mercoledì 9 aprile 2008

Tensioni africane

Dal Kenya allo Zimbabwe fino all’Uganda: non si fermano le tensioni che nascono dalla volontà di molti di rimanere al potere nonostante tutto e tutti. Sullo sfondo le grandi potenze che, invece di intervenire, restano a guardare e, anzi, sponsorizzano l’una o l’altra parte nella speranza di poterne ricavare profitti. Del resto, il continente africano, seppur privo di grandi infrastrutture, elargisce circa il 12% della produzione mondiale di greggio.


KENYA - Dopo la tornata elettorale, le tensioni in Kenya non accennano a placarsi. Al 7 gennaio, circa 600 i keniani erano rimasti uccisi negli scontri seguiti alle elezioni del 27 dicembre 2007. Lo aveva reso noto la polizia keniana i cui dati superavano drammaticamente quelli diffusi in un primo momento che parlavano di 486 vittime delle violenze post elettorali. I leader dell'opposizione avevano sospeso tutte le manifestazioni di protesta previste, in attesa dell'arrivo del presidente del Ghana a Nairobi, incaricato di avviare la mediazione tra il presidente Mwai Kibaki e i suoi avversari politici guidati da Raila Odinga.
La stampa europea commentava preoccupata gli ultimi sviluppi della crisi e auspicava unanime l'intervento della comunità internazionale. Secondo lo spagnolo El País: "È un errore spiegare le violenze di questi giorni solo con l'argomento dell'odio etnico. Così come è fuorviante parlare di crisi umanitaria. Quello che il Kenya sta vivendo è un conflitto politico sanguinoso nato dalla volontà del presidente Kibaki di rimanere al potere a ogni costo, anche con una frode elettorale". El País invocava l'intervento internazionale, in primo luogo dell'Unione europea che, sostieneva il quotidiano, "deve essere più presente che mai. In ogni caso occorre tenere presente che, trattandosi di un paese africano, servono formule di mediazione diverse rispetto al resto del mondo. Bisogna pretendere innanzitutto che i partiti keniani rifiutino la violenza e la condannino ufficialmente".
Il giornale spagnolo Abc scriveva: "Il Kenya sta pagando un prezzo troppo alto e il suo presidente lo ha tradito due volte. Per il modo in cui ha gestito il suo mandato e per non aver accettato le critiche dei suoi concittadini. Kibaki si sta trasformando in un nuovo Robert Mugabe".
Infine il premio Nobel per la pace ed ex deputata keniana Wangari Maathai interveniva sul Guardian esortando i politici locali a risolvere la situazione: "Sosteniamoci l'un l'altro, lasciando da parte le nostre origini etniche e le convinzioni politiche. Siamo noi cittadini la coscienza del paese. Un'ingiustizia contro uno di noi è un'ingiustizia contro tutti noi".
Ma proprio in questi giorni, la situazione politica del Kenya precipita ancora una volta. Martedì il leader dell'opposizione Raila Odinga ha deciso interrompere i negoziati per la formazione del nuovo governo di coalizione. L'opposizione accusa l'ala legata al presidente Kibaki di non aver rispettato gli impegni presi nelle ultime settimane. Il governo doveva essere varato domenica, ma Kibaki ha cambiato le carte in tavola e alcuni importanti ministeri, che sembravano destinati all'opposizione, sono riapparsi tra quelli assegnati agli uomini del presidente. I sostenitori di Odinga sono già tornati in piazza e minacciano nuovi scontri, dopo quelli che, nel febbraio scorso, hanno causato più di mille morti. [Fonte: Daily Nation - Kenya]

Links:
- Il Kenya di fronte alla sfida elettorale;
- Il Kenya sull’orlo della guerra civile;
- Kenya: scontri etnici e di classe;
- Kenya: la mediazione di Annan in un corno esplosivo;
- Kenya: road map per la pace;
- Kenya, accordo sulla divisione dei poteri; [Limes on line]
- Il Kenya come nazione, Internazionale.


ZIMBABWE - Nonostante il successo netto dell'opposizione nelle elezioni di fine marzo, Robert Mugabe, il presidente uscente dello Zimbabwe che da 28 anni è alla guida del paese, sta facendo di tutto per restare al potere. Mugabe ha, infatti, cercato di bloccare la commissione elettorale incaricata di annunciare i risultati delle elezioni, ritardando così un verdetto che appariva comunque scontato. Il Movimento per il cambiamento democratico, il partito di opposizione, ha vinto quattro dei primi sei seggi attribuiti dalla commissione elettorale. Il presidente uscente ha comunque intimato al leader dell'opposizione Morgan Tsvangirai di non proclamare la vittoria fino a quando non verranno resi ufficiali i risultati e ha ordinato alla polizia di controllare le strade della capitale Harare. [Fonte: Mail & Guardian – Sudafrica, 31 marzo 2008]
Dopo quattro giorni dalla chiusura delle urne sono arrivati i risultati ufficiali per quanto riguarda la nuova distribuzione dei seggi in parlamento. Come previsto, il partito del presidente Robert Mugabe, lo Zanu-Pf, non ha più la maggioranza nell'assemblea dello Zimbabwe. Secondo la Commissione elettorale dello Zimbabwe (Zec), sui 210 seggi disponibili, il movimento per il cambiamento democratico (Mdc), guidato dallo sfidante alla presidenza Morgan Tsvangirai, ha conquistato 105 seggi. Il partito di Mugabe ne ha ottenuti 94. Uno è stato guadagnato da un candidato indipendente. Per quanto riguarda l'elezione presidenziale, invece, non ci sono novità, anche se il partito di opposizione continua a dichiarare che Morgan Tsvangirai sarà il prossimo presidente. [Fonte: Libération – Francia, 3 aprile 2008]
Negli ultimi giorni, lo stesso Morgan Tsvangirai ha scritto sul Guardian che il Fondo monetario internazionale deve sospendere gli aiuti allo Zimbabwe finché Mugabe non riconoscerà la sua sconfitta: "Ancora una volta Robert Mugabe e i suoi stanno cercando di mantenere il controllo sul potere in Zimbabwe […] Ma questo non sminuisce la vittoria della democrazia sulla dittatura in un paese devastato dal malgoverno e dall'ignoranza. La democrazia è orfana in Zimbabwe. I 28 anni di dittatura di Robert Mugabe l'hanno minata come il precedente governo coloniale di Ian Smith. Ora Mugabe ammassa truppe, blocca i procedimenti giudiziari e i lavori della commissione elettorale e impone l'ombra oppressiva del suo governo".
"È tempo di agire con decisione", continua Tsvangirai. "Chiediamo al Fondo monetario internazionale di sospendere gli aiuti allo Zimbabwe finché il presidente non riconoscerà la sua sconfitta. Abbiamo assicurato a Mugabe che non lo perseguiremo. Le cose da fare per ricostruire lo Zimbabwe sono altre e sono tante".

Links:
- Zimbabwe con il fiato sospeso, Limes on line.

- Zimbabwe: lotta dura tra Mugabe e Tsvangirai, affari internazionali.

UGANDA - Una delle guerre più sporche dell'Africa centrale è, invece, quella combattuta da Joseph Kony, leader dell'Esercito di resistenza del Signore (Lra), contro il governo ugandese. Da vent'anni l'Lra semina il terrore nel nord dell'Uganda – ma dispone di basi anche nel Sudan meridionale e nel nordest della Repubblica Democratica del Congo – con l'obiettivo d'instaurare un regime basato sui dieci comandamenti.
Il conflitto ha causato decine di migliaia di morti e due milioni di profughi. L'Lra è composto per l'80 per cento da ragazzi che hanno meno di 15 anni, la maggior parte rapiti durante i raid nei villaggi del nord del paese. Ora sono in corso dei negoziati di pace a Juba, in Sudan, ostacolati però dalla questione della sorte di Kony, accusato di crimini contro l'umanità dalla Corte penale internazionale. Kony chiede la garanzia di non essere estradato all'Aja, dove rischia una condanna all'ergastolo. Le alternative sono la consegna alla giustizia ugandese o l'esilio. Quest'ultimo permetterebbe a Kony di restare in libertà, ma il leader dell'Lra teme di essere estradato in un secondo momento, com'è successo al dittatore liberiano Charles Taylor. Tuttavia, potrebbe essere costretto ad accettare un compromesso perché la crisi dell'Lra sembra ormai irreversibile. [Fonte: Le Nouvel Afrique Asie – Francia, dicembre 2007]

Links:
- La guerra in Uganda e il ‘profeta’ Kony, Limes on line.

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