesse dipendere dalla metafisica e dal soprannaturale. Mi sembra, purtroppo, che la gran parte delle cose che ci vengono spacciate per verità altro non siano che propaganda religiosa, la quale trae la sua forza dall'atteggiamento remissivo della cultura indipendente. Il cittadino ha il diritto di essere difeso da tale propaganda, basata su presupposti gratuiti e surrettizi, ispirati ad un sapere fittizio (che vorrebbe considerare la teologia come una scienza perfetta) e attinti da libri pieni zeppi di clamorosi falsi.
Carlo Augusto Viano, uno dei più grandi maestri della filosofia laica, ha scritto: "Di fronte alla pretesa di imporre a tutti, con mezzi spesso discutibili, comportamenti giustificati da considerazioni di ordine religioso e per giunta spacciati per argomenti razionali, la cultura indipendente dovrebbe avere il coraggio di dire che queste convinzioni private proposte come base per le decisioni pubbliche sono imposture".

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