giovedì 24 aprile 2008

Alitalia, se il buon giorno si vede dal mattino...

Dalle tasche degli italiani, già pesantemente prosciugate dal dissesto senza fine di Alitalia, vengono ora prelevati altri 300 milioni - dovevano essere 150, ma è stato Berlusconi a chiederne il doppio - per quello che soltanto con cinica ipocrisia può essere chiamato un prestito-ponte. Ponte verso che cosa, infatti? Di certo non verso la soluzione dei guai della disastrata compagnia. L’unica strada realmente aperta al riguardo, quella di Air France, è stata chiusa da Parigi con un comunicato che gronda irritazione e disprezzo per il teatrino politico-sindacale italiano. Per il resto all’orizzonte non vi è niente altro di concreto: nell’aria c’è sempre il fantasma di un’iniziativa patriottica, ma la sua sostanza è solo quella delle parole di chi evoca cordate imprenditorial-bancarie al momento del tutto latitanti. Tanto che lo stesso Corrado Passera - amministratore delegato di Intesa-Sanpaolo, la banca indicata dai sedicenti salvatori come il pilastro finanziario dell’operazione nazionale - ha liquidato ogni fantasticheria in proposito con parole eloquenti e lapidarie: «Oggi sul tavolo non c’è niente».
E allora, ponte verso che cosa? La risposta è amara: ragioni politiche assai prima che finanziarie sono all’origine di questo prestito. La cui finalità principale, infatti, è quella di tenere la testa di Alitalia fuori dall’acqua per il tempo necessario al passaggio di consegne fra il governo di Romano Prodi e quello di Silvio Berlusconi. Su questo punto davvero non vi possono essere dubbi dato che ieri è stato il portavoce ufficiale del Cavaliere a sollecitare il decreto, bollando come «condotta irresponsabile» un’eventuale scelta diversa da parte del governo ancora in carica. Al quale non è rimasto altro che fare quello che gli veniva richiesto.
In altre parole: se per la forma il decreto reca la firma del premier uscente, il suo vero proponente e responsabile si chiama Silvio Berlusconi. Altro, dunque, che la promessa di non mettere le mani nelle tasche degli italiani: al Cavaliere è riuscito in proposito un vero capolavoro acrobatico, quello di smentire se stesso perfino in anticipo sul suo ingresso a Palazzo Chigi. Come, in fondo, era scritto che avvenisse visto che proprio Berlusconi in prima persona ha fatto il possibile e l’impossibile, nel corso della recente campagna elettorale, per chiudere l’unica strada aperta, quella della trattativa con Air France. Dapprima si è avvolto nel tricolore demonizzando l’accordo con Parigi come una colonizzazione dell’Italia che il suo futuro governo non avrebbe mai potuto accettare. Poi si è spinto, con qualche eccesso di tracotanza, a rievocare la sua prima e non proprio limpida battaglia contro Prodi ai tempi dell’operazione Sme. Infine, sotto la spinta pressante del trio Bossi-Formigoni-Moratti, si è prodigato nel difendere gli interessi di quella Malpensa che è stata l’ultima esiziale sanguisuga del bilancio Alitalia. Non pago di aver così turbato pesantemente i corsi di Borsa del titolo e la trattativa in atto coi francesi, il Cavaliere ha lanciato nell’aria l’amo di una cordata italiana, al quale le corporazioni sindacali del settore si sono aggrappati con la disperata spregiudicatezza di chi è disposto a tutto pur di evitare la resa dei conti con la lunga catena di errori commessi in anni e anni di follie.
Ora, una volta ottenuto l’ampio successo elettorale che si sa, Berlusconi non ha fatto altro che rincarare la dose della sua offensiva contro Air France. Da un lato, ha proclamato che l’accordo coi francesi si poteva fare ma soltanto a condizioni di pari dignità: belle parole da comizio, ma che suonano del tutto comiche nel caso specifico di negoziato fra un’azienda ormai provinciale e moribonda e un’altra che macina profitti sui mercati di tutto il mondo. Dall’altro lato, ha scelto la sontuosa cornice della sua villa in Sardegna per un ennesimo colpo di teatro: la richiesta al suo grande amico, Vladimir Putin, di tenergli bordone nel prospettare l’entrata in scena niente meno che della russa Aeroflot come alternativa all’accordo coi francesi. Così disinvoltamente trascurando anche il piccolo particolare che l’ingresso di un’azienda di uno Stato extracomunitario comporterebbe per Alitalia la tragedia finale della perdita dei diritti di volo non solo nelle rotte interne all’Unione, ma anche in quelle intercontinentali.
In queste condizioni il ritiro dei francesi dalla partita era il minimo che ci si potesse attendere da chi è abituato a stare sul mercato in base alle regole più elementari del medesimo. Su questo punto critico Silvio Berlusconi ha giocato le sue carte ed ha avuto una volta di più successo, mettendo in campo una determinazione spudorata e a tratti feroce. Tanto spudorata e feroce da infilare le mani nelle tasche degli italiani a pochi giorni dalla chiusura di una campagna elettorale nella quale si era sbattezzato a proclamare che non l’avrebbe mai fatto. Se il buon governo si vede dal mattino...
Articolo di Massimo Riva, Il tavolo vuoto del Cavaliere - La Repubblica, 23 aprile 2008

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