giovedì 10 gennaio 2008

Mr. Apartheid

E' morto il 20 novembre scorso ad 88 anni Ian Douglas Smith, ex-primo ministro della Rhodesia (l'odierno Zimbabwe) considerato da molti il simbolo dell'epoca colonialista e razzista dell'Africa. Per 15 anni alla guida del paese dal 1964 al 1979, aveva unilateralmente proclamato l'indipendenza dalla Gran Bretagna l'anno successivo (dichiarazione mai riconosciuta a livello internazionale che provocò una sanguinosa guerra civile), ribattezzando il paese Repubblica di Rhodesia [storia]. L'indipendenza vera e propria fu raggiunta grazie alla maggioranza nera solo nel 1980, e questa volta ottenne il riconoscimento internazionale. Da allora il nome dello stato è Zimbabwe [storia], nome che deriva dalla parola shona Zimba Remabwe, il cui significato è 'grande casa di pietra'.
Smith instaurò un regime razzista di apartheid verso la popolazione nera e una politica tristemente famosa che valse alla Rhodesia la condanna e l'isolamento economico delle Nazioni Unite, con tutte le catastrofiche conseguenze per la popolazione già preda della guerra civile [ris. n. 232 del 16 dicembre 1966 e n. 253 del 29 maggio 1968 - adottate ex art. 41 della Carta]. Non era più al potere dal 1979, ma aveva conservato - lottando per mantenere il potere in mano ai bianchi - un posto al nuovo parlamento fino al 1987. Non concependo l'idea che un giorno la maggioranza nera avrebbe preso il potere, non ha mai abbandonato le sue posizioni e amava spesso dire che "nessun nero governerà mai la Rhodesia, neanche tra mille anni". Chissà se pensava di governare lui in questi mille anni...
Attualmente il paese è in una crisi economica, sociale, politica e umanitaria senza precedenti. L'attuale presidente pratica politiche dittatoriali che hanno portato ad una forte repressione dell'opposizione interna, e a gravissime violazioni dei diritti umani: ai danni dei dissidenti il governo ha fatto spesso ricorso a violenze sistematiche e ad altre durissime misure. L'economia, prima una delle più forti dell'Africa, è adesso al collasso, anche per le molte sanzioni economiche applicate dalla comunità internazionale, mentre il malcontento e la disapprovazione interni ed esterni crescono.

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