martedì 8 aprile 2008

Vinitaly, la lode al dio Bacco

Vini eccezionali e un’atmosfera del tutto speciale. Il vino al metanolo e i tempi sospetti in cui è stata resa nota l’indagine sulla presunta contraffazione dei brand più prestigiosi. Ma una certezza: i nostri prodotti sono veramente i più apprezzati nel mondo. Possiamo stare tranquilli: in vino veritas!


LA MISSION - Da grande appassionato e cultore del vino, anche quest’anno non potevo certo perdermi il Vinitaly. Homines bibunt vinum. Vinum nectar dei. E così, la decisione di partire alla volta di Verona con un amico è stata del tutto naturale: giacca, cravatta e gemelli (oltre al pass per operatori del settore – procurati da mio cugino) per lanciare l’attacco al mitico stand (foto sopra) dell’azienda Castello Banfi, produttrice del famosissimo Brunello di Montalcino e di tanti altri prodotti che fanno la felicità di chi ama il dono che il dio Bacco ci ha fatto dalla notte dei tempi.
La missione era, ovviamente, quella di poter degustare i migliori vini italiani: Amarone (Veneto), Barolo (Piemonte), Brunello (Toscana). Ma anche quella di approfondire la conoscenza di alcune cantine che offrono prodotti veramente eccezionali. Una di queste, la Frescobaldi (foto qui sotto), ci ha trattato benissimo e ci ha permesso di degustare diversi vini che non capita tutti i giorni di poter apprezzare. Cantine che non permettono a tutti di invadere il loro stand, riservandosi di far accedere solo coloro che hanno un invito personale o che, comunque, si presentano – in una certa maniera – per godere della commistione tra frutto divino e faticoso lavoro dell’uomo, e non certo per ubriacarsi come fossimo all’osteria.


VELENITALY - Di vino ne contengono poco: un terzo al massimo, spesso di meno. Il resto è un miscuglio micidiale: una pozione di acqua, sostanze chimiche, concimi, fertilizzanti e persino una spruzzata di acido muriatico. Veleni a effetto lento: all'inizio non fanno male e ingannano i controlli, poi nell'organismo con il tempo si trasformano in killer cancerogeni. I test sono concordi: tra il 20 e il 40 per cento, non di più. E il resto? Acqua, concimi, fertilizzanti, zucchero, acidi. Sì, acidi: usati per mimetizzare lo zucchero vietato per legge. L'acido cloridrico e l'acido solforico vengono utilizzati per 'rompere' la molecola dello zucchero proibito (il saccarosio) e trasformarlo in glucosio e fruttosio, legali e normalmente presenti nell'uva. Un metodo che consente così di sfuggire ai controlli. Risultato: da una normale analisi non emergerà la contraffazione. I due acidi, assieme alle altre sostanze cancerogene, non uccidono subito, ma lo fanno progressivamente, in modo subdolo. L'acido cloridrico, comunemente chiamato acido muriatico, può provocare profonde ustioni se finisce sulla pelle, se ingerito è devastante.
L'inchiesta è tutt'ora in corso, ma gli elementi raccolti dagli investigatori mostrano un sistema industriale di contraffazione che nasce dalla criminalità organizzata e alimenta le grandi cantine: le aziende coinvolte nello scandalo sono già 20 (8 si trovano al Nord - in provincia di Brescia, Cuneo, Alessandria, Bologna, Modena, Verona, Perugia - il resto invece è sparso tra Puglia e Sicilia. Perché con questo sistema criminale i produttori riuscivano a risparmiare anche il 90 per cento: una cisterna da 300 ettolitri costava 1.300 euro, un decimo del prezzo normalmente chiesto dai grossisti del vino di bassa qualità. L'episodio non è, purtroppo, nuovo: una cantina di Veronella 22 anni fa venne coinvolta dal dramma delle bottiglie al metanolo. Diciannove persone uccise mentre altre 15 persero la vista per colpa del mix a base di mosto e di un alcol sintetico, normalmente utilizzato nelle fabbriche di vernici.
La grande truffa dei marchi made in Italy non riguarda solo le devastanti sofisticazioni che danneggiano la salute, ma anche la presunta qualità dei brand più prestigiosi del nostro mercato agroalimentare. Che dietro le etichette blasonate nasconde spesso e volentieri calici amari. Negli ultimi mesi alcuni dei migliori prodotti nostrani sono finiti nel mirino di procure, dei carabinieri, degli esperti della Forestale e della Guardia di finanza, che hanno aperto inchieste a catena che fanno traballare l'immagine (e le vendite) del food&wine tricolore, proprio durante un appuntamento fondamentale come il Vinitaly di Verona.


NEL BRUNELLO C’è IL TRANELLO - Partiamo dal Brunello di Montalcino, tra i vini Docg più celebri del mondo. Il lavoro degli investigatori sta disegnando una frode in commercio colossale, per cui il 30-40 per cento del carissimo vino prodotto nel 2003 (ma sotto la lente ci sono anche le annate dal 2004 al 2007) rischia di non poter fregiarsi né del marchio di Denominazione d'origine controllata e garantita né del nome 'Brunello'. I pm hanno guardato dentro al bicchiere, e nel fondo hanno scovato il marcio.
Allo stato le aziende coinvolte sono cinque, gli indagati più di 20. L'accusa dei magistrati è, per i cultori, una vera bestemmia: aver mischiato all'uva di qualità Sangiovese, l'unica ammessa dalle rigide regole del disciplinare, altre qualità di origine francese: dal Merlot al Cabernet Sauvignon, dal Petit Verdot al Syrah. Vitigni usati per produrre dal 10 al 20 per cento del prodotto finale. I motivi del taroccamento sono due: le quantità del Sangiovese disponibile, in primis, sono insufficienti a coprire la domanda crescente di mercato. Inoltre il miscelamento sarebbe legato a una mera questione di palato: il consumatore, soprattutto quello americano, preferisce al gusto forte del Brunello Doc una variante morbida, più dolce e 'transalpina'. Molti negano, qualcuno rettifica, Montalcino è sgomenta, ma le prove sembrano schiaccianti.

“CHIANTI D’ABRUZZO” - Se l'alterazione rischia di demolire l'immagine del Brunello, sul piano penale sono molti i capi d'accusa che potrebbero sporcare la fedina degli indagati. Oltre al declassamento del vino e la frode in commercio aggravata dalla norma che tutela i prodotti doc, i pm ipotizzano reati come la falsificazione dei registri di cantina, falso ideologico, la ratifica di documenti truccati. La frode sul Brunello è, infatti, simile a quella messa in piedi sul Chianti classico. L'inchiesta, segretissima, investe alcune grandi aziende che producono - come si legge in vecchi comunicati stampa - 'i rossi italiani più amati dagli americani'. Peccato che il Chianti finito in milioni di bottiglie, in realtà, fosse mescolato con il Montepulciano d'Abruzzo. La truffa è stata smascherata dagli uomini della Guardia di finanza, coordinati dai pm senesi: in controlli di routine hanno scoperto che alcune ditte toscane compravano quantità industriali di Montepulciano dalla Cantina sociale di Tolla, in Abruzzo.


CONCLUSIONE - Abbiamo concluso la serata con la degustazione al Palazzo Gran Guardia (foto qui sopra) in quel di Piazza Brà, compresa una bellissima lezione sulle proprietà (ed il gusto!) del mitico Amarone della Valpolicella. Solo qualche dubbio ci ha sfiorato la mente - ormai decisamente poco lucida, ma abbastanza vigile da riflettere ancora. Innanzitutto la confusa informazione che ha fatto di tutta l’erba un fascio: un conto è la questione del vino ‘avvelenato’ (che coinvolge prodotti di bassa qualità – i vini venduti in brick a pochissimi euro, se non centesimi), un altro quella del presunto taglio di alcuni vini pregiati con altri. In secondo luogo, il fatto che la polemica sia scoppiata proprio in concomitanza con l’appuntamento annuale a Verona. E’ mai possibile che in Italia ci si accorga e si parli di certe cose solo in ben precisi momenti? C’è forse qualcuno che cerca di screditare l’eccezionalità del ‘made in Italy’? La mia esperienza può essere trasparente testimonianza: nessuno sarà mai in grado di abbattere certi nostri prodotti, tanto meno di poterli imitare. Aspetto già con ansia la prossima edizione!

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