giovedì 4 ottobre 2007
martedì 2 ottobre 2007
Birmania, la scoperta dell'acqua calda

Nel 1988 scoppiano le prime proteste popolari delle opposizioni e delle minoranze vittime della politica razzista del regime (dominato dalla popolazione maggioritaria birmana). La nuova giunta militare al potere, Consiglio per il Ripristino della Legge e dell'Ordine dello Stato (Slorc), reagisce uccidendo e arrestando migliaia di persone e ricorrendo sistematicamente alla tortura. Aung San Suu Kyi, leader del principale partito d'opposizione, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld) - e premio Nobel per la Pace nel 1991 - viene messa agli arresti domiciliari (vi resterà fino al 1995). Nell'89 i generali cambiano il nome della Birmania in Myanmar e della sua capitale Rangoon in Yangon. In seguito a una crescente pressione internazionale, i militari al potere consentono libere elezioni multipartitiche nel 1990. L'opposizione del Ndl ottiene una vittoria schiacciante, ma la giunta decide di annullare il voto e riprendere il potere.
Lo Slorc, capeggiato dal generale Saw Maung, impone la legge marziale, incarcera tutti gli oppositori politici e intensifica la persecuzione delle popolazioni karen e shan. Per combattere i loro movimenti indipendentisti che contendono a Yangon il controllo del Triangolo d'oro (le regioni di frontiera con Thailandia, Laos e Cina ricche di piantagioni d'oppio e crocevia del narcotraffico internazionale) la giunta scatena un vero e proprio genocidio, con massacri di civili e deportazioni di massa. Gli eserciti di Myanmar e Thailandia si scontrano sulle frontiere: Yangon accusa Bangkok di appoggiare le milizie secessioniste, e Bangkok rimprovera a Yangon di essere direttamente responsabile del massiccio traffico di droga verso il proprio territorio.
Nel 1997 la rinnovata pressione della comunità internazionale costringe la giunta militare ad alcune concessioni. Ma i cambiamenti promossi dal generale Than Shwe, succeduto nel '92 a Saw Maung, sono solo di facciata. Il Myanmar esce in parte dal suo isolamento internazionale entrando nell'Asean (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) e lo Slorc si rinomina Consiglio di Stato per la Pace e lo Sviluppo (Spdc). L'obiettivo è quello di ottenere la fine delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti con le accuse al governo birmano di violazione dei diritti umani (molto interessante è una scheda di Amnesty international). La giunta continua di fatto a impedire l'attività politica dell'opposizione e San Suu Kyi, liberata nel '95, torna agli arresti domiciliari nel 2000.
All'inizio del nuovo millennio Myanmar sfiora la guerra con Thailandia e Bangladesh e perde il sostegno incondizionato della Cina. Bangkok e Pechino non vedono più di buon occhio le attività del Triangolo d'oro controllato da potenti signori della guerra e della droga e in cui si incrociano gli interessi dei governi e delle milizie di confine. La diplomazia prova a risolvere le controversie con una serie di visite illustri: a Yangon arrivano il primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra e il presidente cinese Jiang Zemin. Nel 2002 Myanmar ufficializza i rapporti con la Russia avviando un progetto comune di ricerca nucleare.
Nel giugno 2002 Suu Kyi, appena liberata, compie il suo primo viaggio in provincia. Ma dopo aver tentato invano d'instaurare un dialogo tra Nld e giunta, nel maggio 2003 viene nuovamente arrestata. Nel 2003 il presidente degli Stati Uniti George Bush rinnova le sanzioni economiche, i rapporti con la Thailandia restano tesi e l'Unione Europea non include il Myanmar tra i paesi a emergenza umanitaria.
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venerdì 28 settembre 2007
Hip Hop nostrano: comunicazione ed espressione del sociale
- MySpace di Kenzie Kenzei;
- Fomenta a roppe (il demo scaricabile);
- Intervista a Kenzie Kenzei (su Ascoli da Vivere).
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La politica ha già troppi 'grilli'

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martedì 18 settembre 2007
Censura a stelle&strisce
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venerdì 14 settembre 2007
Maiale: quando Calderoli si guarda allo specchio


Si pone ora il problema di capire se Calderoli ha così tanta familiarità coi maiali perché tra i maiali ci vive o se è semplicemente avvezzo ad avere un porco al guinzaglio, come fosse un cane - è proprio vero che il cane è lo specchio del padrone! Comunque vada a finire, c'è da chiedersi se George Orwell nella "Fattoria degli animali" pensasse a Calderoli quando scriveva che ad un certo punto i maiali e gli uomini non si distinguevano più l'uno dall'altro.
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mercoledì 12 settembre 2007
L'altro 9/11: Santiago del Cile, 11 settembre 1973

Ieri ho visto pagine e pagine dei nostri più importanti quotidiani dedicate all'11 settembre, ma nessuna riguardava quello cileno. L'unico accenno era del Manifesto che, in un minuscolo trafiletto, informava di tensioni create in Cile dalle manifestazioni in ricordo di quel giorno, per l'intenzione di sfilare fino alla statua di Allende alla Moneda (nella foto). La Bachelet ha comunque garantito che i manifestanti sarebbero potuti arrivare fino all'altro monumento dedicato ad Allende, in Plaza Independencia. Anche se non se ne parla, il fantasma di quell'uomo fa ancora una certa paura a 34 anni dalla sua morte.
PER APPROFONDIRE:
* Gabriel Garcia Marquez a informationguerrilla.org.
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9/11, il tremendo dubbio mondiale

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lunedì 10 settembre 2007
venerdì 7 settembre 2007
La questione nucleare: 60 anni di (non) proliferazione
Invece, l’organismo adibito a verificare il rispetto degli obblighi assunti dagli Stati firmatari, l’AIEA, ha dovuto lavorare, fin dall’inizio in condizioni piuttosto difficili e senza troppa autonomia. Gli ispettori possono, infatti, recarsi solo in quei paesi, già membri del trattato, che abbiano firmato (e ratificato) con l’Agenzia stessa un accordo particolare che precisa diritti e doveri. L’accesso ai diversi impianti da parte degli ispettori è poi limitato da numerose disposizioni amministrative: per esempio, devono prima sollecitare un visto il cui rilascio può richiedere tempi lunghi e solo in seguito sono autorizzati ad ispezionare uno stabilimento per un tempo minuziosamente calcolato, variabile a seconda della natura delle attività e della quantità di uranio o di plutonio presenti nel sito. È, poi importante sottolineare che tutte le regole alle quali gli ispettori devono sottostare sono state definite nel 1971, non dai funzionari dell’Agenzia, che avrebbero potuto precisare di cosa avevano bisogno per compiere la loro missione, ma dai rappresentanti degli Stati, in particolare da quelli dei paesi che all’epoca erano i più avanzati nel settore nucleare: conseguenza di ciò è stato il tentativo di limitare al massimo gli obblighi che i controlli avrebbero potuto comportare per le proprie nazioni. Così, il meccanismo di controllo è stato basato su quanto liberamente dichiarato da gli Stati: gli ispettori hanno accesso solo agli impianti dichiarati e il loro compito consiste nell’assicurarsi che tutti i materiali fissili entrati siano stati utilizzati per scopi pacifici, senza verificare l’esistenza di installazioni tenute in qualche modo nascoste.
2. I primi ad aver sviluppato la tecnologia necessaria alla costruzione di una testata atomica (ed anche i primi e gli unici ad averne fatto un uso offensivo) sono stati gli Stati Uniti, il cui programma risale agli inizi degli anni Quaranta. In questa prima fase si preferì non diffondere informazioni per evitare che anche la Germania nazista potesse raggiungere un livello tecnologico sufficiente; dopo il 1945, al contrario, venne inaugurata la cosiddetta politica degli “atomi per la pace”: se la ricerca atomica era usata per scopi pacifici, gli USA avrebbero fornito ai paesi interessati il know-how necessario, a patto poi che essi fossero stati capaci di sviluppare i propri programmi in maniera autonoma. L’avvenimento che fece comprendere a tutti la gravità di questo errore fu rappresentato dalla crisi di Cuba del 1962: l’essere andati così vicini ad uno scontro nucleare fece capire che il sistema della reciproca deterrenza non poteva da solo garantire la sicurezza mondiale. I primi passi furono sicuramente difficili se si pensa che il trattato entrò in vigore solo nel 1970 [2] grazie a paesi quali Irlanda, Danimarca, Canada, Svezia e Messico – che vedevano nel TNP lo strumento per ridurre il rischio di proliferazione nucleare indiscriminata – o a quelli che pensavano che non avrebbero mai potuto sviluppare un loro programma autonomo – tra cui Iraq, Iran e Siria, tra i primi a firmare. Tra gli Stati ad opporre un’iniziale resistenza è da menzionare anche l’Italia, che ratificherà il Trattato solo nel 1979 – quando il numero dei paesi sottoscrittori aveva ormai superato le cento unità - insieme agli accordi che avrebbero permesso l’istallazione di basi e di missili americani, famosi perché non passati, come la Costituzione imporrebbe, all’esame del Parlamento.
Nello stesso ambito del TNP, e seguendo lo spirito prodotto dalla cosiddetta distenzione, si colloca la prima fase delle trattative tra Usa e Urss per la limitazione delle armi strategiche (Strategic Arms Limitation Talks – SALT), processo che, al di là della carta, non porterà a risultati accettabili. Il SALT I si concluse nel 1972 con la firma di due distinti accordi: il primo riguardava i missili antimissile, il secondo fissava il numero dei vettori consentiti a quelli già esistenti e in possesso delle due superpotenze, senza distinguere tra quelli installati a terra, sulle navi o nei sottomarini. Con l’accordo SALT II del 1979 venne ulteriormente abbassato il limite al numero dei vettori e decisa la distruzione di quelli in eccedenza, senza peraltro che nessun organismo internazionale vi presenziasse - e quindi fosse in grado accertare l’avvenuta distruzione.
Nel 1982, dopo una fase di stallo nelle trattative, Ronald Reagan avanzò la proposta di un accordo (Strategic Arms Reduction Talks – START) che avrebbe dovuto ridurre il numero di armi installate nelle basi terrestri, un settore dell’armamento missilistico in cui i sovietici avevano raggiunto una certa superiorità. Solo nel dicembre 1987, però, vi fu un’accelerazione dei colloqui grazie al vertice Reagan-Gorbaciov, dal quale scaturì la firma di un trattato sul dimezzamento delle armi offensive a medio raggio, cosa che denotava come i tempi non fossero ancora perfettamente maturi. Bisognerà, infatti, aspettare il luglio 1991 con il vertice Bush Sr.-Gorbaciov per la firma dello START I, accordo che prevedeva la distruzione del 25% degli arsenali nucleari di Usa e Urss, e il 1993 per lo START II, firmato dallo stesso Bush Sr. e da Boris Eltsin, contenente l’obiettivo della distruzione di tre quarti delle armi nucleari possedute non solo dalle due potenze, ma anche dall’Ucraina, dalla Bielorussia e dal Kazakistan.
3. Nel 2003 il TNP è arrivato a contare 189 membri [3]. Tra di essi non figurano India, Pakistan e Israele i quali si sono sempre rifiutati di aderire e non hanno accettato neanche il TICE, il Trattato di proibizione totale delle sperimentazioni nucleari, fortemente voluto dagli Stati Uniti a metà anni Novanta come completamento del TNP stesso: i primi due hanno fatto esplodere i loro primi ordigni nel 1998 e continuano con la produzione di materiale a tal uso, mentre Israele, pur non avendo mai effettuato esperimenti, è accreditata dai maggiori analisti di 200 testate atomiche. L’Argentina e il Brasile avevano promosso, negli anni Settanta e Ottanta, dei programmi di ricerca con obiettivi chiaramente militari, non venendo per questo in contraddizione con i loro obblighi internazionali, dal momento che all’epoca non avevano ancora firmato il Trattato di non proliferazione. Entrambi abbandonarono i progetti militari alla fine degli anni Novanta e aderirono al TNP, rispettivamente nel 1995 e nel 1998: vi rinunciarono non perché la loro sicurezza esterna fosse meglio garantita che nel passato, ma perché un regime democratico aveva sostituito le dittature militari al potere. Simile il percorso del Sudafrica che negli stessi anni fabbricò, in modo del tutto lecito e senza che l’AIEA potesse intervenire, una mezza dozzina di ordigni nucleari, poi smantellati nel 1991, poco prima di abbandonare il regime di apartheid e di aderire al Tnp.
Accanto a ciò avviene, però, che nazioni come Germania e Giappone, pur non disponendo di testate atomiche o di specifici programmi nucleari di stampo militare, hanno accumulato negli anni enormi quantitativi di uranio e plutonio, tanto da riuscire potenzialmente ad assemblare ordigni in pochissimo tempo. La presenza a Tokyo di un governo decisamente nazionalista e di una diversa opinione pubblica nel paese del Sol Levante ha già fatto sentire i suoi primi effetti, con l’intenzione ventilata dal premier Shinzo Abe di una riforma in senso militarista della Costituzione del 1947.
4. Nonostante alcuni successi, paradossalmente, il TNP ha ricevuto il colpo di grazia proprio in occasione della Conferenza (1995) che decise di mantenerlo in vigore, sostanzialmente fallita a causa degli Stati Uniti e delle altre potenze. Da quasi quarant’anni, infatti, i cinque Stati del ‘club nucleare’, non a caso anche i primi esportatori mondiali di armi convenzionali, si guardano bene dall’incoraggiare un disarmo generale e lamentano i mancati progressi – dovuti ovviamente al comportamento di altri - per ignorare cinicamente gli impegni da loro assunti: gli Stati Uniti parlano regolarmente di produrre nuovi ordigni nucleari. Di più: le armi nucleari non costituiscono più una categoria separata dell’arsenale americano, ma sono integrate nell’insieme delle armi offensive, utilizzabili allo stesso titolo di qualsiasi altra arma, ed è già stato avviato il reclutamento di una nuova generazione di specialisti nel settore delle armi per rimpiazzare quella che andrà in pensione, la sostituzione dei missili intercontinentali nel 2020, dei sottomarini nel 2030, e dei bombardieri nel 2040. Il che sta ad indicare che l’armamento americano è concepito per una durata indefinita e in ogni caso fino alla fine del secolo.
La politica di non proliferazione è stata profondamente indebolita, quindi, proprio dalla grande ipocrisia con cui i cinque Stati dotati di armi nucleari ignorano i loro obblighi di disarmo: conservando oggi arsenali così ricchi, essi di fatto incoraggiano gli altri paesi ad imitarli. La disaffezione all’idea di non proliferazione si è manifestata, del resto, in maniera clamorosa nel corso della Conferenza di revisione del trattato, nel giugno 2005: invece di manifestare unanime riprovazione contro chi inganna, gli Stati partecipanti si sono lasciati senza aver trovato neanche un minimo accordo, a testimonianza di un mondo diviso, disilluso, disorientato. Più alto è il numero dei paesi che dispongono di armi nucleari, più grande è il rischio che siano usate deliberatamente, non per dissuadere, ma per annientare, o che, per errore, si scateni un conflitto, o che un paese bombardi a scopo preventivo le installazioni dei suoi avversari, o ancora che armi o materiali fissili cadano in mano a gruppi criminali: la proliferazione nucleare è dunque uno dei pericoli più seri per il futuro dell’umanità.
5. La questione nucleare, prepotentemente tornata alla ribalta negli ultimi due anni e aggravata dalla minaccia del terrorismo internazionale, è molto complessa e deve necessariamente essere analizzata nei singoli scenari in cui essa si colloca. Quale dovrebbe essere, per esempio, la risposta di paesi come l’Iran e la Corea del Nord, inseriti – a torto o a ragione – nel cosiddetto ‘asse del male’ elaborato dall’amministrazione Bush? Memori di ciò che è accaduto all’Afganistan dei taliban e all’Iraq di Saddam (regimi sicuramente spregevoli, ma ugualmente spalleggiati a suo tempo dalla Casa Bianca e dalla CIA) non è forse una reazione scontata e per lo più pragmatica quella di dotarsi di un’arma atomica come deterrente verso possibili azioni militari? Se per la Corea del Nord il nucleare sembra assumere il carattere di ultimo rigurgito di un regime ormai entrato nella sua fase di inesorabile declino, tanto che gli esperimenti dello scorso anno hanno ricevuto aspre critiche perfino dagli alleati cinesi, per l’Iran la questione ha un significato molto più articolato. Senza ombra di dubbio il regime degli Ayatollah ha quale obiettivo ultimo quello di dotarsi dell’arma atomica: il sentimento di forte nazionalismo da sempre presente nella cultura persiana, la recente ascesa degli sciiti in tutto il mondo arabo – specchio del disastroso intervento compiuto dagli Usa in Iraq, paese a maggioranza sciita e per molti anni governato dalla minoranza sunnita – e il senso di accerchiamento imposto dalle truppe a stelle e strisce alla Repubblica Islamica hanno favorito una rapida escalation.
È del tutto ovvio che possedere la tecnologia sufficiente alla costruzione di testate atomiche, in combinazione all’enorme influenza di cui godono gli sciiti iraniani in Iraq - oltre che in Libano e sulle minoranze delle petro-monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa - collocherebbe l’Iran in una posizione di assoluto dominio nell’area del cosiddetto Greater Middle East. Senza contare che le pur denigrabili esternazioni antisioniste del Presidente Ahmadi-Nejad hanno fruttato all’ex sindaco di Teheran una crescente popolarità nel mondo musulmano, il che ha contribuito ad accrescere la visione degli sciiti quale unica forza in grado di resistere all’occupazione straniera, di contro al comportamento ‘collaborazionista’ della parte sunnita. Ciò è stato in particolare evidente nel conflitto libanese: Nasrallah è dipinto come il nuovo ‘saladino’ e Hizbollah – de facto pedina iraniana - ha ampliato il suo consenso popolare rispetto ad un governo di marca sunnita che, agli occhi del mondo arabo, non è stato in grado di difendere il paese da un’aggressione esterna. Al di là del ruolo strumentale rivestito dal Partito di Dio per gli interessi iraniani, è con la partita nucleare che si giocano gli equilibri su due dei teatri geopolitici più strategici dei prossimi decenni: sarà probabilmente la conclusione delle crisi nord-coreana e iraniana, se non proprio a mettere la parola fine, a delineare, per lo meno, lo scenario futuro. O, forse, no.
6. Per la Corea del Nord il paventare il possesso di armi nucleari rappresenta il tentativo di tenere in piedi il regime, camuffando la pesante crisi economica, e non costituisce, in realtà, il benché minimo pericolo per nessuno - e del resto è proprio degli ultimi giorni la notizia che Pyongyang ha definitivamente rinunciato al proprio programma. L'Iran - che forse potrebbe anche possedere tecnologia nucleare di basso livello, ma avrebbe bisogno di anni prima di riuscire a mettere in piedi almeno un progetto che possa definirsi serio - dal canto suo non sarebbe mai in grado di attaccare Israele con armi nucleari, dal momento che poi dovrebbe sopportare pesantissime ritorsioni: avere nel proprio arsenale una decina di testate nucleari significherebbe avere un potere di dissuasione contro attacchi dall'esterno, ma mai permetterebbe un first strike.
Note:
[1] L’URSS fece esplodere la sua prima bomba A nel 1949 e la sua prima bomba H nel 1953; la Gran Bretagna ha sperimentato il suo primo ordigno a fissione nel 1952 e la sua prima bomba a fusione nel 1957; le date per la Cina sono rispettivamente il 1964 e il 1967; la Francia (1960 e 1968) fornì inoltre nel 1956 ad Israele il reattore e l’impianto di ritrattamento di Dimona, mentre il Canada, che non ha mai fatto esplodere ordigni, ha venduto all’India nel 1955 il reattore ad acqua pesante con il quale è stato prodotto il plutonio necessario alla costruzione della sua prima bomba. In riferimento alla cronologia della prima esplosione si hanno nell’ordine USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina; contrariamente, però, ad un’idea molto diffusa, non c’è alcun legame tra lo status di Membro Permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e quello di Stato facente parte del “club atomico”: i Membri Permanenti sono i vincitori della seconda guerra mondiale, mentre gli Stati autorizzati ad avere armi nucleari sono quelli che possedevano la bomba alla data di stipulazione del TNP.
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giovedì 30 agosto 2007
mercoledì 22 agosto 2007
La sfrontata ipocrisia del cardinal Bertone
Senza contare ipotesi peggiori in cui è coinvolto lo IOR (Istituto per le Opere di Religione) ossia la banca vaticana. Forse Bertone, Tonini e co. considerano la loro banca (trasformata nel 1942 da Pio XII in banca con scopi di lucro, dotata di personalità giuridica propria) ancora come un gruppo di missionari?
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martedì 31 luglio 2007
Immunità penale "su misura": le basi della seconda Repubblica
Massimo Fini - Il gazzettino 27/07/2007
È la solita storia. Da noi appena c'è un'indagine su un politico, immediatamente si apre un'inchiesta sul magistrato che l'ha iniziata. È il nuovo Codice di procedura penale italiano. Che non esiste in nessun altro Paese del mondo, civile o incivile, perché in questo modo è impossibile amministrare la giustizia. È una storia che parte nel 1994 dopo che la magistratura osò, per la prima volta, richiamare anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti siamo tenuti. Questa volta, poiché ci sono di mezzo dei pezzi grossi dei Ds, contro il Gip Forleo si sono mossi il Guardasigilli, il Pg della Cassazione, il Capo dello Stato, i presidenti delle Camere, il presidente del Consiglio e, bipartisan, buona parte della classe politica, la sinistra (con l'eccezione di Di Pietro e Furio Colombo) che deve difendere i suoi, la destra (con l'eccezione di An e Udc) che non può rinnegare un decennio di devastante campagna di delegittimazione della Magistratura in difesa, soprattutto, di Berlusconi.Dalle confusissime motivazioni con cui Mastella ha richiesto, a fini disciplinari, le due ordinanze con cui la Forleo chiede al Parlamento l'autorizzazione a utilizzare le intercettazioni di D'Alema, Latorre, Fassino, in quanto nei loro confronti sono ipotizzabili dei reati, l'unica cosa che si capisce è che il Guardasigilli accusa il Gip di aver esorbitato dalle sue funzioni perché ha avanzato richieste che i Pm non avevano fatto. Ma chi ha messo nel cervellino di Mastella una sciocchezza del genere? Anche se in genere avviene il contrario, infinite volte è successo che il giudice riformi «in pejus» le richieste della Pubblica accusa. E, nel caso specifico, il Gip è un giudice delle indagini preliminari ed è in suo potere elevare imputazioni a soggetti che i Pm hanno trascurato.Ancor più grave, se possibile, l'intervento del Capo dello Stato. Nella forma e nella sostanza. Non è suo compito, nemmeno come presidente del Csm, sindacare singoli atti di singoli magistrati. Napolitano, pur non nominandolo, ha richiamato la Forleo «a non inserire in atti processuali valutazioni e riferimenti non pertinenti». Ma se il Gip chiede l'autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni è ovvio che debba motivarla ed entrare nel merito. Non si tratta di nessuna «sentenza» anticipata ma solo di un passaggio del processo che sarà poi verificato da altri giudici.Poi c'è stata la difesa bipartisan di casta e l'aggressione politica alla Forleo e alla Magistratura. Prodi ha manifestato «solidarietà e sostegno» a D'Alema e Fassino. Il Presidente del Consiglio non può manifestare «solidarietà e sostegno» a degli indagati (perché non lo fà allora, in nome della presunzione di innocenza cui si è appellato, per Corona?). Si sono sentite cose inaudite. Il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi, preannunciando il voto favorevole del suo partito a ripristinare «in toto» l'immunità parlamentare, ha affermato: «Bisogna distinguere sempre fra l'uso politico della giustizia e le indagini di magistrati indipendenti e scrupolosi». E chi è che decide se un magistrato è indipendente? Sandro Bondi? E se ogni volta che viene indagato un politico si accusa il magistrato di «uso politico della giustizia», com'è sempre avvenuto in questi anni, poiché da questo processo alle intenzioni è impossibile difendersi tanto varrebbe dire che gli uomini politici non sono indagabili. Lo stesso vale per l'altro specioso argomento per cui quando un magistrato indaga un politico o un vip è «per farsi pubblicità». Fabrizio Cicchitto, Fi, ha definito i magistrati «mostri incontrollabili» creati dalla sinistra, perché a suo tempo ebbero il torto di indagare il corrottissimo partito cui allora apparteneva, il Psi.Stiamo retrocedendo a Paese feudale. I nobili non lavoravano, non pagavano le tasse e avevano un diritto diverso da quello del Terzo Stato. Costoro non lavorano, non pagano le tasse su una parte enorme (100 mila euro l'anno) dei loro emolumenti, sono colmi di privilegi e, dopo lo choc del 1992-94, si sono precostituiti, di fatto, l'immunità penale come nemmeno durante la Prima Repubblica si era osato fare. Per molto meno si sono fatte rivoluzioni.
Fonte: http://www.massimofini.it/
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martedì 19 giugno 2007
Questioni irrisolte
TIRATECI FUORI - Nel caso Calipari si sta assistendo al tentativo da parte del Dipartimento alla difesa americano di accreditare e imporre una propria interpretazione delle leggi italiane, con l'evidente scopo di sottrarsi al processo di Roma: in sostanza, l'impossibilità per il ministero Usa di essere coinvolto in un processo di un altro stato deriverebbe - secondo le parole di Washington - dal fatto che gli Stati uniti sono una nazione sovrana. Non si capisce, però, perchè non dovremmo esserlo anche noi...
SEGRETO DI STATO - Appellandosi al segreto di stato il governo ha raggiunto l'obiettivo della sospensione del processo per il sequestro di Abu Omar, che vede imputato l'ex direttore del SISMI Nicolò Pollari insieme ad altre 33 persone, 26 delle quali sono agenti Cia. In attesa della decisioni sul conflitto di competenza tra Stato e Procura , quindi, il processo è sospeso fino al 24 ottobre.
HANEFI LIBERO - La bella notizia viene, invece, dall'Afghanistan e riguarda la liberazione (finalmente) di Ramatullah Hanefi. La vicenda meriterebbe ampio spazio e non può essere questa la sede di discussione (invito in ogni caso a ripassare un po' la cronologia degli avvenimenti dal sito di Peacereporter). Una domanda nasce, però, spontanea: era proprio necessario privare un individuo per 3 mesi della sua inviolabile libertà - senza accuse provate e tali da giustificare un simile trattamento - torturarlo, ridurlo in uno stato inumano, senza le più elementari garanzie e poi liberarlo (come era prevedibile con un po' di buon senso) perché gli elementi raccolti sono a dir poco solo indiziari e difficilmente sostenibili?
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sabato 16 giugno 2007
Bandire le cluster bombs

I problemi sollevati dall’uso delle munizioni cluster sono molteplici. Innanzitutto, data la loro natura di “armi d’area” in grado di disseminare submunizioni su vaste aree, rendono particolarmente problematico, se utilizzate in prossimità di aree abitate da civili, il puntamento su obiettivi di natura esclusivamente militare, rendendo così indiscriminati i loro effetti immediati, in palese violazione dell’Art. 51 del I protocollo della Convenzione di Ginevra.
Una cluster bomb non esplosa mantiene la sua potenzialità letale praticamente all’infinito e diventa molto più pericolosa di una mina antipersona in quanto può esplodere alla minima sollecitazione anche casuale con effetti letali 3 volte superiori a quelli della più potente mina ad azione estesa ad oggi conosciuta. Inoltre non è un dato irrilevante che, come confermano i dati provenienti da zone di conflitto, vengano utilizzate indiscriminatamente anche in aree abitate,o nelle loro immediate vicinanze e che la conseguente contaminazione rallenti la fase di ricostruzione post-conflitto, la coltivazione dei campi, l’accesso ai pascoli, ai pozzi e renda mortalmente insicure strade, scuole ed abitazioni.
Nell’ultimo conflitto nel sud del Libano il 60% delle cluster bombs è stato lanciato nelle immediate vicinanze di centri abitati o villaggi – guarda caso nell’ultimo giorno di guerra. (fonte: Foreseeable harm. The use and impact of cluster munitions in Lebanon: 2006 – Landmine Action – UK). Sempre nello stesso conflitto, la stima del numero delle munizioni inesplose, come segnalato dal Mine Action Coordination Center delle Nazioni Unite nel sud del Libano superava verosimilmente il milione di ordigni.
I paesi che hanno in uso questi ordigni sono 15: Arabia Saudita, Bosnia Erzegovina, Eritrea, Etiopia, Finlandia, Francia, Israele, Nigeria, Olanda, Pakistan Regno Unito, Serbia, Stati Uniti, Sudan, Turchia.
I paesi contaminati dalle cluster bombs sono 22: Afghanistan, Albania, Arabia Saudita, Bosnia Erzegovina, Cambogia, Chad, Croazia, Eritrea, Etiopia, Iraq, Kuwait, Laos, Libano, Pakistan, Russia, Serbia, Montenegro, Sierra Leone, Sudan, Siria, Tajikistan, Vietnam.
Territori contaminati dalle cluster munitions: Cecenia e Kosovo.
I paesi che producono munizioni cluster sono 32 e tra questi vi è anche l’Italia con la Simmel Difesa di Colleferro (Roma). Il nostro paese inoltre è tra i 70 paesi detentori di stock di cluster bombs.
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lunedì 11 giugno 2007
Se Israele si ostina a vivere la vita degli altri
Esattamente quarant'anni fa è scattato l'ultimo giorno in cui i cittadini di Israele sono stati un popolo libero nella propria terra. Dopo quel giorno, abbiamo cominciato a pagare il prezzo di vivere la vita degli altri. Il regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck ha recentemente esplorato quel prezzo nel suo acclamato film «La vita degli altri» sul modus operandi della Stasi - la polizia segreta della Germania Est comunista.
La minaccia che è piombata su Israele il 4 giugno 1967 riguarda la sua stessa sopravvivenza. Ha cancellato dalle nostre coscienze l'idea che le nostre vite qui erano diverse. Quattro decadi di furtiva annessione e 20 anni di conflitto violento hanno contribuito a questa amnesia. Così, la nostra vittoria sul campo di battaglia - che doveva rendere le nostre vite migliori e più sicure - sta rendendo sia le nostre vite che quelle degli altri miserabili. Il 1966 aveva visto un capitolo importante nella breve storia di Israele. A dicembre, il governo di Levi Eshkol abolì la legge militare, che era praticata in Israele sulla base dei regolamenti del mandato britannico. Così facendo, il governo eliminò il principale ostacolo che impediva alla popolazione araba di Israele di condurre una vita normale. Sei mesi dopo, lo stesso governo decise di rendere indistinta la «linea verde», sfumando la differenza tra Israele e i territori di recente conquista. Di conseguenza, molti ebrei cominciano a considerare gli arabi di città come Baka al-Garbiyeh dalla parte israeliana della Linea verde più o meno come gli arabi di Baka al-Sharkiyeh, che erano dalla parte giordana. Ferite appena rimarginate furono riparte, e un incipiente sentimento di identità cominciò a frammentarsi.
Il bisogno di esercitare l'autorità sulla corposa popolazione dei territori costrinse il governo a rimettere in vigore la legge militare che aveva appena abolito. Il professor Yeshayahu Leibowitz non ebbe bisogno di 40 anni per capire che questo avrebbe trasformato Israele in uno stato di polizia e le Forze di difesa israeliane in un «esercito d'occupazione». Già nella primavera del 1968, aveva messo in guardia contro gli effetti dell'occupazione sull'educazione, la libertà di parola e di opinione e sulla natura democratica del governo. Leibowitz predisse che la corruzione tipica di ogni regime colonialista non avrebbe risparmiato Israele. Mise anche in guardia contro il collasso delle strutture sociali e la corruzione dell'uomo - tanto arabo che ebreo.
Ma neanche la profezia dell'apocalisse di Leibowitz potè prevedere la corruzione di valori determinata dall'impresa colonizzatrice e dall'estensione dei regolamenti di apartheid che avrebbero permesso e incoraggiato il furto di terre. Nessuno avrebbe potuto prevedere quanto tale impresa avrebbe danneggiato la coesione interna di Israele, né quanto avrebbe compromesso la reputazione di Israele agli occhi del mondo libero.
Nel giugno 1967, la piccola Gerusalemme ospitava 13 ambasciate straniere. Dopo l'approvazione della legge fondamentale su Gerusalemme capitale d'Israele, nel 1980, la città venne privata di tutte le sue ambasciate. È stato detto che i territori palestinesi ampliavano i margini di sicurezza della «piccola» Israele. Pochi ricordano che, alla metà degli anni '60, molti mesi prima che scoppiasse la guerra, il governo decise di ridurre il servizio militare obbligatorio di due mesi. Pochissimi soldati beneficiarono di questa riduzione perché i problemi di sicurezza provocati dall'occupazione costrinsero poi il governo a innalzare il servizio militare di 14 mesi - facendolo arrivare a tre anni.
Ma non è tutto. Durante la seconda guerra del Libano, i cittadini di Israele hanno pagato un caro prezzo per le ridotte capacità operative dell'esercito israeliano, conseguenza dell'uso dell'esercito come forza di polizia nei territori che Israele aveva conquistato nel giugno 1967 - fra cui il compito di vigilare sulle proprietà dei ladri di terra ebrei.È vero che in alcuni periodi l'altra parte non voleva discutere di nulla, nemmeno dei confini del 4 giugno 1967. Ma oggi, i 22 stati membri della Lega araba dichiarano che considerano questi confini una base per la pace - un risultato su cui nessuno avrebbe scommesso 40 anni fa. E così Israele sta perdendo l'opportunità di trasformare la sua vittoria militare nel più grande risultato di sempre. Sta perdendo la guerra d'indipendenza dal controllo della vita degli altri.
FONTE: il Manifesto
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giovedì 24 maggio 2007
Crimen sollicitationis
se non fosse possibile visualizzare direttamente il filmato, cliccare qui
In questi ultimi giorni l'opinione pubblica italiana - o, meglio, una piccola parte di essa - è venuta a conoscenza di un documento segreto del Vaticano che delinea una strategia di comportamento nei confronti di ecclesiastici che si rendano colpevoli di abusi sessuali sui bambini. Diciamoci la verità: tutti in cuor nostro sepevamo che queste sono pratiche abituali e non nuove per i ministri della misericordia di Dio, ma ora, almeno, c'è la concreta possibilità di fare realmente luce su crimini da sempre taciuti. Il documento si chiama Crimen sollicitationis e, tutto improntato alla segretezza, ha quale scopo quello di coprire tali abominevoli fatti evitando a criminali della peggior specie la possibilità di essere, giustamente, puniti. Nessun media italiano (con qualche sporadica eccezione) ha fatto menzione di questo documento. Negli altri paesi europei, dove evidentemente l'influenza dei lor signori eminentissimi porporati sui mezzi d'informazione e sulla politica è invece pressoché nulla, di questa vicenda se ne è parlato: il filmato di cui sopra è, infatti, un documentario trasmesso dalla BBC nell'ottobre 2006.
Perché ostacolare il legittimo tentativo di restituire i pieni diritti ad una parte importante ed estremamente variegata della popolazione? E' bene notare, infatti, che un tale provvedimento riguarderebbe una serie di ipotesi anche decisamente diverse tra loro: dalle coppie omosessuali a due vecchietti che hanno deciso di vivere gli ultimi anni dandosi una mano a vicenda e toccherebbe questioni tanto economiche (la reversibilità della pensione, il subentro nell'affitto o le vicende legate all'eredità) quanto umane (l'assistenza in caso di malattia prolungata è il caso più eclatante o anche semplicemente la scelta di vita operata spontaneamente da una giovane coppia). Così come, del resto, potrebbe facilmente prestarsi a manipolazioni e aggiramento di altre leggi, in special modo quella sull'immigrazione. Perché, dunque, trincerarsi dietro una posizione rigida, conservatrice, illogica e non al passo con i tempi? Perché intraprendere una crociata omofobica quando gli uomini sono tutti uguali e tutti figli di Dio? In che modo la famiglia di fatto dovrebbe costituire un pericolo per la famiglia "naturale" e "tradizionale"? Quali sono i numeri di uno strisciante, ma ben evidente malessere che affligge sempre di più il nucleo fondamentale dell'organizzazione umana?
Volendosi sforzare, non si riesce a capire come le unioni di fatto possano essere un pericolo per la famiglia così come concepita dal credo cattolico. Coloro che si considerano fedeli, o che comunque ritangono giusto conformarsi al corrispondente dettame, non avranno nessun tipo di ostacolo a proseguire sulla loro strada. Si teme forse che sempre meno giovani facciano ricorso alla categoria famigliare attualmente legale? Allora forse non si è capito che la società e l'uomo sono continuamente in evoluzione e che, se fino a un ventennio fa il punto d'arrivo di un giovane era il matrimonio, oggigiorno diversi fattori hanno permesso la nascita di soluzioni differenti, ma non per questo prive di una loro dignità. Ci vogliono far credere che optando per una convivenza i giovani saranno portati a fare meno figli? Se oggi non si fanno più figli non è certo per questo, ma per il fatto che poche coppie, alle prese con una sicurezza lavorativa inesistente e con un aumento generalizzato del costo della vita, possono permettersi una famiglia come quella che il Vaticano vorrebbe imporci.
A tal proposito ritengo sia indicativa una lettera di Travaglio a Ruini pubblicata sull'Unità contenente alcune cifre interessanti. "Se la DC e i suoi numerosi eredi avessero fatto per la famiglia tutto ciò che avevano promesso, oggi le famiglie italiane dormirebbero tra due guanciali. Sa invece qual è il risultato? Che l'Italia investe nella spesa sociale il 26,4% del Pil, 5 punti in meno che nel resto d'Europa a 15, quella infestata di massoni, mangiapreti, satanisti e -per dirla con Tremaglia- culattoni. Se poi andiamo a vedere quanti fondi vanno alle famiglie e all'infanzia nei paesi che non hanno avuto la fortuna di avere in casa Dc e Vaticano, scopriamo altri dati interessanti. L'Italia è penultima in Europa col 3,8% della spesa sociale alle famiglie, contro il 7,7% dell'Europa, il 10,2% della Germania, il 14,3% dell'Irlanda. Noi diamo alla famiglia l'1,1% del Pil: meno della metà della media europea (2,4). Sarà un caso, ma noi siamo in coda in Europa per tasso di natalità: la Francia ha il record con 2 figli per donna, la media europea è 1,5, quella italiana 1,3. E il resto d'Europa ha i Pacs, noi no: pare che riconoscere i diritti alle coppie di fatto non impedisca le politiche per la famiglia, anzi. Lei che ne dice?Lei sa, poi, che per sposarsi e fare figli, una coppia ha bisogno di un lavoro stabile. Sa quanto spendiamo per aiutare i disoccupati? Il 2% della spesa sociale, ultimi in Europa. La media Ue è il 6%. La Spagna del terribile Zapatero spende il 12,5. I disoccupati che ricevono un sussidio in Italia sono il 17%, contro il 71 della Francia, l'80 della Germania, l'84 dell'Austria, il 92 del Belgio, il 93 dell'Irlanda, il 95 dell'Olanda, il 100% del Regno Unito. E per i giovani è ancora peggio: sotto 25 anni, da noi, riceve il sussidio solo lo 0,65%; in Francia il 43, in Belgio il 51, in Danimarca il 53, nel Regno Unito il 57. Poi c'è la casa. Anche lì siamo penultimi: solo lo 0,06% della spesa sociale va in politiche abitative (la media Ue è il 2%, il Regno Unito è al 5,5). Se in Italia i figli stanno meglio che nel resto del mondo, anche perché sono pochissimi, per i servizi alle madri siamo solo al 19° posto."
Perché allora invece di fomentare odio e di discriminare alcune categorie di persone i clericali non mettono in campo azioni volte ad aiutare chi un nucleo familiare non può formarlo, sostenerlo e mantenerlo? Perché il Vaticano, proprietario del 22% degli immobili su tutto il territorio italiano - uno su quattro a Roma - non mette a disposizione delle abitazioni per coloro che mantengono famiglie numerose con uno stipendio da miseria? Giunge spesso voce che, invece, le reverendissime eminenze sbattano fuori casa gli inquilini dei loro immobili per affittarli a prezzi suntuosi ad avvocati e notai, giusto per lucrare il più possibile. Ancora: perché non usano l'enorme cifra che risparmiano sull'Ici (grazie ad una legge del laboriosissimo governo Berlusconi che la sinistra non ha ancora cancellato e forse mai lo farà) costruendo ad esempio asili per i bambini di famiglie che altrimenti dovrebbero rinunciare ad uno stipendio per seguire i loro figli? O per mettere in campo politiche assistenziali verso tali soggetti? Sono queste le tematiche che dovrebbero emergere, non i falsi problemi con i quali i ministri della misericordia di Dio cercano di fomentare un sentimento omofobico senza precedenti. Purtroppo, quando ci sono di mezzo costoro, le verità sono sempre celate, censurate, insabbiate. Come il crimen sollicitationis...
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sabato 12 maggio 2007
Missione compiuta

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sabato 14 aprile 2007
Civiltà superiore

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venerdì 13 aprile 2007
Politica estera all'italiana
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