mercoledì 17 gennaio 2007

La guerra civile palestinese

Per spiegare cosa veramente succede in Palestina è necessario fare un passo indietro, precisamente al gennaio 2006.
In questa data Hamas ha stravinto le elezioni politiche, sorvegliate da una miriade di osservatori internazionali e ritenute, almeno fino a che non sono stati resi noti i risultati, perfettamente regolari. Anzi, le più regolari della storia del medioriente. Purtroppo, però, oggigiorno essere eletti democraticamente non basta più. È necessario, piuttosto, stare dalla parte di coloro che pretendono di disegnare democrazie “su misura”.
E così, Stati Uniti e Unione Europea hanno congelato i fondi destinati ai palestinesi, provocando una paralisi che dura ormai da un anno. Si deve pensare, infatti, che gli impiegati dell’amministrazione (e, ancor più grave, i medici negli ospedali) non ricevono lo stipendio da nove mesi e hanno dovuto dar fondo ai risparmi di una vita per sopravvivere (loro che almeno qualche risparmio lo avevano). Non solo: Israele ha tagliato a Gaza e in parte dei Territori – eh già perché dove ci sono i coloni non è successo - persino l’acqua e la corrente elettrica.
Il popolo palestinese ha continuato a lottare – perché mai si piegherebbe al volere imperialista che lo costringe alla fame nel tentativo di imporre il cambio di un governo che ha legittimamente e democraticamente eletto - e a resistere a tali ignobili atti. La situazione è degenerata quando il Presidente dell’ANP, Abu Mazin – esponente di al-Fatah, la fazione opposta ad Hamas - nel tentativo di imporre un governo di unità nazionale (leggi ribaltone), ha minacciato di indire nuove elezioni.
Visti l’oscurantismo, la censura e le falsità che si leggono sui giornali occidentali (a proposito bandite l’inviato del tg1 a Gerusalemme dall’ordine dei giornalisti!) riporto alcuni passi delle testate della regione.
Secondo Amin, sito web d’informazione palestinese, la decisione di Abu Mazin di annunciare elezioni anticipate, sia presidenziali sia politiche, rischia di avere effetti devastanti. Gli scenari possibili sarebbero due: nel primo Hamas boicotta il voto e non ne riconosce i risultati; nel secondo mette da parte le riserve e decide di partecipare. In entrambi i casi, la capacità dei palestinesi di resistere all’occupazione israeliana risulterebbe indebolita dal voto.
Più critico verso la fazione del premier Haniyeh è il quotidiano di Ramallah Al Ayyam, secondo cui il doppio rifiuto - delle elezioni e di un governo di unità nazionale - dimostra la determinazione di Hamas a rimanere al potere mentre il popolo palestinese soffre per le conseguenze dell’embargo.
Anche il quotidiano panarabo a Londra Asharq al-Aswat attacca Hamas per il cinismo e la mancanza di senso dello stato, caratteristiche che stanno cancellando la simpatia e la comprensione che la causa palestinese riscuote tra gli arabi e nell’opinione pubblica internazionale.
Assai critico verso la scelta di Abu Mazin sulle elezioni – ritenute una soluzione destinata a non metter fine alle sofferenze dei palestinesi - è invece Al Hayat, altro giornale britannico in arabo. Il quotidiano è attento anche alle conseguenze della crisi a livello regionale: secondo i calcoli dei paesi vicini e delle potenze internazionali - scrive - la questione palestinese è diventata la porta d'ingresso per risolvere i problemi del Medio Oriente, senza però che i palestinesi ne possano trarre alcun vantaggio.
Il quotidiano libanese in lingua inglese Daily Star giudica la crisi dell'autorità palestinese "triste ma non sorprendente" e prevede che l'instabilità e l'ingiustizia che regnano in Palestina contageranno anche i paesi vicini. Per il futuro, le previsioni sono improntate al pessimismo: Striscia di Gaza e Cisgiordania finiranno come la Somalia, il Libano o l'Iraq.
Non è d'accordo il giornale saudita Arab News, secondo il quale “Malgrado gli scontri - scrive - la situazione non è ancora quella di una guerra civile. È necessario però che si facciano avanti personalità nuove e dai nervi saldi per mettere fine a una crisi che non è certo cominciata per colpa di Hamas”.
Di guerra civile parla, invece, senza esitazioni la stampa israeliana. “I palestinesi non si trovano sull'orlo di una guerra civile - scrive il conservatore Yedioth Ahronoth - perché ci sono già dentro fino al collo”. Per impedire l'aggravarsi degli scontri è essenziale che Israele, Egitto, la Giordania e la comunità internazionale uniscano le forze per alleviare le sofferenze dei palestinesi, senza però rafforzare il governo di Hamas. (E ti pareva… - NdA).
Anche il giornale di Gerusalemme Ha'aretz sostiene che la guerra civile è già cominciata, ma con toni decisamente più realistici ed opportuni. Il giornale progressista, infatti, ritiene che Hamas si sia rafforzato grazie ai problemi di Al Fatah - da tempo in posizione di debolezza - ma fa dipendere la crescente radicalizzazione dei palestinesi soprattutto dall'atteggiamento dei politici israeliani, che hanno interpretato gli accordi di Oslo come l'autorizzazione ad allargare gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Carissimo Luca,
ti vengo a visitare volentieri, ti ho conosciuto attraverso il tuo commento sulla lettera di Amhadinejad nel blog Iran.
Noto, sbirciando qua e là, che hai una non indifferente capacità di analisi politica.
Personalmente sono un po' l'ispiratore del blog Iran, condiviso con altri 7 eccellenti informatori, compreso quel genio di Martinez (Kelebec).
Ho anche io il mio blog di informazione geopolitica,che si chiama INCROCIO DEI TEMPI (il primo risultato in qualsiasi motore di ricerca, se lo immmetti, mi farebbe piacere venissi anche tu a commentare nel mio, oltre, naturalmente, al blog Iran.
Hai ragione, rimanere confinati in piccoli spazi non ci rende giustizia.
Ciao e a presto.
Geopardy

Anonimo ha detto...
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KATU ha detto...
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Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...

e poi dal pilota sai cosa ti aspetta, è dichiarato, il kamikaze colpisce a tradimento come gli infami

KATU ha detto...
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Anonimo ha detto...
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KATU ha detto...
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Anonimo ha detto...

Scrivo in risposta al commento di Anonimo del 17 gennaio 2007 ore 22.40.
Lo stato di Israele è nato ufficialmente nel '48, prima di quella data c'era una terra sola. Si chiamava territorio della Cisgiordania ed era legato alla Giordania dal '48 al '67 (infatti da Betlemme ad Amman in linea d'aria la distanza è circa di un'ora) ed è stato preso da Israele nella Guerra dei sei giorni. Attulmente è controllato da Israele e in piccola parte dall'Autorità Nazionale Palestine. Pur essendo molto vicino, Oggi per arrivare da Amman a Betlemme (per farti un esempio) hai numerosi controlli, devi passare un ponte, poi altri controlli poi hai un muro.
In una notte è stato inziato un massacro per intimare ai palestinesi di uscire. Massacro che da allora non si è più fermato, milioni di persone palestinesi sono state scacciate dalla propria terra e da allora la situazione conseguente era questa.
Chi accettava di non uscire doveva rinunciare alla propria cittadinanza cambiare documenti e sottostare a qualsiasi legge israeliana ( e cambiare i documenti non significa pensare a una integrazione perché come è facile immaginare sono stati oggetto comunque di discriminazioni).
Chi usciva scappava all'estero spesso vive ancora oggi in campi nomadi di rifugiati e non solo non si è integrato con la popolazione locale ma viene visto magari dagli altri palestinesi che si sono integrati, come una persona da emarginare perché non si lava, ruba (o questi almeno sono i pregiudizi più ricorrenti).
Alcuni anni fa è stato costruito un muro ora la situazione è questa:
a Betlemme non c'è lavoro, spesso si cerca a Gerusalemme, una auto con targa israeliana a betlemme non ci entra, il muro si passa a piedi o cambiando auto quindi hai vari taxi da prendere.
Ogni betlemmano perde all'incirca un'ora e mezza al giorno per presentare documenti di lavoro, passaporto e passare i numerosi controlli al muro, questo per uscire e rientrare Betlemme e la distanza di Gerusalemme e Betlemme è si e no di dieci minuti.
Ci sarebbero numerose cose da dire sulle conseguenze sociali, lavorative e sulle abitudini che spesso hanno condizionato le famiglie palestinesi dei territori occupati.
Sulla bonificazione di cui parli ti invito ad informarti sul disboscamento dei diversi ettari di ulivi che sono stati distrutti per costruire i settlements israeliani.
Non sono una storica ma effettivamente dovresti informarti sulla geografia e sulla storia che hanno portato a una situazione oggi difficile per entrambi i popoli.
Credo nella cooperazione e confido nel nuovo governo che vede un lavoro a metà fra Abu Mazen e Hamas per lavorare insieme e magari un giorno si raggiungerà una cooperazione tra israele e palestina.
Migliaia di bambini nascono in terre straniere e amano la Palestina senza sapere o capire perché, è una cosa innata. Migliaia di famiglie sono state divise, e migliaia di vite spezzate, troppe per liquidare in poche righe una storia così travagliata.

KATU ha detto...

anna purtroppo questa è l'italia: si parla tanto e giustamente di fuga di cervelli, ma a quanto pare esiste anche il fenomeno per il quale ad alcuni il cervello non si sviluppa neppure. e nonostante ciò costoro hanno anche l'arroganza e la saccenza che contraddistinguono i mediocri e i qualunquisti...

as-salamu alaikum

Anonimo ha detto...

ciao luca, non la penso esattamente così...o meglio ho ancora la speranza che un giorno le persone si renderanno conto che il problema non è in sé il conflitto, ma l'opinione spesso troppo qualunquista o generica che se ne ha della realtà sotto occupazione o di altre conseguenze in genere. confido che potranno riuscire a ricostruire un mondo nuovo partendo dai propri errori (tra cui opinioni come quelle di anonimo che non portano a nulla). Credo che se ogni persona vuol difendere la propria causa deve farlo su basi storiche, politiche sociali anziché su frasi ristrette di difesa o di accusa e questo vale per ambo le parti (sia palestinesi sia israeliani in questo caso, ma anche per le parti tra di loro opposte in un conflitto).
Tu fa quanto tempo lavori sulla causa palestinese? com'è nato questo tuo interesse? sono curiosa :)

KATU ha detto...

ciao anna,
il mio interesse per la causa palestinese nasce con i miei studi di stampo internazionalistico. quando studi il diritto internazionale le strade che si possono seguire sono due: o si continua ad essere ciechi o si condanna senza 'se' e senza 'ma' il piano politico sionista.
appassionato da sempre di geopolitica (limes è un po' la mia bibbia) ho poi avuto occasione di studiare la composita realtà araba (lingua compresa) e approfondire la mia conoscenza del Medio Oriente.
l'insofferenza alle ingiustizie e alle mistificazioni politiche ha fatto il resto...

Anonimo ha detto...

es triste ver lo que sucede aqui se explicaba años antes que esto iba a pasar www.caesaremnostradamus.com/Lo%20cumplido_archivos/GuerraIrak2014.htm